El Capitan e il sogno di The Nose in solitaria. Di Stefano Ragazzo

Il report di Stefano Ragazzo che dal 16 al 18 maggio 2024 è salito in solitaria The Nose su El Capitan nello Yosemite, USA.
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Stefano Ragazzo in solitaria su 'The Nose' su El Capitan nello Yosemite, USA (16-18/05/2024)
Stefano Ragazzo

Da dove è nata l’idea di salire El Capitan in solitaria? Difficile dirlo, la mia mente è sempre un turbinio di pensieri ed emozioni legati alla montagna, ogni giorno si intrecciano, talvolta prendono forma, in un momento qualsiasi possono diventare così grandi che quasi mi sembrano realizzabili e quindi ci provo.

Non vengo da un periodo facile, bensì un periodo in cui sto mettendo in gioco tutto me stesso, un periodo fatto di infortuni, riabilitazione e doppi allenamenti quotidiani. Mi è sembrato di fare solo tanta fatica, di sprecare il mio tempo con qualcosa che non aveva senso, alcuni dei miei sponsor invece di aiutarmi in questo processo mi hanno declassato e messo da parte, e mi è sembrato che tutto andasse per il verso sbagliato.

Poi mi sono ricordato di Alex, un fortissimo trail runner che ho conosciuto in Alaska lo scorso anno, in uno suo post scriveva: "Puoi essere retrocesso solo se accetti la retrocessione". Così, come è stato per molte altre volte, ho pensato che un piccolo strappo potesse essere la cosa di cui avevo bisogno per riprendere in mano la mia vita e rimetterla nella direzione in cui volevo io. In un mondo in cui a volte sei misurato in base a quanti follower hai è facile perdere la bussola e sentirsi disorientati. Volevo tornare a divertirmi e fare quello che avevo voglia di fare, perché alla fine è questo quello che conta.

Avevo alcuni progetti per la testa a Chamonix dove attualmente vivo, ma il meteo capriccioso questa primavera non sembrava voler migliorare così quel piccolo pensiero di salire il Capitan da solo si è rifatto vivo e, forse, era il momento di dargli ascolto. Ho comprato un biglietto aereo per San Francisco e tre giorni dopo sono partito, da solo, in preda a mille dubbi.. Trick, lo strappo era stato fatto.

A parte Silvia Loreggian nessuno sapeva cosa avevo per la testa. Sono arrivato a Camp 4 ed ho passato i primi giorni a girovagare da solo per la valle, provando qualche tiro in autosicura e cercando di aggiustare gli ultimi dettagli. A Camp 4 i climber sono di una socialità disarmante, ti chiedono sempre cosa fai, dove vai, che progetti hai ecc. I primi giorni ho cercato di svincolarmi dal raccontare ogni tipo di dettaglio, poi due giorni prima della mia salita mi sono lasciato scappare ad un ragazzo spagnolo che avrei provato The Nose one push da solo... Tempo qualche ora e la gente a Camp 4 mi chiamava e mi urlava incitamenti mentre camminavo per il campeggio: "Are you the Italian guy who wants to try the Nose solo? You are a badass man, go for it! You will crush it!". Così ho passato il mio ultimo giorno a Camp 4 circondato da sconosciuti che venivano a parlarmi ed incoraggiarmi, ed io, un po’ imbarazzato, rispondevo sempre sul vago. Mi sorprendevano tutte queste persone così entusiaste di un ragazzo che provava il Nose in giornata quando ci sono personaggi come Alex Honnold che lo hanno salito in circa 5 ore; la risposta è che vivono l’arrampicata nella maniera giusta, entusiasmo e condivisione. E questo è il tipo di atteggiamento, ahimé non abbastanza diffuso, che farebbe bene a tutti.

Sono partito con l’idea di salire one push in 24h, senza materiale da bivacco, 6 litri d’acqua, barrette, gel, crackers ed orsetti gommosi. Avevo già salito The Nose con Silvia nel 2021 ma salvo qualche dettaglio non ricordavo molto. Ho attaccato il primo tiro verso le 11 di mattina e subito mi sono reso conto della batosta che avrei preso. Ho cercato di essere il più efficiente possibile ma senza prendere rischi inutili, auto assicurandomi su tutti i tiri, anche quelli facili o i traversi.

Mi ero prefissato di rimanere con un ritmo sotto l’ora a tiro e stavo andando molto bene, finché probabilmente per colpa del sole che come al solito incendia la roccia di El Cap, unitamente alla presenza di altri climber che mi costringono all'attesa, ho iniziato a soffrire di crampi mentre risalivo con le jumar gli ultimi tiri prima di El Cap Tower. Soffiava un vento fortissimo, appeso alle jumar con il vuoto sotto ai piedi, 40 metri di corda spinti dal vento volteggiavano al mio fianco come un serpente... Il primo momento di crisi era arrivato, ma non poteva già essere finita!

Nel mezzo del frastuono del vento, mentre mi riposavo appeso alle jumar mi è sembrato di sentire il mio nome in lontananza, ho guardato in basso e ho visto Jose (il ragazzo spagnolo a cui avevo confidato il mio progetto) insieme ad una cricca di climber di Camp 4 che si sbracciano e mi incitano dalle Sickle Ledge: avevano salito i primi tiri di The Nose apposta per venirmi a vedere e incoraggiarmi.. Questo è Yosemite!

Mi faccio forza di arrivare almeno alla cengia di El Cap Tower per provare a riposare un po’, arrivo con ancora un po’ di luce e decido di fissare il Texas Flake, il famoso camino/offwidth che si sale senza possibilità di proteggersi, per poi calarmi alla cengia e riposarmi.

Contavo di riposarmi solo un paio d’ore ma qui è iniziato il mio momento di crisi peggiore: era calata la notte ed il corpo si stava spegnendo sempre di più, volevo mangiare per provare a recuperare ma allo stesso tempo dovevo razionare il cibo se volevo continuare. Mi sono disteso sulla cengia con le gambe dentro allo zaino per provare a dormire un paio d’ore e ripartire. Trascorsa un’ora stavo peggio di prima. Ho preso il telefono ed ho scritto a Silvia, l’unica a casa a sapere che ero lì, le ho detto che ero finito, che sarei sceso. Lei mi ha risposto con la sua solita positività e sostegno morale che da 8 anni a questa parte mi tira fuori dai guai, e così decido di riposare ancora un paio d’ore e vedere che succede.

Mi siedo con le gambe a penzoloni sulla cengia, è circa mezzanotte e le luci delle lampade frontali di una cordata su Zodiac sono ancora accese ma sembrano non volersi muovere; la luna, che prima illuminava tutta la valle, si è pian piano spostata dietro all’enorme parete di El Capitan facendo piombare la valle sotto i miei piedi in un buio inquietante: se prima, grazie alla luna, riuscivo ad intravedere il profilo dei tiri successivi ed avere dei punti di riferimento, ora mi sento perso e non voglio scalare da solo in quel buio impalpabile.

Provo a stendermi ancora un po’ e mi accorgo che grazie a quel buio fitto il cielo è cosparso di stelle e la via lattea si è fatta più viva, una stella cadente taglia il cielo in due e si spegne proprio sopra la mia testa, socchiudo gli occhi e penso: "fammela finire".

Verso le 3 del mattino mi impongo di alzarmi e provare a ripartire, il mio piano di riuscire in una salita in meno di 24h è svanito ma penso che già riuscire a finirla sia comunque un bel risultato personale. Decido così di partire con più calma, riposandomi tra un tiro e l’altro e cercando di applicare una tecnica di arrampicata più conservativa.

Arrivo al famoso King Swing, il pendolo di circa 15 metri in cui bisogna letteralmente prendere la rincorsa e lanciarsi a prendere una piccola fessura, con le prime luci dell’alba. Dopo due primi timidi tentativi di pendolo penso: "Basta! O ingrano la marcia o mi calo e scendo". Tiro fuori ancora un paio di metri dall’assicuratore, prendo una bella rincorsa e… bordo preso! Arrivo in sosta e l’adrenalina inizia a scorrere, è tornata la luce ed il mio corpo inizia ad ingranare di nuovo, si va!

Salgo tranquillo tiro dopo tiro riuscendo comunque a tenere un buon ritmo. Un paio di cordate che provano il Nose in giornata mi superano, sempre incitandomi ed incoraggiandomi, una mi riconosce come quel famoso "Italian guy" di Camp 4 e nella loro corsa trovano il tempo di incitarmi anche dall’alto mentre velocemente spariscono dopo il Great Roof.

Raggiungo alcune cordate sul Roof che non riesco a superare e che mi rallentano ma decido di approfittarne per riposarmi un po’. Condivido i tiri successivi con una cordata di ragazze americane al loro terzo giorno su Triple Direct, continuano a chiedermi come sto e se ho bisogno di qualcosa, scherzando mi invitano a passare la notte con loro a Camp 6 (una piccola cengia inclinata per due persone) dicendomi che ci sarà una festa ed hanno portato il vino dentro al saccone. Dopo qualche tiro si fanno più serie e mi invitano a riposarmi a Camp 6, hanno molto cibo ed acqua extra da condividere, rispondo che vorrei provare ad uscire ma che ci penso.

Il tiro dopo Camp 6 è il famigerato Changing Corners, il diedro cieco dove piccole fessure danno la possibilità di proteggersi con protezioni molto piccole o cam hook. Dopo una pausa parto con la lampada frontale accesa: il tiro è fradicio! Salgo lentamente e dopo un’ora e mezza di viaggio mistico fatto di stanchezza, micro nut, cam hook, nut ball e qualche staffata su protezione dubbia arrivo in sosta e decido che forse è il caso di accettare l’invito delle ragazze, fisso la corda e mi calo a Camp 6.

Anche le ragazze sono stanchissime ed hanno già cenato ma mi aspettano sveglie con una busta di cibo liofilizzato già pronta, ci distendiamo uno affianco all’altro, invidio i loro materassini e sacchi a pelo, io sono di nuovo disteso sulla cengia con la schiena a contatto con la roccia e le gambe dentro allo zaino. Una delle ragazze prima di chiudere gli occhi mi guarda e mi dice: "Se hai bisogno di qualcosa durante la notte svegliami", esplodiamo a ridere e ci addormentiamo.

La breve notte passa tra crampi, mani e piedi che sembra stiano per esplodere e qualche breve dormi veglia. L'indomani mattina, dopo un caffè offerto sempre dalle ragazze, le saluto, risalgo la corda e sparisco dalla loro vista dopo il Changing Corner. Gli ultimi tiri non sono banali sotto l’aspetto fisico ma so che ormai è fatta, sono arrivato fino a lì, devo solo spingere ancora un po’. Alle 11 esco sulle placche finali e finalmente dopo 48 ore dalla mia partenza tocco il famoso albero in cima a The Nose.

Il mio primo pensiero va a Silvia, la chiamo ed esplodo in lacrime, so che anche se sono da solo, lei è sempre stata lì con me, mi ha supportato via telefono, sapendo quello che avevo per la testa, incoraggiandomi dal primo secondo in cui mentre guidavamo verso casa qualche settimana prima le dissi: "Sento che forse devo andare in Yosemite a provare il Nose in solitaria".

Ho salito The Nose da solo ma allo stesso tempo percepisco quanto questo non sarebbe stato possibile senza il supporto di chi mi ha circondato in queste ultime settimane, Silvia, Jose, i ragazzi di Camp 4, le ragazze di Camp 6 e le cordate incrociate lungo la via. Grazie Yosemite ancora una volta per farmi continuare a sognare!

di Stefano Ragazzo

Stefano ringrazia: Grivel, SCARPA, Totem, The North Face Italia

Info: www.alpinevibes.it

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