Stefano Ragazzo in solitaria invernale su Moulin Rouge alla Roda de Vael, Dolomiti
Vorrei riuscire a scrivere come al solito, ma questa volta è diverso, mi sento svuotato, in tutti i sensi. Sono passati pochi giorni dalla mia salita in solitaria a Moulin Rouge, le mani che nelle ultime notti non mi hanno fatto dormire finalmente si stanno sgonfiando, le unghie che si sono alzate per il freddo si stanno pian piano ricostituendo, anche la fame mi sta tornando. Di solito dopo una bella salita in Valle mi fiondo diretto in pizzeria da Salin a Pera di Fassa, questa volta ho dovuto far passare qualche giorno e qualcuno si preoccuperebbe molto di quest'ultimo fatto!
Ho salito questa via per la prima volta con Silvia Loreggian nei primi giorni dell’estate 2016, ci eravamo conosciuti da poco ed era la nostra prima via insieme in Dolomiti. Al terzo tiro Silvia perse una scarpetta, dopo qualche minuto di tensione decidemmo di continuare comunque, io scalando sempre da primo di cordata e lei da seconda scalando con una scarpa d’approach. Forse qalcuno direbbe che sono stato bravo a farla tutta da primo, io invece ero rimasto impressionato da Silvia: anche se da seconda di cordata, si era scalata tutta la via in libera senza mai fermarsi, con una scarpetta ed una scarpa da trekking ai piedi.
Scalare quella via mi fece scattare diverse molle in testa, iniziai a pensare ad una salita in solitaria in estate, poi negli ultimi inverni viste le condizioni molto secche ho iniziato a trasformare il pensiero verso una possibile solitaria invernale, ed eccomi qui.
Sono passati diversi anni da allora e, anche se non sembra, il tempo passa e mi sono accorto che ultimamente stavo perdendo molte occasioni a causa del lavoro. Diventare Guida Alpina è stato per me un grande sogno realizzato ma anche un grande sforzo economico, negli ultimi anni ho dovuto rinunciare a diverse possibilità che mi si sono presentate durante i periodi di alta stagione perché cercavo di rimettermi in sesto e di lavorare il più possibile così da riempire un po’ il barile da cui avevo a fondo scavato.
Quest’ultimo inverno insieme a Silvia abbiamo deciso di cambiare un po’ aria con l’idea di trovare un luogo dove riuscire a conciliare il lavoro da Guida con i nostri allenamenti e così siamo approdati di nuovo a Chamonix. Sarà che quando sei lontano dalle cose le desideri di più, o forse è l’energia positiva che si respira all’ombra del Monte Bianco che mi ha fatto scattare di nuovo la molla, di guardare la meteo dall’altra parte delle Alpi, motivarmi a non perdere un’altra occasione solo per mettere da parte qualche soldo in più, saltare in macchina e partire.
In realtà non è stata così facile la partenza, finché preparavo lo zaino mi sono fermato più volte, mi sono seduto sul letto in preda a mille dubbi, poi sono andato da Silvia e le ho chiesto: "Sto facendo una cazzata?". Per quanto percepivo in lei un po’ la preoccupazione ed un po’ il non capire perché volessi andare a soffrire così tanto, mi ha risposto: "Se lo vuoi fare veramente vai, ce la farai sicuramente, puoi farla in giornata se non perdi tempo". Sembra una frase banale ma è stata quella che mi ha fatto chiudere lo zaino, annullare alcuni appuntamenti e mettermi in strada verso la Val di Fassa.
Sono salito giovedì 16 marzo sino a sotto la parete ovest della Roda di Vael, ho montato la tenda nell’ultimo posto pianeggiante disponibile e sono salito fino all’attacco per depositare il materiale. Visto che avevo ancora un po’ di luce a disposizione ho fissato la corda ed il cordino da recupero del saccone nei primi due tiri in modo da poter partire l’indomani con le jumar e sfruttare la risalita dei primi tiri per scaldarmi un po’.
Venerdì 17 marzo sono partito verso le 4.45 dalla tenda, intorno alle 6 ho iniziato a risalire la prima fissa e qui è iniziata l’avventura. Da quando sono partito ho lavorato senza interruzione, cercando di non perdere tempo prezioso. La più grande preoccupazione che mi ha accompagnato lungo l'intera via (oltre a quella di dovermi tirare su una corda fissata a soste su chiodi appeso nel vuoto più totale) è stata quella di ritrovarmi con il buio appeso in mezzo a quella parete strapiombante senza punti comodi dove potermi sedere o sdraiare. Anche se non sembra, la via va sempre un po’ in traverso e gestire la risalita ed il saccone mi ha tolto parecchia energia.
Poco dopo metà via ho iniziato a sentire qualche accenno di crampi mentre risalivo la corda ma ho cercato di non farci caso, era troppo presto ed avevo ancora tanta strada da fare. Il terz'ultimo tiro è gradato VIII+ ed affronta un tetto strapiombante prima degli ultimi due tiri più facili. Mentre affrontavo questo tetto sono letteralmente esploso: crampi alle braccia ed alle mani, piedi doloranti e sangue alle dita, mi sono appeso con il fifi e sono rimasto 10 minuti sospeso su un chiodo nel vuoto a cercare di recuperare e di scacciare i pensieri negativi che arrivavano dalla mia testa. Mi sono fatto forza e con grandi respiri e qualche urlo sono arrivato in sosta, sapevo che il più era andato ma avevo ancora tanto lavoro da fare, dovevo smontare quel maledetto tiro strapiombante in traverso e mancavano due tiri alla cima.
Solo quando alle 18.35, con la luce rossa del tramonto alle mie spalle, mi sono assicurato all’ultima sosta sul bordo del plateau sommitale ho capito che ce l’avevo fatta. A questo punto ho letteralmente rallentato scalando una marcia. Sono sceso a recuperare il materiale, ho acceso la frontale, mi sono messo il saccone in spalla ed ho iniziato a risalire la corda. Forse complice il saccone che mi tirava indietro mi sono esplosi i crampi anche agli addominali, ormai però era fatta, potevano venirmi tutti i dolori del mondo ma quella maniglia l’avrei spaccata a forza di tirarla pur di arrivare in cima.
Una volta fuori, anche se tirava vento, mi sono preso un po’ di tempo per godermi il momento in compagnia di un pezzo di grana che conservavo nel fondo del saccone, tanto la discesa la conoscevo bene ed infatti è filata via veloce fino alla tenda.
L’indomani, con tutta la calma del mondo, mi sono svegliato e sono sceso fino al parcheggio del Passo Costalunga, intorno a me solo sciatori in preparazione per la loro giornata di sci in pista su lingue di neve in mezzo ai prati. Volevo scambiare due parole con qualcuno, raccontargli cosa avevo fatto, ma mi sembrava di essere in un altro pianeta, un pesce fuor d’acqua. Che strano, scappi dal mondo civilizzato ma poi un po’ il mondo ti manca.
di Stefano Ragazzo
Stefano Ragazzo ringrazia: SCARPA, Grivel
Info: www.alpinevibes.it