Peter Moser, tutte le 200 cime del selvaggio Lagorai in inverno

Intervista a Peter Moser, alpinista e guida alpina, che in poco più di 15 giorni lo scorso inverno (prima del lockdown) ha concatenato oltre 200 cime sopra i 2000 metri della catena Lagorai-Cima d’Asta. Un difficile ed impegnativo viaggio, con e senza gli sci, lungo decine di chilometri ed oltre 6000 metri di dislivello affrontati giornalmente.
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Peter Moser sulla Cima d'Asta durante il progetto di tutte le 200 cime del selvaggio Lagorai in inverno
Roberto De Pellegrin

Peter Moser ha realizzato un sogno, che poi è quello di tantissimi alpinisti e appassionati: un viaggio, anzi una vera e propria immersione, nel mondo “altro” e selvaggio della montagna. Un'avventura che Moser, montanaro, alpinista e guida alpina, ha intrapreso sulle sue montagne, quel Lagorai (o Aurai) che ha riempito i suoi orizzonti fin da quando era bambino. Un posto unico. Un territorio, incastonato tra le nobili Dolomiti, che ha conservato quel fascino aspro e duro che rende semplicemente impagabile la natura incontaminata. Un luogo dell'anima, dunque. Come ci ha raccontato lo stesso protagonista di questo grande tour.

Peter, prima di tutto, raccontaci un po' di te
Io ho sempre vissuto qui, nel Lagorai. Faccio la guida alpina lavoro nei boschi e faccio l'agricoltore. La mia è una famiglia di contadini. Da generazioni siamo gente di Maso, quelli che rappresentano nel miglior modo l’agricoltura di montagna insomma. Quelli che vivono nel Maso e quindi vivono con la terra nel sangue. Così si nasce e questo si ha dentro per sempre. Dunque, sono un contadino e lo combino con il mio lavoro di guida alpina, ed è così che mi piace.

Perché questo progetto di salire tutte le 200 cime del Lagorai in inverno?
Era un po' di anni, fin da bocia, che volevo fare qualcosa di bello qua nel Lagorai, senza guardare ai gruppi più famosi. Anche perché il Lagorai è la catena montuosa più grande ed estesa che abbiamo in Trentino. Insomma, l'idea è nata un po' gradualmente. Poi quest'anno avevo voglia di fare qualcosa di bello e di mettermi un po' in gioco con le pelli e staccare un po' con l'arrampicata. Così ho colto l'occasione.

Meno di 15 giorni per attraversare tutte le 200 cime del Lagorai, l'hai fatto in continuità?
L'idea era salire tutte le cime del Lagorai durante il periodo invernale. Poi, nella mia testa, c'era di farlo nel modo più veloce possibile, però senza delle regole proprio fisse. Così sono partito cercando di farlo nel miglior tempo possibile, poi ho dovuto interrompere alcuni giorni perché c'era un vento bestiale, a febbraio un giorno su due soffiava fortissimo. Allora alcune giornate ho interrotto. Però in linea di massima diciamo che i 15 giorni sono stati ripartiti, più o meno, in una ventina di giorni.

Com'erano le condizioni?
Sfortuna, o fortuna, ha voluto che all'inizio sia stato un inverno caratterizzato da una nevicata precoce seguita da delle piogge anche in quota. Era tutto ghiaccio, tutto duro, così ci si muoveva abbastanza veloci, anzi molto veloci. Anche se le condizioni erano abbastanza brutte per lo scialpinismo, erano abbastanza buone per correre su creste o canali. Poi nessuno sapeva che avrebbero chiuso tutto per il Covid, ma alla fine è stato perfetto perché quando ho concluso il progetto, tempo di fare un po' di riprese, che non le abbiamo neanche finite tutte, e hanno chiuso tutto. E alla fine della fiera è stato anche un colpo di fortuna.

Perché da solo?
Andare da solo, per me, è quasi una necessità. Anche perché è difficile trovare il compagno giusto per fare delle cose così, molto veloci e con disponibilità di tempo. Quindi farlo in solitaria è stata una necessità e insieme una comodità: non dovevo trovare compagni a cui magari avrei dovuto adeguarmi. Sapevo che questo progetto sarebbe stato più bello e facile, anche dal punto di vista organizzativo, se dovevo gestire solo me stesso. Poi, essere dentro da solo, in mezzo a quelle cime, qua a casa mia, per me era un po' il massimo.

Ma non è che tu sei proprio un solitario, voglio dire come persona?
Ah, come persona sì. Ovvio, tutti i montanari sono un po' solitari.

Ecco, cosa significa per te essere un montanaro, prima ancora che un alpinista?
Sicuramente sono due parole che non c'entrano niente tra loro. Un montanaro può non essere un alpinista. Il montanaro è uno che abita in montagna, che mette le radici in montagna, che considera la montagna il proprio habitat e non solo il luogo dove vive o dove va a passare le vacanze. Il montanaro è uno che fa parte della montagna, a prescindere dal proprio lavoro, dalla propria passione, dal proprio fare. Io sono un montanaro a 360 gradi: sono nato in montagna e morirò in montagna. Poi che riesca a fare anche l'alpinista e l'agricoltore in montagna è una conseguenza del mio essere montanaro. E queste cose che faccio, questi giri, come passo i miei inverni e le mie estati, è la conseguenza del mio essere montanaro.

Ritorniamo in Lagorai, c'è qualcosa che ti ha sorpreso nel tuo tour?
Quando sono partito per fare questo giro pensavo: abito qua, da sempre faccio tanti di quei metri di dislivello su e giù da queste cime che per me è routine essere dentro e fuori da queste montagne. Pensavo quindi di affrontare questo giro in un ambiente che conoscevo molto bene. Invece, la cosa bella e che mi ha sorpreso è che ho scoperto degli angoli bellissimi e inaspettati. Mi sono reso conto che il Lagorai è veramente grande e ancora veramente selvaggio.

Qual è la cima, se c'è, che ti ha dato più soddisfazione e perché?
La zona di Rava e Cima d'Asta è praticamente come casa mia. Ogni volta che ci metto piede è come essere a casa. Là c'è il fulcro e il cuore selvaggio del Lagorai, e anche il più aspro. E' là dove incontrato le difficoltà tecniche maggiori. Ogni volta che passo ci lascio sempre il cuore, anche durante questo giro. Per me è sempre un'emozione.

Mi pare di capire che individui il massimo della difficoltà, o quello che ti ha impegnato di più, nell'insieme dell'esperienza.
Per le difficoltà potrei dirti di qualche parete. Dal punto di vista tecnico, di qualche cresta che ho fatto da solo. Poi ci sono stati dei punti in cui magari c'è stato un imprevisto: è venuto giù un lastrone di neve e c'ero sopra, o c'era il vento fortissimo, in alcuni punti ho avuto dubbi anche di riuscire a passare... E' stata una continua avventura. Appunto, è stato tutto un insieme di cose. Potrei dirti che è stato bello, un'emozione, quando ad un certo punto, non ti so neanche dire con precisione dove, ho capito che ce l'avrei fatta. Perché comunque non avevo la certezza, quando sono partito, di riuscirci. Perché sono un bel po' di metri di dislivello per farli in così poco tempo. Poi, le condizioni potevano cambiare. Insomma, è stato un insieme di fattori.

Quindi, dov'è il bello di una cosa così?
Sicuramente il bello è che alla fine sei su. Sai... un po' senza regole. E' stato bello, insomma, vivere questi giorni libero da tutto, non avevo neanche il telefono acceso, nessuna cartina, nessun gps, ascoltavo solo il mio istinto. E' stato quello il bello, il centro del discorso: riuscire a non programmare. Cioè fare un giro così senza programmare troppo e vivendomela giorno per giorno, cima dopo cima.

Dove dormivi?
Ho dormito in giro. Poteva capitare che mi abbassavo di quota e dormivo sotto una pianta. Oppure dormivo in bivacco. O, ancora, tornavo giù perché magari chiudevo la tappa e tornavo a casa la sera tardi. Oppure mi facevo venire a prendere dall'altra parte del Lagorai e tornavo su la mattina. Un po' di tutto, insomma.

Ti sei sentito un po' selvaggio?
Ma io sono sempre stato un selvaggio. Mi sono sempre sentito selvaggio. Questo giro è stato semplicemente vivere a casa mia. Capisci? E' stata un'evasione da quella che è la prigione della quotidianità. E un'occasione per tornare a casa mia. Per cui sì, selvaggio lo sono a prescindere da questo giro. O meglio, mi sento ingabbiato spesso in mezzo alla gente ed è proprio in quei momenti che il richiamo del mio ambiente naturale si fa più forte.

Un ritorno alla tua anima...
Sì, esatto diciamo quell'anima che per fortuna ancora coincide con questo ambiente. Quando non sarà più così mi mancherà qualcosa... e andrò a cercarla in qualche altro posto. Ma per fortuna, per tornare a casa mia, c'è ancora questo cuore selvaggio che riesco a vedere con gli occhi giusti. Per cui andare a fare questo giro che ho fatto d'inverno, con condizioni anche brutte e poco interessanti dal punto di vista sci alpinistico, con ghiaccio vivo, sempre con quel vento forte, senza incontrare gente, è stata veramente una fortuna per me.

In che senso una fortuna?
Perché è stato quello il fulcro di tutto: andare a sentire l'urlo. L'urlo della montagna, nel momento della stagione in cui è più bella. Quando è poco interessante dal punto di vista sportivo, poco giocosa, ma ancora più viva. La condividi solo coi lupi, i camosci e i veri abitanti di queste montagne. E' lì che diventa tutto più bello, in questo modo ho vissuto questi 15, 20 giorni completamente immerso in questo ambiente nel modo più totale possibile. Se avessi incrociato gente, troppa gente, per me avrebbe perso d’interesse: restava solo una lunga corsa con gli sci o i ramponi. Invece, quello che mi piace è che seppur analizzandola dal punto di vista atletico è stata una notevole performance sportiva, l’ho pensata e vissuta ricercando tutt’altro. Quello che mi interessava era rimanere dentro e restare dentro il più possibile alla montagna. Seppure in velocità, che è anche il mio modo di andare.

Perché alla fine sei anche uno sportivo, sei un atleta
Sì, questo è semplicemente il mio modo di andare. Potrei aver interpretato questo giro anche a 75 anni e metterci 3 mesi invece che 15 giorni. Ma questo è il mio modo di andare adesso in montagna: veloce e leggero. Però è secondario per quella che è la visione dell'interpretazione dei miei progetti. E' semplicemente il mio modo di muovermi in questo momento della vita. Fra 30 anni, fra 40 anni, sarà diverso ma penso che se rifacessi le stesse cose a quell’eta, il mio pensare sarebbe uguale a quello di adesso.

Quindi, come vedi il tuo futuro?
Adesso vado veloce, o molto veloce. Penso all'arrampicata con un certo grado. Penso allo scialpinismo con una certa velocità. Penso ai miei progetti alpinistici su vie difficili. Però questo è semplicemente un modo di vivere questo ambiente con il fisico che ho adesso. Ma credo che la mia testa, il mio modo di pensare, resterà invariato anche più in là, in futuro, e vivrò la montagna con la stessa testa ma muovendomi diversamente.

E agli alpinisti, cosa diresti?
Quello che dico anche a me stesso. Di mettersi in gioco. Di non programmare troppo. Di non collezionare performace. Di immergersi totalmente nella natura, di rapportarsi con lei in modo primitivo, di provare a fare a meno della tecnologia per muoversi, di riscoprire i nostri istinti più profondi e di lasciarsi guidare da essi. Non voler per forza portare a casa il risultato. Perché il risultato è l'esperienza stessa, non il raggiungimento di qualcosa. Il mio consiglio è di arrivare in montagna e di lasciare che l'esperienza ti trasporti.

intervista di Vinicio Stefanello



LE PRINCIPALI TAPPE del Lagorai d’inverno tutto d’un fiato di Peter Moser
1 – in Valsugana da Panarotta, tutte le cime tra la Valsugana e la Val dei Mocheni;
2 – in Val Calamento da Malga Baessa e Cima Ziolera (2478 m), tutta la zona del Monte Croce (2490 m), Monte Cadino (2420 m), Monte Fregasoga (2447 m), Cimon di Tres (2292 m);
3 – in Val Campelle dal Ponte di Conseria, tutte le cime da Cima Lagorai (2585 m) fino alla Pala del Becco (2422 m);
4 – in Val Campelle dal Ponte di Conseria, al Passo Cinque Croci (2018 m), Cima Nassere (2253 m), Cima Orsera (2471 m), Monte Cimo;
5 – in Val Malene, tutte le cime della zona del Cimon di Rava (2436 m);
6 – in Val Malene da Malga Sorgazza, tutte le Cime di Segura (2413 m);
7 – in Val Malene da Malga Sorgazza, tutte le cime di Cima d’Asta (2847 m);
8 – dal Passo Broccon al Palon della Cavallara (2201 m), Col dela Crose (2423), Cima Spiadon (2312 m);
9 – da Predazzo al Passo Rolle;
10 – dalla Val Veneggia, tutte le cime della zona Cima Juribello e Cima Juribrutto (2697 m);
11 – in Valle del Vanoi dal lago di Calaita, tutte le cime zona Folga (2436 m) e Tognola (2185 m);
12 – in Valle del Vanoi da Refavaie, a Valmaggiore fino a forcella Lagorai;
13 – in Val Cadino da Ponte delle Stue, tutte le cime zona Cimon di Val Moena (2488 m) fino al Cermis.

info: www.aku.it




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