Miss Elizabeth Hawley, Himalaya da reporter
La mitica reporter che da 40 anni incontra le spedizioni di passaggio a Kathmandu
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Miss Elizabeth Hawley
Marco Albino Ferrari
Dal 1963, anno del suo arrivo a Kathmandu come corrispondente dell’Agenzia Reuters, Elizabeth Hawley ha costantemente monitorato le spedizioni in partenza ed in arrivo dagli 8000, e dagli altri colossi himalayani. In media circa 250 spedizioni intervistate ogni anno per quasi 40 anni, rappresentano una mole enorme di dati, incontri e conoscenze. Un immenso e favoloso tesoro di esperienze e cose da raccontare che fanno di questa giornalista, nata a Chicago nel 1923, una figura più unica che rara nel mondo dell'alpinismo, e certo una delle più appassionate e competenti conoscitrici della storia delle grandi montagne di Nepal e Tibet.
Manuel Lugli l'ha incontrata ed intervistata per noi, a Kathmandu. E Miss Hawley ha confermato la sua proverbiale verve e schiettezza, da vera reporter degna della tradizione anglosassone.
Il cambio di “attitudine” verso gli 8000
Da un po' di tempo si sono delineate quelle figure di alpinisti che io chiamo "peakbaggers" ossia quegli alpinisti che fanno le salite per mettere in carniere più vette possibili, senza poi curarsi troppo del come queste vengono salite, dei dettagli. Purtroppo molti di questi alpinisti arrivano anche a raccontare il falso. A volte per disinvoltura eccessiva, ma altre decisamente con malizia, sostenendo di avere raggiunto la cima della montagna senza che ciò sia vero. Il Cho Oyu, ad esempio, è uno degli ottomila che più risente di questo problema. Oltre ad essere uno dei più battuti, possiede anche caratteristiche morfologiche che si prestano a mistificazioni; l'inizio del vasto plateau sommitale, che in realtà deve essere percorso a lungo prima di giungere in vetta, è per molti, troppi, "la vetta". Quando poi li intervisto dopo la spedizione, quando entro nei dettagli di ciò che hanno visto arrivando in vetta (le bandierine di preghiera, quali montagne ecc), ovviamente i castelli di carte dei loro resoconti crollano inesorabilmente. Se alla domanda: "Cosa hai visto dalla cima?" mi si risponde: "Montagne"; è chiaro che non e' una risposta. Il problema riguarda anche alpinisti di fama, anche se qui entrano in gioco anche altri fattori, e primo fra tutti la pressione di quegli sponsors che pretendono risultati ad ogni costo.
Influenza della tecnologia.
Credo sia un fatto fondamentalmente negativo. Telefoni, computer, internet, tutto questo distoglie, distrae dalla montagna. Quando un alpinista decide di salire una montagna, dovrebbe essere totalmente concentrato sulla montagna, farsi permeare, entrare in simbiosi con l'ambiente in cui si muove. Stare ore ed ore a scrivere reports per gli sponsors od i giornali - che se non ricevono nulla iniziano ad agitarsi; chiamare a casa la moglie per sentire se i bimbi stanno bene - e magari scoprire qualche disastro e dover combattere tra la voglia di tornare e quella di salire - ha un'influenza profondamente negativa sugli alpinisti. Quattro anni fa, un americano che tentava la Nord dell'Everest ha raggiunto il Colle Nord dove è rimasto praticamente per tutto il tempo della spedizione. Chi lo incontrava, salendo e scendendo dalla montagna, diceva che era costantemente attaccato al telefono ed al computer. Pura follia.
Spedizioni commerciali
Personalmente, non ho nulla contro le spedizioni commerciali, che siano guidate oppure no. L'unica, cosa importante è che i clienti di queste spedizioni devono sapere esattamente cosa possono aspettarsi dall'organizzazione e cosa no. Nelle spedizioni guidate, ad esempio, troppo spesso organizzatori, diciamo "disinvolti", non fanno altro che mettere assieme persone che vogliono salire la stessa montagna, senza curarsi minimamente dei loro curriculum, e di fornire tutti i servizi. Alcune guide, poi, salgono e scendono lungo la via, ma senza curarsi troppo dei clienti perché, magari, sono più concentrati sulla propria di salita. Due anni fa circa è accaduto un incidente mortale all'Everest durante una spedizione guidata (direi fossero presenti 2 guide) e organizzata in modo pare piuttosto approssimativo da un'agenzia inglese abbastanza nota. L'agenzia è poi stata citata in giudizio per il fatto. Altri invece sono molto seri e chiari sui loro servizi, sia che questi finiscano al campo base o proseguano sulla montagna. Russel Bryce, con le sue selezioni piuttosto severe dei clienti ed un'ottima organizzazione, è uno di questi.
Costi dei permessi e sviluppo del turismo alpinistico
Questo è un argomento molto delicato. Come puoi constatare, i costi dei permessi in Nepal crescono spesso, ma gli alpinisti continuano a venire ed in numero sempre maggiore. Ti lascio immaginare cosa sarà l'Everest il prossimo anno (50th anniversario della prima salita): il campo base arriverà fino a Gorak Shep! E' innegabile che il denaro dei permessi di salita è una voce estremamente importante per l'economia nepalese. Senza considerare poi tutto l'indotto che si è creato attorno al mondo delle spedizioni per cuochi, portatori d'alta quota, di bassa quota, etc. Ciò non toglie che una tutela dell'ambiente himalayano, così delicato, sia indispensabile. Qualche alpinista ha avuto idee interessanti sia dal punto di vista pratico, che per sensibilizzare maggiormente il pubblico sul problema dei rifiuti d'alta quota. Il giapponese Ken Naguchi (v. nota), per esempio, viene da anni in Nepal e Tibet con teams, di alpinisti e sherpa che lavorano alla raccolta dei rifiuti in alta ed altissima quota. Una volta raccolti i rifiuti, al campo base li divide per nazionalità e quindi li "recapita" ai rispettivi paesi.
Nota di Manuel Lugli, da testimone oculare: al CB Everest, nel 2000, Naguchi ha raccolto tre tonnellate di rifiuti riportando quasi tutto in Giappone! L'ha fatto con la Cina e con la Corea. Con i rifiuti giapponesi riportati in patria, ha effettuato mostre e conferenze in giro per il paese, raccogliendo oltretutto grossi sostegni finanziari per dare continuità alla sua opera, che poi è uno dei grossi problemi di queste operazioni. Un altro, l'americano Robert Hoffman, pagava dei bonus agli sherpa che, dopo essere saliti coi carichi delle spedizioni al Colle sud dell'Everest, ne discendevano riportando rifiuti. Un modo eccellente per non farli salire vuoti a rischiare la vita solo per la spazzatura ed allo stesso tempo contribuire alla bonifica del Colle. Certo se tutte le spedizioni si comportassero così, le cose potrebbero cambiera in breve tempo.
L’alpinista più forte, il più gentleman…
I primi nomi che mi vengono in mente sono Tomaz Humar e Reinhold Messner.
Considero Humar - come molti degli sloveni - forse il più forte alpinista degli ultimi anni. Percorre vie estremamente difficili, grandi pareti himalayane in stile alpino, in solitaria, con poco impatto sull'ambiente. Basti ricordare la nord del Dhaulagiri fino 7.900 metri. Al tempo stesso é gentile nei modi, cordiale, sempre disponibile: un vero gentleman. Pensa, che si ricorda persino la data del mio compleanno, e mi manda gli auguri!
Messner ha precorso i tempi dell'alpinismo come nessun altro. Ha inventato la corsa ai quattordici ottomila; negli anni settanta ha salito l'Everest senza ossigeno, sopravvivendo contro ogni previsione. Ha effettuato salite by fair means, aprendo molto spesso nuove vie o nuove varianti. Ha creato grandi traversate d'alta quota come quella del GasherbrumI-GahserbrumII. E' poi un uomo dalla personalità straordinariamente multiforme, che ha saputo arricchire (ampliare) molto negli anni. Quando l'ho conosciuto, nel 1972, mi sembra per la sua prima spedizione al Manaslu, era un giovane insegnante, assolutamente semplice, che sapeva a malapena poche parole di inglese. Ora ha una vita intensa in vari campi, ed è estremamente coinvolto nello studio del Buddhismo. Le altitudini lo hanno avvicinato al buddhismo, facendogli vivere esperienze mistiche. Intendiamoci, per esperienze mistiche non intendo mettersi a parlare sulla vetta con qualcuno che non c'e': queste sono semplici allucinazioni. Io parlo d’esperienze molto più spirituali.
Certo so che ha un temperamento abbastanza difficile, sia nei rapporti con la stampa che col pubblico - anche se non ho mai potuto constatarlo durante i nostri incontri - e che spesso viene descritto come arrogante, ma ciò nulla toglie alla sua grandezza. Ricordo un episodio divertente che descrive questa sua personalità sfaccettata e brillante. Nei moduli che faccio compilare agli alpinisti per il mio archivio, una parte è dedicata allo stato civile. Questa riporta: single, sposato, divorziato, convivente, da barrare a seconda dei casi. Ebbene una volta Reinhold me li barrò tutti. Alla mia richiesta di spiegazioni rispose: "Beh, mi sono sposato in Italia, ho divorziato in Germania ed ora vivo con una ragazza". "OK ma perché anche single?" gli domandai, e lui: "Perché mi sento single."'
Record di salite
Ne abbiamo già parlato: sempre più gente vuole salire le montagne himalayane e soprattutto l'Everest, non c'è quindi da meravigliarsi di questi numeri. Ed anche dei paradossi che tutto questo crea. Ricorderai che in primavera c'è stato il record dell'uomo più anziano in vetta all'Everest. Un record suddiviso tra il tuo connazionale Mario Curnis ed un giapponese: entrambi 65enni, ma con un "vantaggio" di 21 giorni da parte del giapponese. Ebbene, ho avuto descrizioni dettagliate di come il giapponese ha effettuato la sua salita (non si può parlare di scalata): con uno sherpa davanti ed uno dietro e l'ossigeno. Alla scaletta del Second Step lo sherpa davanti, legato cortissimo, lo reggeva, mentre quello dietro gli appoggiava i piedi, uno alla volta, sugli scalini. Quando l'ho intervistato gli ho chiesto come si era sentito in vetta, e lui mi ha risposto: "Sarei salito ancora!" Lo sherpa mi ha confessato che in vetta non sapeva esattamente dove si trovava, e dava risposte incoerenti. Questo non è "scalare" l'Everest, questo è sopravvivere in qualche modo all'Everest.
Ecco perché il record di scalata come persona più anziana è di Curnis, comunque. Se proprio vogliamo parlare di record, allora ricordiamo la salita di Lafaille e Inurrategi all'Annapurna, lungo una via estremamente tecnica, difficilissima. La cresta est, aperta da Lorethan e Joos, da raggiungere con difficile arrampicata, è lunghissima e ha costretto i due alpinisti a rimanere in alta quota quasi una settimana, prima di ridiscendere con successo lungo lo stesso itinerario. Certo Lorethan e Joos erano poi scesi sulla Nord, aggiungendo una discesa ignota ad una salita ignota. Ma questo non toglie nulla allo straordinario exploit di Lafaille ed Inurrategi. Questo è un record, il resto sono numeri.
Situazione politica in Nepal
La situazione è abbastanza delicata, in effetti. Ma bisogna dire che a tutt'oggi nessun alpinista è rimasto coinvolto nell'attività dei maoisti, se non marginalmente con piccoli "contributi" forzati in denaro od oggetti, richiesti soprattutto nelle aree più marginali del Nepal. Qui, poi, si può discutere sul fatto se questi siano maoisti veri o pretesi, ma questo non sposta il problema. Il turista, insomma, finora non è stato un bersaglio serio per i maoisti. Certo è raccomandabile evitare le regioni nell'estremo ovest od est del Paese, l'alto Dolpo, il Kanchenjunga e magari limitarsi alle parti centrali.
Progetti di solidarietà
Sono importanti e benvenuti, purché siano supportati da una certa continuità. Tre anni fa un gruppo francese ha edificato una scuola vicino a Lukla, fornendo poi materiale e supporto per un paio d'anni. Finito questo periodo, alla richiesta di come avrebbero continuato il progetto, è stato risposto che avrebbe dovuto pensarci l'Himalayan Trust. Ma l'Himalayn Trust non può accollarsi il mantenimento di tutti i progetti a breve termine. Dunque - al di la' di ogni offerta generosa ma troppo spesso ingenua - bisogna cercare di proporre e realizzare iniziative che diano una garanzia di continuità. Altrimenti forse è meglio pensarci sopra per bene.
Intervista di Manuel Lugli (Kathmandu, 6 ottobre 2002)
Manuel Lugli l'ha incontrata ed intervistata per noi, a Kathmandu. E Miss Hawley ha confermato la sua proverbiale verve e schiettezza, da vera reporter degna della tradizione anglosassone.
Il cambio di “attitudine” verso gli 8000
Da un po' di tempo si sono delineate quelle figure di alpinisti che io chiamo "peakbaggers" ossia quegli alpinisti che fanno le salite per mettere in carniere più vette possibili, senza poi curarsi troppo del come queste vengono salite, dei dettagli. Purtroppo molti di questi alpinisti arrivano anche a raccontare il falso. A volte per disinvoltura eccessiva, ma altre decisamente con malizia, sostenendo di avere raggiunto la cima della montagna senza che ciò sia vero. Il Cho Oyu, ad esempio, è uno degli ottomila che più risente di questo problema. Oltre ad essere uno dei più battuti, possiede anche caratteristiche morfologiche che si prestano a mistificazioni; l'inizio del vasto plateau sommitale, che in realtà deve essere percorso a lungo prima di giungere in vetta, è per molti, troppi, "la vetta". Quando poi li intervisto dopo la spedizione, quando entro nei dettagli di ciò che hanno visto arrivando in vetta (le bandierine di preghiera, quali montagne ecc), ovviamente i castelli di carte dei loro resoconti crollano inesorabilmente. Se alla domanda: "Cosa hai visto dalla cima?" mi si risponde: "Montagne"; è chiaro che non e' una risposta. Il problema riguarda anche alpinisti di fama, anche se qui entrano in gioco anche altri fattori, e primo fra tutti la pressione di quegli sponsors che pretendono risultati ad ogni costo.
Influenza della tecnologia.
Credo sia un fatto fondamentalmente negativo. Telefoni, computer, internet, tutto questo distoglie, distrae dalla montagna. Quando un alpinista decide di salire una montagna, dovrebbe essere totalmente concentrato sulla montagna, farsi permeare, entrare in simbiosi con l'ambiente in cui si muove. Stare ore ed ore a scrivere reports per gli sponsors od i giornali - che se non ricevono nulla iniziano ad agitarsi; chiamare a casa la moglie per sentire se i bimbi stanno bene - e magari scoprire qualche disastro e dover combattere tra la voglia di tornare e quella di salire - ha un'influenza profondamente negativa sugli alpinisti. Quattro anni fa, un americano che tentava la Nord dell'Everest ha raggiunto il Colle Nord dove è rimasto praticamente per tutto il tempo della spedizione. Chi lo incontrava, salendo e scendendo dalla montagna, diceva che era costantemente attaccato al telefono ed al computer. Pura follia.
Spedizioni commerciali
Personalmente, non ho nulla contro le spedizioni commerciali, che siano guidate oppure no. L'unica, cosa importante è che i clienti di queste spedizioni devono sapere esattamente cosa possono aspettarsi dall'organizzazione e cosa no. Nelle spedizioni guidate, ad esempio, troppo spesso organizzatori, diciamo "disinvolti", non fanno altro che mettere assieme persone che vogliono salire la stessa montagna, senza curarsi minimamente dei loro curriculum, e di fornire tutti i servizi. Alcune guide, poi, salgono e scendono lungo la via, ma senza curarsi troppo dei clienti perché, magari, sono più concentrati sulla propria di salita. Due anni fa circa è accaduto un incidente mortale all'Everest durante una spedizione guidata (direi fossero presenti 2 guide) e organizzata in modo pare piuttosto approssimativo da un'agenzia inglese abbastanza nota. L'agenzia è poi stata citata in giudizio per il fatto. Altri invece sono molto seri e chiari sui loro servizi, sia che questi finiscano al campo base o proseguano sulla montagna. Russel Bryce, con le sue selezioni piuttosto severe dei clienti ed un'ottima organizzazione, è uno di questi.
Costi dei permessi e sviluppo del turismo alpinistico
Questo è un argomento molto delicato. Come puoi constatare, i costi dei permessi in Nepal crescono spesso, ma gli alpinisti continuano a venire ed in numero sempre maggiore. Ti lascio immaginare cosa sarà l'Everest il prossimo anno (50th anniversario della prima salita): il campo base arriverà fino a Gorak Shep! E' innegabile che il denaro dei permessi di salita è una voce estremamente importante per l'economia nepalese. Senza considerare poi tutto l'indotto che si è creato attorno al mondo delle spedizioni per cuochi, portatori d'alta quota, di bassa quota, etc. Ciò non toglie che una tutela dell'ambiente himalayano, così delicato, sia indispensabile. Qualche alpinista ha avuto idee interessanti sia dal punto di vista pratico, che per sensibilizzare maggiormente il pubblico sul problema dei rifiuti d'alta quota. Il giapponese Ken Naguchi (v. nota), per esempio, viene da anni in Nepal e Tibet con teams, di alpinisti e sherpa che lavorano alla raccolta dei rifiuti in alta ed altissima quota. Una volta raccolti i rifiuti, al campo base li divide per nazionalità e quindi li "recapita" ai rispettivi paesi.
Nota di Manuel Lugli, da testimone oculare: al CB Everest, nel 2000, Naguchi ha raccolto tre tonnellate di rifiuti riportando quasi tutto in Giappone! L'ha fatto con la Cina e con la Corea. Con i rifiuti giapponesi riportati in patria, ha effettuato mostre e conferenze in giro per il paese, raccogliendo oltretutto grossi sostegni finanziari per dare continuità alla sua opera, che poi è uno dei grossi problemi di queste operazioni. Un altro, l'americano Robert Hoffman, pagava dei bonus agli sherpa che, dopo essere saliti coi carichi delle spedizioni al Colle sud dell'Everest, ne discendevano riportando rifiuti. Un modo eccellente per non farli salire vuoti a rischiare la vita solo per la spazzatura ed allo stesso tempo contribuire alla bonifica del Colle. Certo se tutte le spedizioni si comportassero così, le cose potrebbero cambiera in breve tempo.
L’alpinista più forte, il più gentleman…
I primi nomi che mi vengono in mente sono Tomaz Humar e Reinhold Messner.
Considero Humar - come molti degli sloveni - forse il più forte alpinista degli ultimi anni. Percorre vie estremamente difficili, grandi pareti himalayane in stile alpino, in solitaria, con poco impatto sull'ambiente. Basti ricordare la nord del Dhaulagiri fino 7.900 metri. Al tempo stesso é gentile nei modi, cordiale, sempre disponibile: un vero gentleman. Pensa, che si ricorda persino la data del mio compleanno, e mi manda gli auguri!
Messner ha precorso i tempi dell'alpinismo come nessun altro. Ha inventato la corsa ai quattordici ottomila; negli anni settanta ha salito l'Everest senza ossigeno, sopravvivendo contro ogni previsione. Ha effettuato salite by fair means, aprendo molto spesso nuove vie o nuove varianti. Ha creato grandi traversate d'alta quota come quella del GasherbrumI-GahserbrumII. E' poi un uomo dalla personalità straordinariamente multiforme, che ha saputo arricchire (ampliare) molto negli anni. Quando l'ho conosciuto, nel 1972, mi sembra per la sua prima spedizione al Manaslu, era un giovane insegnante, assolutamente semplice, che sapeva a malapena poche parole di inglese. Ora ha una vita intensa in vari campi, ed è estremamente coinvolto nello studio del Buddhismo. Le altitudini lo hanno avvicinato al buddhismo, facendogli vivere esperienze mistiche. Intendiamoci, per esperienze mistiche non intendo mettersi a parlare sulla vetta con qualcuno che non c'e': queste sono semplici allucinazioni. Io parlo d’esperienze molto più spirituali.
Certo so che ha un temperamento abbastanza difficile, sia nei rapporti con la stampa che col pubblico - anche se non ho mai potuto constatarlo durante i nostri incontri - e che spesso viene descritto come arrogante, ma ciò nulla toglie alla sua grandezza. Ricordo un episodio divertente che descrive questa sua personalità sfaccettata e brillante. Nei moduli che faccio compilare agli alpinisti per il mio archivio, una parte è dedicata allo stato civile. Questa riporta: single, sposato, divorziato, convivente, da barrare a seconda dei casi. Ebbene una volta Reinhold me li barrò tutti. Alla mia richiesta di spiegazioni rispose: "Beh, mi sono sposato in Italia, ho divorziato in Germania ed ora vivo con una ragazza". "OK ma perché anche single?" gli domandai, e lui: "Perché mi sento single."'
Record di salite
Ne abbiamo già parlato: sempre più gente vuole salire le montagne himalayane e soprattutto l'Everest, non c'è quindi da meravigliarsi di questi numeri. Ed anche dei paradossi che tutto questo crea. Ricorderai che in primavera c'è stato il record dell'uomo più anziano in vetta all'Everest. Un record suddiviso tra il tuo connazionale Mario Curnis ed un giapponese: entrambi 65enni, ma con un "vantaggio" di 21 giorni da parte del giapponese. Ebbene, ho avuto descrizioni dettagliate di come il giapponese ha effettuato la sua salita (non si può parlare di scalata): con uno sherpa davanti ed uno dietro e l'ossigeno. Alla scaletta del Second Step lo sherpa davanti, legato cortissimo, lo reggeva, mentre quello dietro gli appoggiava i piedi, uno alla volta, sugli scalini. Quando l'ho intervistato gli ho chiesto come si era sentito in vetta, e lui mi ha risposto: "Sarei salito ancora!" Lo sherpa mi ha confessato che in vetta non sapeva esattamente dove si trovava, e dava risposte incoerenti. Questo non è "scalare" l'Everest, questo è sopravvivere in qualche modo all'Everest.
Ecco perché il record di scalata come persona più anziana è di Curnis, comunque. Se proprio vogliamo parlare di record, allora ricordiamo la salita di Lafaille e Inurrategi all'Annapurna, lungo una via estremamente tecnica, difficilissima. La cresta est, aperta da Lorethan e Joos, da raggiungere con difficile arrampicata, è lunghissima e ha costretto i due alpinisti a rimanere in alta quota quasi una settimana, prima di ridiscendere con successo lungo lo stesso itinerario. Certo Lorethan e Joos erano poi scesi sulla Nord, aggiungendo una discesa ignota ad una salita ignota. Ma questo non toglie nulla allo straordinario exploit di Lafaille ed Inurrategi. Questo è un record, il resto sono numeri.
Situazione politica in Nepal
La situazione è abbastanza delicata, in effetti. Ma bisogna dire che a tutt'oggi nessun alpinista è rimasto coinvolto nell'attività dei maoisti, se non marginalmente con piccoli "contributi" forzati in denaro od oggetti, richiesti soprattutto nelle aree più marginali del Nepal. Qui, poi, si può discutere sul fatto se questi siano maoisti veri o pretesi, ma questo non sposta il problema. Il turista, insomma, finora non è stato un bersaglio serio per i maoisti. Certo è raccomandabile evitare le regioni nell'estremo ovest od est del Paese, l'alto Dolpo, il Kanchenjunga e magari limitarsi alle parti centrali.
Progetti di solidarietà
Sono importanti e benvenuti, purché siano supportati da una certa continuità. Tre anni fa un gruppo francese ha edificato una scuola vicino a Lukla, fornendo poi materiale e supporto per un paio d'anni. Finito questo periodo, alla richiesta di come avrebbero continuato il progetto, è stato risposto che avrebbe dovuto pensarci l'Himalayan Trust. Ma l'Himalayn Trust non può accollarsi il mantenimento di tutti i progetti a breve termine. Dunque - al di la' di ogni offerta generosa ma troppo spesso ingenua - bisogna cercare di proporre e realizzare iniziative che diano una garanzia di continuità. Altrimenti forse è meglio pensarci sopra per bene.
Intervista di Manuel Lugli (Kathmandu, 6 ottobre 2002)
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