Matteo Della Bordella vince il Premio SAT 2022 per la sezione alpinismo

Amos Sandri del Trento Film Festival ha intervistato il neo vincitore del Premio SAT 2022 per la sezione alpinismo, il forte alpinista dei Ragni di Lecco Matteo Della Bordella, tra ricordi delle avventure trascorse e progetti futuri.
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Matteo Della Bordella in cima al Cerro Riso Patron Sud, Patagonia
Matteo Della Bordella, Silvan Schüpbach

È il Ragno di Lecco Matteo Della Bordella il vincitore del premio SAT 2022 per la sezione alpinismo consegnato nell’ambito del 70esimo Trento Film Festival. L’alpinista, assieme allo scrittore Giuseppe Mendicino e all’Associazione Serenella Onlus, ha ritirato il premio rivolto a chi si è distinto nel tempo per attività alpinistica, produzione scientifica letteraria e attività sociale. Un’occasione per approfondire il mondo dell’alpinismo con uno dei suoi maggiori esponenti.

Quando da piccolo ti sei affacciato alla montagna e all’alpinismo non ti sentivi portato per questo sport, poi le cose sono andate diversamente e questo premio ne è la conferma. Cos’è per te l’alpinismo adesso?
L’alpinismo per me è diventata una cosa importantissima, una ragione di vita. Se banalmente ci si chiede cosa si è fatto di bello ed importante nella propria vita, cos’è la cosa che è in grado di dare un senso a tutto quello che facciamo, ognuno di noi avrà una risposta diversa. Io risponderei con alcune delle mie salite perché tramite la loro realizzazione, che sono sogni che avevo, ho realizzato un po’ me stesso. Non parlo esclusivamente dell’atto di scalare la montagna ma anche tutto quello che c’è dietro; quello che vivi con i compagni di cordata, il legame che si crea, le avventure che vivi e quello che ti insegnano.

Le tue spedizioni si prefiggono di non lasciare materiali sulla parete per rispetto verso la natura e verso chi viene dopo.
Secondo me il fatto di lasciare la montagna così come l’abbiamo trovata dovrebbe essere la prima regola per tutti. Ognuno può avere il suo stile e decidere come scalare le montagne ma la regola del rispetto dovrebbe accomunare tutti gli alpinisti. Al giorno d’oggi nessuna salita ha senso che venga fatta se si modifica quella montagna lasciando un cambiamento permanente. Non ha più senso una cosa del genere, il rispetto e lo stile pulito dovrebbe essere una cosa universale.

È anche una questione di confrontarsi con la forza della natura in maniera onesta, ad armi pari. Un’occasione per specchiarsi nella montagna per conoscere i propri limiti e le proprie abilità.
Secondo me il fatto di confrontarti con armi pari, rinunciando ad aiuti tecnologici, mettendoti ad un livello chiaramente inferiore della montagna perché tu provi a vedere quello che riesci a fare con le poche risorse a disposizione che hai, ti permette di imparare di più. È un percorso inizialmente più difficile dove devi rinunciare più volte ma che poi, alla lunga, se da queste rinunce impari sempre qualcosa, ti fa crescere come persona e come alpinista. Le rinunce che ho fatto prima di riuscire a scalare la Torre Egger o il Cerro Torre sono state delle scuole eccezionali. Se avessi usato dei mezzi più avanzati tecnologicamente sarei arrivato su ma non sarebbe stato lo stesso percorso.

Tu sei legato particolarmente alla Patagonia. Una terra dove la natura, rispetto alle altre parti, sembra gridare più forte tutta la sua potenza e bellezza. È questo il motivo per cui sei tanto attratto?
Ogni posto ha le sue incognite, ma le forze della natura che ho vissuto in Patagonia da altre parti non le ho mai viste. Rispetto ad altri posti lì la natura regna in modo incontrastato e ti fa capire che tante volte non c’è niente da fare e tu ti devi adattare e ritirare. Questo è uno dei motivi ma ce ne sono altri difficili da spiegare perché secondo me quelle son proprio le montagne più belle del mondo. È come dire perché ti sei innamorato di una donna piuttosto di un’altra, non è che lo puoi spiegare a parole.

Poggiare le mani sulla roccia vergine di una nuova via spesso è anche un viaggio dentro noi stessi. Una scalata verticale verso la cima e al tempo stesso una calata nelle profondità dei nostri crepacci interiori. Al di là dell’aspetto sportivo, quanto ti ha aiutato l’alpinismo a conoscerti meglio e quanto ti ha aiutato nella vita di tutti i giorni?
L’alpinismo mi è stato utilissimo perché le scalate ti insegnano un sacco di cose anche sul rapporto tra i compagni. Ti fanno creare dei legami che ti rendi veramente conto di quanto siano veri e autentici. Con loro vivi dei momenti così intensi che ti legano per una vita. Ma ti insegna tante cose anche nella vita di tutti i giorni. Quando uno pensa ad un obiettivo che non raggiungerà mai a me vengono dei paragoni con delle vette che ho scalato, che quando ho iniziato non avrei mai pensato di raggiungere. Ti rendi veramente conto che le potenzialità che ognuno di noi ha sono enormi.

L’alpinismo spesso è sinonimo di ignoto e, proprio per questo, di libertà e creatività.

Secondo me la creatività e le idee sono uno dei valori più importanti dell’alpinismo, una delle cose che lo differenziano da tutti gli altri sport. Un punto cardine, quasi più importante della performance stessa. È l’idea che muove tutto quello che c’è dietro. Se un collega ha un’idea, un sogno di scalare una parete, io non andrei mai a provare a fare la stessa cosa perché il valore che lui ha avuto con questa visione è qualcosa di incredibile che non è giusto gli venga rubato.

A proposito di idee, quale sarà la prossima?

Da poco più di un mese sono entrato a far parte della Sezione Militare di Alta Montagna (SMAM) con l’idea di fare una spedizione quest’estate. Un bellissimo progetto che non posso ancora svelare. Dopo un’avventura come quella del Torre il fatto di cambiare, cioè partire con un nuovo gruppo, con un altro obiettivo e altre persone motivate, è una bellissima cosa perché non è facile, quando realizzi un progetto come Brothers in Arms sul Cerro Torre, trovare poi una motivazione.

Intervista di Amos Sandri

Info: trentofestival.itragnilecco.com, www.sat.tn.it




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