Marco Curti in arte Zio Tibia
Una decina di anni fa, bazzicando tra le falesie di Arco, incappai in un nuovo settore in cui una via aveva un che di famigliare. Rileggendo il nome più volte… non ci volevo credere… era evidente che il chiodatore di quella via ce l’aveva proprio con me! Eh sì, la via si chiamava (e si chiama) Lavast’oviglia, un 6b a dire il vero piuttosto bruttino ma , come si suo dire, a Caval Donato non si guarda in bocca! Non è da tutti avere una dedica così esplicita nelle falesie della Mecca della scalata italiana! Ad essere sincero il nome mi sembrò da subito una presa in giro, dunque decisi di informarmi su chi avesse chiodato quella via e cosa gli avessi mai fatto. Mi fu risposto solamente che era stato Zio Tibia. Ne sapevo quanto prima, ma questo Zio Tibia sembrava proprio non avere un vero nome ed essere conosciuto da tutti solo con questo soprannome… Come non conosci Zio Tibia? Zio Tibia, il chiodatore! Si vabbè ma chi è?? Decisi di lasciar perdere e non ci pensai più, non era poi così grave: la via avrebbe fatto il paio con “Oviglia la triglia” in Sardegna. Passarono vari anni e finalmente, dato che continuavo a sentir nominare questo fantomatico personaggio, riuscii a farmi raccontare la sua storia ed il perché di quel bizzarro soprannome. L’anno scorso ho avuto poi il piacere di conoscerlo di persona, mentre chiodava in una delle “mie” falesie a Ulassai in Sardegna. A dire il vero non abbiamo più affrontato l’argomento “Lavast’oviglia” ma la sua storia personale mi è sembrata comunque interessante e degna di attenzione. Non accetterà mai un’intervista, mi son detto, è un personaggio troppo discreto e lontano dai riflettori, uno che chioda per vera passione e non ama farsi pubblicità! E invece, talvolta basta chiedere… (M.O.)
Dunque…Zio… Marco, posso domandarti da dove deriva il tuo soprannome?
Per rispondere a questa domanda devo andare indietro nel tempo fino al 1989, quando ebbi un grave incidente arrampicando slegato in falesia, 12 metri di volo sino a terra che mi causarono una grave lesione alla gamba. Dopo qualche anno passato dentro e fuori dagli ospedali, conobbi Roberto Bassi, con il quale nacque una grande amicizia e la passione per la scoperta e la chiodatura di nuove falesie, fu il mio maestro.
Nel 1994 un gruppo di amici arrampicatori - chiodatori: Roberto Bassi, Danilo Bonvecchio, Rolando Larcher, Mauro Turri, Andrea Stenico ed io, fondammo Sisiphos. Scopo dell'associazione, la chiodatura e la manutenzione della gran parte delle falesie della Valle del Sarca.
Ricordo in particolare la prima uscita del gruppo Sisiphos, tutti assieme alla Gola di Toblino per creare nuovi itinerari e manutentare i vecchi. In quella occasione,“Ciccio Bello” allias Danilo Bonvecchio, con il suo consueto spirito ironico, mi affibbiò questo soprannome, da quel giorno per gli amici di scalata sono diventato: “Zio Tibia”.
Ma la chiodatura di itinerari di arampicata sportiva, fu da subito una vera passione o una necessità?
Ti dirò... fu subito una vera passione, ma purtroppo fu anche una necessità. Amavo troppo stare in falesia ed essendo limitato dal mio handicap, stando appeso ad una corda, potevo dare sfogo comunque alla mia passione.
Quale è la tua motivazione quando ti accingi a chiodare una nuova falesia?
Fondamentalmente la chiodatura è il mio sfogo creativo, fonte di divertimento. Una nuova linea risveglia la mia curiosità, mi spinge all'azione e la fatica spesa viene spesso gratificata dagli apprezzamenti dei climbers.
Hai una tua filosofia di chiodatura?
Non faccio nessuna distinzione, chiodo per chiunque, spinto solo dalle linee che trovo. I miei itinerari sono prevalentemente di falesia, quindi la cosa migliore è il buon senso, chiodando mai banale ma sempre in sicurezza.
Com'è la situazione oggi nelle tue zone tra Arco e Trento? Ci sono sovvenzioni od aiuti per i chiodatori volontari e non professionisti quale sei tu?
Dopo l'epoca Sisiphos, quando qualche pubblico “fiorino” arrivò per il materiale, non ho mai avuto sovvenzioni da nessuno, tranne gli amici Fabio Leoni e Michele Cagol del Vertical Sport, che qualche volta contribuiscono.
Quali sono i rapporti tra i chiodatori storici e le guide alpine della tua zona
Per quanto mi riguarda, penso che laddove un ente pubblico stanzia dei fondi per la messa in sicurezza di una falesia, al momento attuale le guide alpine siano l'unica figura titolata ad assumersi l'onere e le responsabilità che questi lavori implicano. Senza però mai scordarsi la fatica ed il denaro degli originali autori di queste falesie.
Mi hai parlato che stai anche richiodando vecchie vie, puoi dirci il tuo pensiero? È più importante chiodare o richiodare?
Sono convinto che la ricerca di nuovi itinerari sia sempre importante per mantenere viva la nostra vena di curiosità e creatività.
Bisogna però ricordarsi che tutte le cose hanno una scadenza e anche le vecchie vie vanno manutentate, mantenendo vivi i principi fondativi del gruppo Sisiphos.
Come vedi l'istituzione di regole ed un eventuale patentino per chiodare? Può essere un'arma a doppio taglio?
Essendo la roccia un materiale non rinnovabile, sicuramente in futuro verrà creata una figura che la tuteli. Certamente si andrà in contro a delle limitazioni e responsabilità che hanno poche affinità allo spirito libero e volontaristico che ha spinto la mia generazione.
Domanda scontatissima: progetti attuali e futuri?
Le mie creazioni più recenti sono: la Falesia dei Ciclopi assieme a Rolly, ho portato avanti il sogno di Roberto alla Gola di Toblino chiodando una dozzina di nuove vie e sto richiodando vecchi itinerari alla Falesia della Vela a Trento. L'ultima via l'ho chiodata alla Falesia del Vauso a Palinuro, Oliva, un bel 7b di 30m. Per il futuro penso che ritornerò in zona, una nuova falesia mi attende assieme a Rolly. Oltre la zona di casa tra Arco e Trento, ho chiodato a: Kalymnos, Sardegna, Sicilia, Frasassi, Palma de Maiorca, Messico, Leonidio.