Ivan Peri, l'arrivo a Montecarlo dopo 80 giorni di cammino Across the Alps
L'intervista a Ivan Peri dopo il suo arrivo a Montecarlo e la sua attraversata a piedi delle Alpi in 80 giorni. Di Teddy Soppelsa per Good For Alps, magazine AKU trekking & outdoor footwear.
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Ivan Peri arriva a Montecarlo dopo aver camminato per 80 giorni e percorso 2100 km di sentieri e 120.000 metri di salite e altrettanti di discese attraverso le Alpi, partendo da Trieste.
Ivan Peri
ACROSS THE ALPS. IVAN È ARRIVATO A MONTECARLO
Ivan ce l’ha fatta, ha realizzato il suo sogno. Dopo 80 giorni di cammino, 2100 km di sentieri, 120.000 metri di salite e altrettanti di discese, il 30 agosto è arrivato a Montecarlo, ultima tappa della sua attraversata delle Alpi che lo ha visto partire il 12 giugno da Trieste.
Alcuni giorni fa abbiamo incontrato Ivan nella sua casa a Livigno dove, finite le ferie in giro per i monti, si è già messo al lavoro per concretizzare un altro sogno: costruirsi una casetta con annesso B&B. Ivan ci accoglie sulla porta di casa con un sorriso grandioso, sul volto ha ancora la folta barba, ricordo quotidiano di un viaggio indimenticabile che non vorrebbe mai che lo abbandonasse.
Ivan, ti abbiamo lasciato in Val Senales, quando avevi già percorso 27 giorni di cammino. Dopo cosa è successo?
Dalla Val Senales ho puntato ad ovest verso la bassa Engadina a cui è seguito un breve sconfinamento in Italia in zona del Passo dello Spluga prima di tornare in Svizzera e passare qualche giorno nelle impervie valli Ticinesi, proseguendo poi per il Passo del San Gottardo. Successivamente sono tornato in Italia nella stupenda alta Val Formazza e da lì ho affrontato un passaggio ad alta quota con una critica risalita su ripidi nevai, a fianco del Monte Leone, per raggiungere il Passo del Sempione ed entrare così nel Vallese, dove ho percorso la vasta valle del Rodano, sul lato destro orografico, salendo tra alte e selvagge montagne dei massicci del Wildhorn e del Diablerets. Ridisceso a bassa quota, un po’ più a nord di Martigny, sono subito risalito per raggiungere la zona di confine Svizzera-Francia e dirigermi nella valle di Chamonix per girare attorno al massiccio del Monte Bianco e cominciare finalmente ad puntare verso sud in direzione del mare. Rientrato in Italia, sempre attorno al Monte Bianco, ho fatto un po’ di sali scendi per le montagne imbiancate della Valle d’Aosta. A questo punto, trovandomi un po’ in anticipo rispetto ai miei piani, mi sono lasciato guidare dall’istinto, dalla lettura delle carte e dai consigli delle persone che ho incontrato, andando alla ricerca dei luoghi più belli e interessanti; così ho passato parecchie giornate in Francia camminando lungo i Parchi Nazionali della Vanoise, dell’Ecrins, del Queyras per poi tornare in Italia e attraversare le splendide Valle Maira e l’alta Valle Stura, poi di nuovo in Francia nella valle del Tineè e poi di nuovo in Italia attraversando tutto il Parco Nazionale dell’Argentera prima di tirare dritto verso sud attraverso Il Parco Nazionale del Mercantour per raggiungere la mia meta, esattamente all’ottantesimo giorno come mi ero promesso: il Principato di Monaco.
Dopo le Alpi Orientali hai attraversato le Centrali e le Occidentali. Che differenze hai colto?
Bisognerebbe parlare un po’ di geologia per poter entrare nel dettaglio delle differenze naturalistiche. La composizione delle rocce determina la morfologia dei territori oltre al tipo di vegetazione e quindi l’ambiente, anche se poi spesso in un territorio con rocce calcaree si possono trovare delle isole di granito e viceversa. Forse quello che più mi ha colpito tra le diverse aree delle Alpi è il rapporto con l’uomo e la montagna. In Slovenia ho visto un uomo che a fatica cerca ancora di ricavarsi nella natura il suo spazio per coltivare e per ottenere quello di cui ha bisogno. In Austria ho visto un uomo che sfrutta al meglio questa natura avendo raggiunto un equilibrio migliore con essa. In Alto Adige si è fatto un ulteriore passo e questo equilibrio e sfruttamento della natura per l’agricoltura è diventato anche un valore, un prodotto da “vendere” a livello turistico. In Svizzera, nella zona del Bianco e qualche altra zona, la natura e la montagna sono state sottomesse ed “usate” per il piacere e lo sfruttamento da parte dell’uomo che ne ha fatto un grande parco giochi. Infine in Francia, dove invece la montagna viene vissuta, ho visto tanto trekking, tanto camping e modi “soft” di vivere e godere della natura.
Cosa hai provato quando hai visto Montecarlo?
Montecarlo l’ho potuto vedere proprio quando mancava poco più di un’ora di cammino. In precedenza c’era stata sola un’occasione in cui ho visto chiaramente il mare, il giorno prima scendendo dal Col de Turini. E’ stata una grande emozione, gioia, soddisfazione e gratificazione. Fin dai primi giorni avevo immaginato questo momento, mi vedevo arrivare al mare e mi dicevo continuamente: “Ivan, cosa sei riuscito a fare!”. Purtroppo sono stati pochi minuti, ero di fretta, poiché avevo un appuntamento a Monaco dove mi aspettava una delegazione dell’Alpine Club Monegasco per celebrare la conclusione della mia traversata delle Alpi, con la firma sul Libro d’Oro della Via Alpina, le foto ufficiali e l’intervista con la stampa locale.
Dopo 80 giorni nelle Alpi, da solo, cos’è cambiato dentro di te?
Fisicamente ho perso 5 o 6 chili, mi è cresciuta un lunga e folta barba che mi dà un’aria un po’ selvaggia, oltre che da uomo vissuto Dal punto di vista personale, il cambiamento più evidente è aver acquisito una grande consapevolezza nelle mie capacità. Forse il regalo più bello che ho ricevuto da questo viaggio. Un altro aspetto che ho notato è come quest’esperienza mi ha fatto rivalutare tanti aspetti della vita. Un’esperienza così porta a rivedere valori e priorità: le piccole cose della vita di tutti i giorni riacquistano valore, mentre lo perdono tutte le cose superflue e superficiali che spesso caratterizzano la nostra quotidianità.
La solitudine è stata la tua compagna di viaggio in tanti momenti. Cos’è la solitudine?
La solitudine è una delle dimensioni dell’uomo, ma nella società moderna è difficile trovare occasioni in cui passare un po’ di tempo da soli e comunque sembra essere qualcosa da evitare. Nell’era dei social network la solitudine appare quasi una punizione o uno stato di inadeguatezza nei confronti di qualcosa o qualcuno e così vieni emarginato e ridotto in solitudine. Invece per me la solitudine è stata una grande occasione per mettermi alla prova, per rendermi conto delle mie capacità e dei miei limiti.
Camminare per tanti giorni sempre a contatto con la natura, cosa hai imparato?
La cosa più bella che ho scoperto durante questo contatto continuo con la natura è come, dopo qualche giorno di cammino, il rapporto con l’ambiente in cui ero immerso non era più quello di un semplice osservatore esterno, ma di chi si sente parte di esso. Ho imparato ad essere più umile nel chiedere e nell’accettare aiuto in caso di bisogno e anche quando non necessario. Ho imparato a fidarmi dell’istinto, che difficilmente sbaglia, ma anche ad essere prudente, perché bisogna rimanere concentrati verso un obiettivo lontano e basta poco per precludere la possibilità di raggiungerlo.
Il camminare è una metafora potente. C’è qualcosa che ti sentiresti di aggiungere?
Più che aggiungere mi sentirei di recuperare un significato del camminare. Camminare è la vera natura dell’Uomo, è la vera dimensione dell’Uomo che si è evoluto, antropologicamente parlando, raggiungendo la stazione eretta per camminare e poter così osservare ciò che lo circonda: cibo, prede, predatori. Il camminare gli ha permesso poi di evolversi ulteriormente, sviluppando un cranio di dimensioni maggiori e diventare l’essere sapiente che è. Purtroppo però nella società moderna la dimensione del camminare, del viaggio lento, si sta perdendo. Viviamo nuove dimensioni, dettate dalle macchine e dalle tecnologie, sempre più veloci e questo stravolge la dimensione spazio-tempo. Certo ci sono tanti aspetti positivi ma, a mio parere, diventano poi un limite. L’esasperazione porta sempre qualcosa di negativo. Dobbiamo riprenderci il nostro tempo, per camminare, per godere di ciò che ci circonda, con i giusti tempi a misura d’uomo, da soli o in compagnia, nei luoghi della natura o nei luoghi abitati dall’uomo, per incontrare se stessi e gli altri.
Nella precedente intervista ti avevamo chiesto di descriverci il tuo equipaggiamento. Ora, a viaggio concluso, hai qualcosa altro da suggerire?
Il mio consiglio è di prendersi tutto il tempo necessario per pensare a tutto quello che potrebbe servire lungo il cammino e poi altrettanto tempo per capire se quello che avete scelto è veramente necessario. Dal punto di vista tecnico la scelta delle calzature è fondamentale, è l’elemento più importante considerato che “ci portano in giro” per giorni e giorni. Devono essere comode, resistenti e strutturate per il grande carico e soprattutto devono trasmettere fiducia e sicurezza ad ogni passo.
Raccontaci di alcuni incontri indimenticabili.
Gli incontri indimenticabili sono tanti. Spesso quelli più interessanti sono stati con i gestori dei rifugi: grandi persone, come ho sempre pensato che fossero. A parte loro, ne posso citare due.
L’avanguardia dei pellegrini (una ventina di persone) che si era avvantaggiata il giorno prima portandosi al rifugio Hochweisseinhutte (in Austria) e che si sarebbe aggregata l’indomani alle tantissime persone che all’alba partivano da Forni Avoltri per recarsi in pellegrinaggio al santuario di Maria Luggau in Carinzia. Una tradizione che si rinnova da oltre quattro secoli, mi hanno raccontato, con tanto di coro e banda paesana, gemellaggio con i vicini austriaci che li ospitano per la notte dopo i festeggiamenti e poi il ritorno con altra tappa al rifugio. E’ stata una serata indimenticabile, con l’allegra compagnia. Siamo passati dalle chiacchiere sul primo violino dell’orchestra di Mozart, anche lui originario di Forni Avoltri, alle storie sacre e profane di tempi passati, ai canti e le bevute in compagnia fino a tarda notte. Stupendo!
Altro incontro indimenticabile è stato con un elefante a 2500 metri. Lasciata la Valle Maira ero diretto verso l’alta Valle Stura nei pressi del confine con la Francia. Appena valicato il Passo della Cavalla, vedo in lontananza un gruppetto di persone ed una grande sagoma che faccio fatica a mettere a fuoco. Quando sono un po’ più vicino, ma sul versante opposto della valle, riconosco che si tratta di un elefante. Una statua di un elefante con delle ruote fissate alle zampe che veniva tirata su a forza di braccia da alcune persone. Partiti cinque giorni prima da Larche in Francia, erano diretti a Chiappera in Val Maira con una statua di 340 kg, opera di un artista locale, per celebrare il passaggio di Annibale, che pare fosse passato proprio di lì. Che dire? Quanti posso raccontare di aver visto un elefante sulle Alpi? Così sono tornato indietro e sono andato ad aiutare la compagnia a tirare su la bestia per qualche centinaio di metri e partecipare a questa eccentrica iniziativa. Veramente grandi, memorabili!
C’è un luogo che avresti voluto fermarti per sempre?
Ho visto moltissimi posti stupendi. Fra tutti i laghi di Roburent, sopra ad Argentera in Valle Stura, sono una meraviglia. Ma per viverci in un luogo ci vuole un paese, delle case almeno, e allora potrei indicare un piccolo borgo dove il tempo sembra essersi fermato, un posto tranquillo, con qualche piccolo alloggio per i turisti, esclusivamente camminatori, ricavato nelle vecchie case, senza stravolgere niente. Il luogo è Maljasset, circondato da montagne selvagge e bellissimi laghi, nel Parco Nazionale del Queyras in Francia, vicino all’Aiguille de Chambeyron.
Molti hanno seguito il tuo cammino sulla tua pagina facebook. Cosa pensi di questa nuova possibilità di raccontare un viaggio?
Devo ammettere che è un grande e potente mezzo per comunicare. E’ stato bello sentire la vicinanza e l’affetto di tante persone che mi seguivano e incitavano, che mi esortavano a scrivere e ad aggiornare la pagina, perché potessero seguire il mio cammino e condividere le mie avventure. Di negativo devo confessare che ho notato anche un uso frivolo del mezzo, legato all’apparenza più che alla sostanza. Ero abituato ad un numero abbastanza costante di visualizzazioni dei miei aggiornamenti, ma quando la foto che appariva per prima era particolarmente curiosa allora le visualizzazioni erano sensibilmente maggiori.
Raccontaci del tuo bastone sloveno…
Tutto è cominciato al terzo giorno di viaggio. Il giorno prima avevo deciso di liberarmi dei miei bastoni da trekking che avevo nello zaino e delle scarpe basse, per alleggerirmi il più possibile. Avevo capito che il peso dello zaino avrebbe potuto essere un grosso limite e mi stava già creando dei problemi ad una caviglia e ad un’anca. Decisi che avrei usato dei semplici bastoni da prendere e lasciare all’occorrenza, con il vantaggio di poterli tagliare della giusta misura (ho potuto appurare un’altra positiva qualità: non causano vesciche e bastava cambiare il punto in cui li impugnavo). Con l’andare dei giorni sono diventati parte del mio viaggio; due li ho dovuti sostituire a malincuore perché li ho spezzati, ma l’altro, quello più fine e leggero, l’ho conservato fino a Montecarlo. Nonostante lo avessi spezzato due volte (due “fratture scomposte” come scherzavo parlandone con chi incontravo), invece di buttarlo ho cercato di sistemarlo con del nastro isolante. Non potevo lasciarlo dopo che mi aveva sostenuto per tanto tempo.
Un momento difficile c’è stato?
Era il 49° giorno. Arrivavo da giorni di pioggia e temporali nella zona del Vallese ed ero un po’ demoralizzato per non aver potuto nemmeno vedere gli splendidi panorami sulle vette dei 4000 metri della Corona Imperiale e per i quali avevo deciso di allungare il percorso di alcuni giorni. Il giorno prima, verso sera, finalmente il tempo sembrava migliorare, le nuvole si stavano aprendo mostrando un po’ di cielo azzurro. Nonostante gli ultimi giorni duri in alta montagna, sempre sopra i 2500 in zone piuttosto selvagge tra il gruppo del Wildhorn e del Les Diablerets, avendo visto questo miglioramento, decido di non fermarmi in un rifugio a portata di mano ma di accamparmi poco sotto in un bellissimo luogo sotto il Grand Muveran. Mi sono lavato al ruscello, ho lavato un po’ i vestiti, mangiato qualcosa e poi a dormire. Già prima dell’alba sento per l’ennesima volta il picchiettio insistente della pioggia e quindi riparto con tutta la roba bagnata, fuori e dentro allo zaino. Mi aspettava una giornata intera sotto l’acqua, con vento e nebbia e se non bastasse dovevo scendere di 2000 metri di quota, fino ai 300-400 metri, per attraversare la valle del Rodano nei pressi di Martigny. La discesa era ripida e pericolosa, molto scivolosa in mezzo ad un bosco con pietre e rocce coperte di muschio bagnato. Sono scivolato più volte e nonostante tutta la cautela e la prudenza del caso, ho battuto il gomito e strappato la giacca e un’altra volta mi sono fatto male ad un’anca. Ero veramente demoralizzato e ho cominciato seriamente a pensare che dopo 50 giorni, in cui ero rimasto all’asciutto forse 5 o 6 giorni, questa non era l’estate giusta per la mia impresa, e non me lo aveva detto il medico di partire e di portarla a termine e quindi avrei potuto tranquillamente anche tornarmene a casa. Poco dopo un raggio di sole fece sparire ogni cattivo pensiero.
- INTERVISTA PRIMA PARTE
Ivan ce l’ha fatta, ha realizzato il suo sogno. Dopo 80 giorni di cammino, 2100 km di sentieri, 120.000 metri di salite e altrettanti di discese, il 30 agosto è arrivato a Montecarlo, ultima tappa della sua attraversata delle Alpi che lo ha visto partire il 12 giugno da Trieste.
Alcuni giorni fa abbiamo incontrato Ivan nella sua casa a Livigno dove, finite le ferie in giro per i monti, si è già messo al lavoro per concretizzare un altro sogno: costruirsi una casetta con annesso B&B. Ivan ci accoglie sulla porta di casa con un sorriso grandioso, sul volto ha ancora la folta barba, ricordo quotidiano di un viaggio indimenticabile che non vorrebbe mai che lo abbandonasse.
Ivan, ti abbiamo lasciato in Val Senales, quando avevi già percorso 27 giorni di cammino. Dopo cosa è successo?
Dalla Val Senales ho puntato ad ovest verso la bassa Engadina a cui è seguito un breve sconfinamento in Italia in zona del Passo dello Spluga prima di tornare in Svizzera e passare qualche giorno nelle impervie valli Ticinesi, proseguendo poi per il Passo del San Gottardo. Successivamente sono tornato in Italia nella stupenda alta Val Formazza e da lì ho affrontato un passaggio ad alta quota con una critica risalita su ripidi nevai, a fianco del Monte Leone, per raggiungere il Passo del Sempione ed entrare così nel Vallese, dove ho percorso la vasta valle del Rodano, sul lato destro orografico, salendo tra alte e selvagge montagne dei massicci del Wildhorn e del Diablerets. Ridisceso a bassa quota, un po’ più a nord di Martigny, sono subito risalito per raggiungere la zona di confine Svizzera-Francia e dirigermi nella valle di Chamonix per girare attorno al massiccio del Monte Bianco e cominciare finalmente ad puntare verso sud in direzione del mare. Rientrato in Italia, sempre attorno al Monte Bianco, ho fatto un po’ di sali scendi per le montagne imbiancate della Valle d’Aosta. A questo punto, trovandomi un po’ in anticipo rispetto ai miei piani, mi sono lasciato guidare dall’istinto, dalla lettura delle carte e dai consigli delle persone che ho incontrato, andando alla ricerca dei luoghi più belli e interessanti; così ho passato parecchie giornate in Francia camminando lungo i Parchi Nazionali della Vanoise, dell’Ecrins, del Queyras per poi tornare in Italia e attraversare le splendide Valle Maira e l’alta Valle Stura, poi di nuovo in Francia nella valle del Tineè e poi di nuovo in Italia attraversando tutto il Parco Nazionale dell’Argentera prima di tirare dritto verso sud attraverso Il Parco Nazionale del Mercantour per raggiungere la mia meta, esattamente all’ottantesimo giorno come mi ero promesso: il Principato di Monaco.
Dopo le Alpi Orientali hai attraversato le Centrali e le Occidentali. Che differenze hai colto?
Bisognerebbe parlare un po’ di geologia per poter entrare nel dettaglio delle differenze naturalistiche. La composizione delle rocce determina la morfologia dei territori oltre al tipo di vegetazione e quindi l’ambiente, anche se poi spesso in un territorio con rocce calcaree si possono trovare delle isole di granito e viceversa. Forse quello che più mi ha colpito tra le diverse aree delle Alpi è il rapporto con l’uomo e la montagna. In Slovenia ho visto un uomo che a fatica cerca ancora di ricavarsi nella natura il suo spazio per coltivare e per ottenere quello di cui ha bisogno. In Austria ho visto un uomo che sfrutta al meglio questa natura avendo raggiunto un equilibrio migliore con essa. In Alto Adige si è fatto un ulteriore passo e questo equilibrio e sfruttamento della natura per l’agricoltura è diventato anche un valore, un prodotto da “vendere” a livello turistico. In Svizzera, nella zona del Bianco e qualche altra zona, la natura e la montagna sono state sottomesse ed “usate” per il piacere e lo sfruttamento da parte dell’uomo che ne ha fatto un grande parco giochi. Infine in Francia, dove invece la montagna viene vissuta, ho visto tanto trekking, tanto camping e modi “soft” di vivere e godere della natura.
Cosa hai provato quando hai visto Montecarlo?
Montecarlo l’ho potuto vedere proprio quando mancava poco più di un’ora di cammino. In precedenza c’era stata sola un’occasione in cui ho visto chiaramente il mare, il giorno prima scendendo dal Col de Turini. E’ stata una grande emozione, gioia, soddisfazione e gratificazione. Fin dai primi giorni avevo immaginato questo momento, mi vedevo arrivare al mare e mi dicevo continuamente: “Ivan, cosa sei riuscito a fare!”. Purtroppo sono stati pochi minuti, ero di fretta, poiché avevo un appuntamento a Monaco dove mi aspettava una delegazione dell’Alpine Club Monegasco per celebrare la conclusione della mia traversata delle Alpi, con la firma sul Libro d’Oro della Via Alpina, le foto ufficiali e l’intervista con la stampa locale.
Dopo 80 giorni nelle Alpi, da solo, cos’è cambiato dentro di te?
Fisicamente ho perso 5 o 6 chili, mi è cresciuta un lunga e folta barba che mi dà un’aria un po’ selvaggia, oltre che da uomo vissuto Dal punto di vista personale, il cambiamento più evidente è aver acquisito una grande consapevolezza nelle mie capacità. Forse il regalo più bello che ho ricevuto da questo viaggio. Un altro aspetto che ho notato è come quest’esperienza mi ha fatto rivalutare tanti aspetti della vita. Un’esperienza così porta a rivedere valori e priorità: le piccole cose della vita di tutti i giorni riacquistano valore, mentre lo perdono tutte le cose superflue e superficiali che spesso caratterizzano la nostra quotidianità.
La solitudine è stata la tua compagna di viaggio in tanti momenti. Cos’è la solitudine?
La solitudine è una delle dimensioni dell’uomo, ma nella società moderna è difficile trovare occasioni in cui passare un po’ di tempo da soli e comunque sembra essere qualcosa da evitare. Nell’era dei social network la solitudine appare quasi una punizione o uno stato di inadeguatezza nei confronti di qualcosa o qualcuno e così vieni emarginato e ridotto in solitudine. Invece per me la solitudine è stata una grande occasione per mettermi alla prova, per rendermi conto delle mie capacità e dei miei limiti.
Camminare per tanti giorni sempre a contatto con la natura, cosa hai imparato?
La cosa più bella che ho scoperto durante questo contatto continuo con la natura è come, dopo qualche giorno di cammino, il rapporto con l’ambiente in cui ero immerso non era più quello di un semplice osservatore esterno, ma di chi si sente parte di esso. Ho imparato ad essere più umile nel chiedere e nell’accettare aiuto in caso di bisogno e anche quando non necessario. Ho imparato a fidarmi dell’istinto, che difficilmente sbaglia, ma anche ad essere prudente, perché bisogna rimanere concentrati verso un obiettivo lontano e basta poco per precludere la possibilità di raggiungerlo.
Il camminare è una metafora potente. C’è qualcosa che ti sentiresti di aggiungere?
Più che aggiungere mi sentirei di recuperare un significato del camminare. Camminare è la vera natura dell’Uomo, è la vera dimensione dell’Uomo che si è evoluto, antropologicamente parlando, raggiungendo la stazione eretta per camminare e poter così osservare ciò che lo circonda: cibo, prede, predatori. Il camminare gli ha permesso poi di evolversi ulteriormente, sviluppando un cranio di dimensioni maggiori e diventare l’essere sapiente che è. Purtroppo però nella società moderna la dimensione del camminare, del viaggio lento, si sta perdendo. Viviamo nuove dimensioni, dettate dalle macchine e dalle tecnologie, sempre più veloci e questo stravolge la dimensione spazio-tempo. Certo ci sono tanti aspetti positivi ma, a mio parere, diventano poi un limite. L’esasperazione porta sempre qualcosa di negativo. Dobbiamo riprenderci il nostro tempo, per camminare, per godere di ciò che ci circonda, con i giusti tempi a misura d’uomo, da soli o in compagnia, nei luoghi della natura o nei luoghi abitati dall’uomo, per incontrare se stessi e gli altri.
Nella precedente intervista ti avevamo chiesto di descriverci il tuo equipaggiamento. Ora, a viaggio concluso, hai qualcosa altro da suggerire?
Il mio consiglio è di prendersi tutto il tempo necessario per pensare a tutto quello che potrebbe servire lungo il cammino e poi altrettanto tempo per capire se quello che avete scelto è veramente necessario. Dal punto di vista tecnico la scelta delle calzature è fondamentale, è l’elemento più importante considerato che “ci portano in giro” per giorni e giorni. Devono essere comode, resistenti e strutturate per il grande carico e soprattutto devono trasmettere fiducia e sicurezza ad ogni passo.
Raccontaci di alcuni incontri indimenticabili.
Gli incontri indimenticabili sono tanti. Spesso quelli più interessanti sono stati con i gestori dei rifugi: grandi persone, come ho sempre pensato che fossero. A parte loro, ne posso citare due.
L’avanguardia dei pellegrini (una ventina di persone) che si era avvantaggiata il giorno prima portandosi al rifugio Hochweisseinhutte (in Austria) e che si sarebbe aggregata l’indomani alle tantissime persone che all’alba partivano da Forni Avoltri per recarsi in pellegrinaggio al santuario di Maria Luggau in Carinzia. Una tradizione che si rinnova da oltre quattro secoli, mi hanno raccontato, con tanto di coro e banda paesana, gemellaggio con i vicini austriaci che li ospitano per la notte dopo i festeggiamenti e poi il ritorno con altra tappa al rifugio. E’ stata una serata indimenticabile, con l’allegra compagnia. Siamo passati dalle chiacchiere sul primo violino dell’orchestra di Mozart, anche lui originario di Forni Avoltri, alle storie sacre e profane di tempi passati, ai canti e le bevute in compagnia fino a tarda notte. Stupendo!
Altro incontro indimenticabile è stato con un elefante a 2500 metri. Lasciata la Valle Maira ero diretto verso l’alta Valle Stura nei pressi del confine con la Francia. Appena valicato il Passo della Cavalla, vedo in lontananza un gruppetto di persone ed una grande sagoma che faccio fatica a mettere a fuoco. Quando sono un po’ più vicino, ma sul versante opposto della valle, riconosco che si tratta di un elefante. Una statua di un elefante con delle ruote fissate alle zampe che veniva tirata su a forza di braccia da alcune persone. Partiti cinque giorni prima da Larche in Francia, erano diretti a Chiappera in Val Maira con una statua di 340 kg, opera di un artista locale, per celebrare il passaggio di Annibale, che pare fosse passato proprio di lì. Che dire? Quanti posso raccontare di aver visto un elefante sulle Alpi? Così sono tornato indietro e sono andato ad aiutare la compagnia a tirare su la bestia per qualche centinaio di metri e partecipare a questa eccentrica iniziativa. Veramente grandi, memorabili!
C’è un luogo che avresti voluto fermarti per sempre?
Ho visto moltissimi posti stupendi. Fra tutti i laghi di Roburent, sopra ad Argentera in Valle Stura, sono una meraviglia. Ma per viverci in un luogo ci vuole un paese, delle case almeno, e allora potrei indicare un piccolo borgo dove il tempo sembra essersi fermato, un posto tranquillo, con qualche piccolo alloggio per i turisti, esclusivamente camminatori, ricavato nelle vecchie case, senza stravolgere niente. Il luogo è Maljasset, circondato da montagne selvagge e bellissimi laghi, nel Parco Nazionale del Queyras in Francia, vicino all’Aiguille de Chambeyron.
Molti hanno seguito il tuo cammino sulla tua pagina facebook. Cosa pensi di questa nuova possibilità di raccontare un viaggio?
Devo ammettere che è un grande e potente mezzo per comunicare. E’ stato bello sentire la vicinanza e l’affetto di tante persone che mi seguivano e incitavano, che mi esortavano a scrivere e ad aggiornare la pagina, perché potessero seguire il mio cammino e condividere le mie avventure. Di negativo devo confessare che ho notato anche un uso frivolo del mezzo, legato all’apparenza più che alla sostanza. Ero abituato ad un numero abbastanza costante di visualizzazioni dei miei aggiornamenti, ma quando la foto che appariva per prima era particolarmente curiosa allora le visualizzazioni erano sensibilmente maggiori.
Raccontaci del tuo bastone sloveno…
Tutto è cominciato al terzo giorno di viaggio. Il giorno prima avevo deciso di liberarmi dei miei bastoni da trekking che avevo nello zaino e delle scarpe basse, per alleggerirmi il più possibile. Avevo capito che il peso dello zaino avrebbe potuto essere un grosso limite e mi stava già creando dei problemi ad una caviglia e ad un’anca. Decisi che avrei usato dei semplici bastoni da prendere e lasciare all’occorrenza, con il vantaggio di poterli tagliare della giusta misura (ho potuto appurare un’altra positiva qualità: non causano vesciche e bastava cambiare il punto in cui li impugnavo). Con l’andare dei giorni sono diventati parte del mio viaggio; due li ho dovuti sostituire a malincuore perché li ho spezzati, ma l’altro, quello più fine e leggero, l’ho conservato fino a Montecarlo. Nonostante lo avessi spezzato due volte (due “fratture scomposte” come scherzavo parlandone con chi incontravo), invece di buttarlo ho cercato di sistemarlo con del nastro isolante. Non potevo lasciarlo dopo che mi aveva sostenuto per tanto tempo.
Un momento difficile c’è stato?
Era il 49° giorno. Arrivavo da giorni di pioggia e temporali nella zona del Vallese ed ero un po’ demoralizzato per non aver potuto nemmeno vedere gli splendidi panorami sulle vette dei 4000 metri della Corona Imperiale e per i quali avevo deciso di allungare il percorso di alcuni giorni. Il giorno prima, verso sera, finalmente il tempo sembrava migliorare, le nuvole si stavano aprendo mostrando un po’ di cielo azzurro. Nonostante gli ultimi giorni duri in alta montagna, sempre sopra i 2500 in zone piuttosto selvagge tra il gruppo del Wildhorn e del Les Diablerets, avendo visto questo miglioramento, decido di non fermarmi in un rifugio a portata di mano ma di accamparmi poco sotto in un bellissimo luogo sotto il Grand Muveran. Mi sono lavato al ruscello, ho lavato un po’ i vestiti, mangiato qualcosa e poi a dormire. Già prima dell’alba sento per l’ennesima volta il picchiettio insistente della pioggia e quindi riparto con tutta la roba bagnata, fuori e dentro allo zaino. Mi aspettava una giornata intera sotto l’acqua, con vento e nebbia e se non bastasse dovevo scendere di 2000 metri di quota, fino ai 300-400 metri, per attraversare la valle del Rodano nei pressi di Martigny. La discesa era ripida e pericolosa, molto scivolosa in mezzo ad un bosco con pietre e rocce coperte di muschio bagnato. Sono scivolato più volte e nonostante tutta la cautela e la prudenza del caso, ho battuto il gomito e strappato la giacca e un’altra volta mi sono fatto male ad un’anca. Ero veramente demoralizzato e ho cominciato seriamente a pensare che dopo 50 giorni, in cui ero rimasto all’asciutto forse 5 o 6 giorni, questa non era l’estate giusta per la mia impresa, e non me lo aveva detto il medico di partire e di portarla a termine e quindi avrei potuto tranquillamente anche tornarmene a casa. Poco dopo un raggio di sole fece sparire ogni cattivo pensiero.
- INTERVISTA PRIMA PARTE
"Across the Alps" è una storia di GOOD FOR ALPS
Magazine di AKU trekking & outdoor footwear
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Note:
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