Eline & Marc Le Menestrel: Chouca e Buoux, tra ieri, oggi e domani

Chouca a Buoux è una di quelle vie che ha segnato la storia dell’arrampicata sportiva. Liberata nel 1985 da Marc Le Menestrel, è stata ripetuta di recente da sua figlia Eline Le Menestrel. Un ottimo pretesto per capire qualcosa di più su questa mitica via e come Buoux continua ad essere una falesia al passo con i tempi.
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Eline Le Menestrel su Chouca 8a+ a Buoux in Francia. Liberata nel 1985 da suo padre Marc Le Menestrel, questa via ha segnato la storia dell’arrampicata sportiva
Eduard Bosch

Alcuni giorni fa la climber francese Eline Le Menestrel ha ripetuto Chouca, lo storico 8a+ liberato nella falesia di Buoux nel 1985 da suo padre Marc Le Menestrel quando, all’età di soli 18 anni, era un indiscusso enfant prodige della nascente arrampicata sportiva. Su questi feroci buchi nel settore Le Bout du Monde nel 1988 Catherine Destivelle era riuscita a segnare la prima femminile di una via gradata 8a+ e ancora oggi la via è considerata un ambito test. Ecco cosa ci hanno raccontato Eline Le Menestrel e suo padre Marc.

Marc, ci potresti parlare un po' di Chouca. Com’è nata?
La verità è che sono rimasto colpito sin dall’inzio da questa linea. Chouca era una via che in qualche modo evitava la linea centrale dello strapiombo, che mi sembrava impossibile e che sarebbe poi diventata La Rose et Le Vampire. Ho cercato di trovare la linea più semplice su quel muro! Il famoso lancio iniziale è stato incredibile, soprattutto perché, a quel tempo, non c'era l’appoggio che c’è adesso che invece è apparso più tardi in seguito ai tentativi di altre persone sulla via. Tuttavia, per me, quello non rappresentava il movimento chiave: non avevo trovato il rovescio nella parte bassa della via e lì sono caduto più volte. Al lancio sono caduto soltanto una o due volte. Mi ricordo che mi recavo in falesia la mattina presto perché era agosto. Quello che è notevole è che, successivamente alla libera, la via ha continuato ad attirare molta attenzione perché è una via così bella da scalare!

La via è famosa anche per il movimento del Figure Four, chiamato anche Yaniro, reso famoso dalla celebre foto dello statunitense Tony Yaniro? Tu stesso usavi questa tecnica?
Questa tecnica è stata inventata da Darius Azin e ovviamente l'ho trovata incredibile! Ne sono rimasto incantato! Ma no, non l'ho usata perché il lancio era troppo bello. E adesso non è nemmeno tanto più semplice eseguirla invece del lancio, perché si è rotta la presa e non la si può più prendere in modo corretto per fare il movimento.

Tre anni dopo la tua prima libera, Catherine Destivelle è stata la prima donna al mondo a salire un 8a+, proprio su questa via...
Me lo ricordo molto bene. Catherine era una climber di grande talento, con un atteggiamento eccellente nei confronti delle prestazioni. Ricordo a quel tempo una discussione che abbiamo avuto sul fare delle vie per diventare famosi, oppure sul diventare famosi perché facevamo delle vie. Era così carismatica e aveva molta pressione per fare ciò che gli sponsor desideravano. Soprattutto però, adorava arrampicare con noi e provare a salire le vie più dure possibili.

Avresti mai pensato che un giorno la storia si sarebbe ripetuta, e che tua figlia avrebbe ripetuto la tua via?
Per me, il regalo più bello è quello di poter arrampicare con Eline, proprio come lo facevo io con mio padre. Negli ultimi mesi io ed Eline siamo stati molto vicini, scambiandoci molte idee sull'arte dell'arrampicata e sul suo desiderio di fare Chouca. Nel complesso si tratta dell'arte della vita, e questo legame padre-figlia è una benedizione. Che a sua volta mi collega a mio padre. È prezioso coltivare le relazioni familiari.

Sicuramente! Allora Eline, ci racconti perchè questa via è così speciale per te?
Fin da piccola ho sentito molto parlare di Chouca. Ma non Chouca la via, il cane! Chouca era il nome del cane dei miei nonni quando vivevano a Fontainebleau. È morta molto prima che io nascessi, ma mio padre mi raccontava spesso di quanto era contenta quando arrivava il momento di andare ad arrampicare. Quindi sapevo che c'era una via che portava il suo nome, ma per me non è mai stato un progetto particolare, almeno, fino a quando non l'ho provata per la prima volta. Durante i primi tentativi, la via mi è piaciuta molto, in particolare la placca in alto. L'inizio per me ra molto difficile, quindi raggiungere la placca era, di per sé, una soddisfazione.

Alzarsi da terra infatti non è mica facile, soprattutto se non c'è un mucchio di pietre da cui partire...
In effetti, Chouca è molto intensa fin da subito. Devo stare in punta di piedi per prendere un bidito, poi bloccare e prendere la presa successiva. È quasi come fare una trazione monobraccio. Anche per il lancio ci vuole tanta forza, ma almeno adesso c’è un bell'appoggio nero e scivoloso che aspetta delicatamente che il tuo piede scivoli mentre ti tieni su con un piccolo monodito per la mano sinistra. Tuttavia, la partenza da terra mi è sembrata più difficile del dinamico. Ho dovuto dare assolutamente tutto per partire. In realtà, quando ho iniziato a provare la via non riuscivo a fare la partenza e mi ricordo di aver chiesto a mio padre di spingermi su alla seconda presa.

Un bel test fisico...
Ora, guardandomi indietro, mi rendo conto che Chouca ha rappresentato un vero viaggio, sia mentale che fisico. Mentale perché ero bloccata dall'idea che avrei dovuto essere in grado di chiudere un 8a+ velocemente. Fisico perché l’intera sezione iniziale, che non ha nessun appoggio prima del quarto movimento, non si adattava assolutamente al mio stile. Ad un certo punto però qualcosa nella mia mente ha fatto click e la determinazione nel voler chiudere questa via mi ha motivata ad allenarmi. Lentamente ho iniziato a sentire i movimenti sempre più facili. Ricordo perfettamente il giorno in cui sono riuscita a fare il primo movimento al primo colpo!

Com’è stata la rotpunkt?
Il giorno in cui ho fatto la via c'erano circa 10 persone a Le Bout du Monde. Alcuni stavano provando Chouca con un piacevole mucchio di pietre all'inizio. Prima di legarmi, ho preso le pietre e le ho gettate via perché pensavo fosse divertente stuzzicare tutti quei ragazzi che hanno molta più forza di me. Ognuno ha la propria etica ed in fondo non mi interessa cosa fanno le altre persone, mi sembra strano però sgradare la via omettendo il primo movimento.

Prima, tuo padre ha parlato di La Rose. Cosa ci racconti di questa via liberata da tuo zio Antoine Le Menestrel?
A dire il vero ho pensato molto di più a La Rose et le Vampire che a Chouca. Ricordo di essermi allenata specificatamente per questa via quando vivevo ancora a Barcellona. Ma quando l'ho provata, mi sono resa conto che non volevo dedicarmi a quella linea, quindi ho iniziato a provare Chouca. Penso che La Rose sia una bella via da fare se riesci a fare l'8c e la chiudi quindi in un weekend. Ma se mi parlate di altre vie a Buoux, Boutdechou, il secondo tiro di Chouca, sembra fantastica! Possiede la sua storia che forse un giorno, se la ripeterò, vi potrò raccontare.

Eline, abbiamo notato che tuo padre non è il tuo personal trainer. Perchè no? E che buon consiglio ti ha dato?
Quando avevo 12 anni volevo essere brava a scalare, quindi ho chiesto a mio padre di diventare il mio allenatore. Sorprendentemente, mi ha detto di no. Ha fatto una scelta molto esplicita e ricordo di essere rimasta delusa. Aveva però le sue ragioni e la sua decisione ha plasmato per molti versi la nostra relazione. Ci sono molti esempi di rapporti tra padre allenatore e figlia atleta che diventano difficili o addirittura malsani. Mio padre non voleva correre questo rischio. Ciononostante, a quel tempo ha condiviso con me ciò che aveva imparato in 40 anni di arrampicata. Alcuni anni fa il mio amico James Lucas ha scritto un bell'articolo su questo intitolandolo Lessons from Le Menstrels. Ora mi sento molto vicina a mio padre. Posso parlargli di qualsiasi cosa, dalla frustrazione di non chiudere il mio progetto alla mia nuova folle idea di cambiare il mondo o al mio cuore spezzato. Condividiamo molto di più dell'arrampicata. Sono grata e orgogliosa di noi due per questo.

Marc, a te l’ultima domanda allora. Sono passati più di 35 anni da quando da 15enne hai scoperto l'arrampicata e Buoux. Cosa ti ha insegnato l’arrampicata in tutti questi anni? E cosa pensi rappresenti Buoux al giorno d'oggi?
Per me l'arrampicata è stata un modo per scoprire la mia arte della vita. Buoux è una delle falesie più belle che conosca e rappresenta un luogo in cui la vita si collega con la natura. Con mia madre, mio fratello e mia sorella nelle vicinanze, mi connette anche alla mia gioventù. Mia madre arrampica lì ogni settimana. E, naturalmente, la falesia si lega anche alle prestazioni in arrampicata. Qualche mese fa stavo assicurando Chris Sharma mentre faceva Le Minimum. Ero orgoglioso di ciò che l'arrampicata rappresenta. E non vedo l’ora che qualcuno liberi Le Grand Bombé Bleu. Buoux non ha ancora smesso di rivelarsi.

Eline ringrazia Salewa, Five Ten




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