Coffee Break Interview: Jacopo Larcher / Barbara Zangerl

L’austriaca Barbara Zangerl ed il sudtirolese Jacopo Larcher sono i protagonisti della terza puntata del progetto Coffee Break Interview di Daniela Zangrando per esplorare sogni, desideri e limiti dei protagonisti dell'arrampicata e dell'alpinismo.

JACOPO LARCHER
Daniela Zangrando: Il passo chiave*.
Jacopo Larcher:
Quel passo, nella vita come nella scalata, che necessita di più tempo ed energie per essere superato. Pazienza e perseveranza rappresentano la chiave per la riuscita.

D.Z.: Cosa vuol dire spostare il limite?
J.L.:
Per me significa passare oltre a ciò che fino a poco prima ritenevo essere impossibile. Significa fare un passo in più; realizzare il sogno che era definito come tale proprio per la sua improbabilità.

D.Z.: I tuoi limiti, ora.
J.L.:
Ho trascorso più di metà della mia vita ad allenarmi per migliorare in arrampicata sportiva; spesso sentivo il desiderio e il bisogno di provare altre discipline, ma cercavo di non ascoltarlo per paura di regredire. Temevo di abbandonare un mondo "conosciuto" per dedicarmi a qualcosa in cui forse non sarei riuscito così bene. È proprio questo il limite che sto cercando di valicare quotidianamente nell’arrampicata.
Nella vita in generale, invece, potrei dire che il mio limite più grande è proprio l’arrampicata. "Ruba" tutto il mio tempo, portandomi a condurre una vita egoistica e allontanandomi dagli altri miei interessi.

D.Z.: Se non dovessi più fare il climber, cosa faresti? Hai un piano altro, parallelo?
J.L.:
Per me fare il climber non è lavoro, è semplicemente la conseguenza della mia grande passione per l’arrampicata. Al momento non ho l’impressione che questa passione si stia affievolendo ed è quindi difficile immaginare una vita differente. Ovviamente sono consapevole del fatto che non potrò vivere di questo all’infinito, ma non amo pianificare a tavolino la vita. Quando arriverà il momento di smettere, o se mai sentirò il bisogno di cambiare, sono sicuro che cercherò di seguire ancora una volta le mie passioni.
Adoro la fotografia. Se dovessi dedicarmi a qualcos’altro, cercherei indubbiamente di seguire questa direzione.

D.Z.: Cosa ti piacerebbe cambiare del mondo dell'arrampicata? Di questo che a tutti gli effetti penso sia il tuo lavoro?
J.L.:
L’egoismo. Purtroppo quasi tutti i nostri sogni verticali ci portano a vivere un’esistenza  molto egoistica. Più passano gli anni, più questa "conseguenza" dell’arrampicata mi infastidisce e mi porta a riflettere.
Per esempio, osservando la mia vita attuale, mi accorgo di quanto l’allenamento, i viaggi e i progetti mi allontanino dalla mia famiglia e dai miei amici; dedico la maggior parte del tempo a qualcosa che sicuramente non rende il mondo migliore… e che di certo non aiuta i miei cari.

D.Z.: Descrivimi il luogo. Quel posto che senti tuo. Dove puoi rifugiarti, pensare, distruggere, gridare.
J.L.:
Il mio furgone, parcheggiato in una zona isolata, in montagna, alla base di qualche parete. Una macchina fotografica, carta e penna, una tazza di caffè… e tanto tempo a disposizione.

D.Z.: E per ultima cosa un sogno. Che meriti di essere chiamato tale.
J.L.:
Trovare la linea dei miei sogni. Una big wall su una parete remota e bellissima, che richieda tutte le energie fisiche e psicologiche per essere salita. Una linea ai limiti delle mie capacità "sportive", ma su protezioni tradizionali. Sogno o utopia?

BARBARA ZANGERL
Daniela Zangrando: Il passo chiave.
Barbara Zangerl:
è qualcosa cui devo essere preparata. Per riuscire a superarlo bisogna che vada tutto per il meglio. È una questione di forze, di tensione, di concentrazione.

D.Z.: Cosa vuol dire spostare il limite?
B.Z.
: Vuol dire mettere tutta la tua energia in un progetto. Esserne ossessionato. E più che disposto ad ottenerlo, anche se al’inizio sembra impossibile, eccessivo.
Pieno impegno, bando alle scuse.

D.Z.: I tuoi limiti, ora.
B.Z.:
Ci sono cose che mi spaventano e mi fanno sentire inquieta. Sono al di fuori del mio controllo, in una zona dove non sono padrona delle mie emozioni.
Mi danno la sensazione di essere troppo grandi e minacciose.

D.Z.: Se non dovessi più fare il climber, cosa faresti? Hai un piano altro, parallelo?
B.Z.:
Per raggiungere un certo equilibrio avrei sicuramente bisogno di qualcos’altro… di un’altra passione, di un altro sport all’aria aperta. L’accoppiata di sport e vita all’aria aperta sarà sempre importante per me.
Per il resto, mi piace anche avere una routine normale, come quella che mi dà il mio lavoro in ospedale.
Penso che la questione fondamentale sia quella di avere un punto di bilanciamento. È l’unica possibilità per riuscire a trovare sempre motivazione nel fare qualcosa

D.Z.: Cosa ti piacerebbe cambiare del mondo dell'arrampicata? Di questo che a tutti gli effetti penso sia il tuo lavoro?
B.Z.:
Allora. Penso… che i gradi dovrebbero essere meno importanti… che abbiamo bisogno di molte più pareti vergini… che lo sport non dovrebbe diventare troppo commerciale… e sono anche contro le aree di arrampicata super protette, soprattutto quando questo comporta una ri-chiodatura completamente diversa dall’originale. Non mi piace che le persone cambino lo stile delle vecchie vie classiche. L’avventura deve rimanere!

D.Z.: Descrivimi il luogo. Quel posto che senti tuo. Dove puoi rifugiarti, pensare, distruggere, gridare.
B.Z.:
Le montagne di casa mia. Dove sono cresciuta.

D.Z.: E per ultima cosa un sogno. Che meriti di essere chiamato tale.
B.Z.:
Il sogno è quello di trovare il paradiso delle pareti inviolate. In un posto davvero unico e bellissimo.

* Il termine "crux" in inglese identifica sia "il passo chiave" in senso alpinistico che "la chiave" vista come punto cruciale, soluzione, elemento nodale della vita quotidiana.
Gli intervistati sono stati lasciati liberi di intendere o fraintendere il termine a loro piacimento.

di Daniela Zangrando 

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