Yucatàn, la nuova falesia di Samugheo in Sardegna
Un’ennesima falesia nuova a Samugheo, diamante di ottimo calcare nascosto nel centro della Sardegna: ennesimo regalo di Marco Bussu, un tempo ottimo boulderista e scalatore, oggi (anche) chiodatore appassionato oltre che mille cento altre cose. Scala ancora bene Marco, anche se per lui l’arrampicata oggi è un passatempo come un altro ma pur sempre una grande passione. E si sta bene insieme a lui, niente competizione, grande rispetto reciproco… Per questo ritorno sempre volentieri ad ogni stagione ad aiutarlo a sfornare una nuova falesia, ogni tanto con qualche consiglio (più che sulla chiodatura, sul come renderla appetibile agli scalatori di oggi), questa volta solo piacevolmente scalando su una roccia del tutto incredibile. (Maurizio Oviglia)
YUCATAN A SAMUGHEO di Marco Bussu
Sono ormai tanti anni, più di venti credo, che vengo a chiodare nella zona di Castel Medusa. È un posto estremamente affascinante quanto impervio. Le falesie rimangono nel territorio di Samugheo, luogo ricco di segreti e leggende legate al castello, che si presenta come un rudere, arroccato su uno sperone di roccia calcarea a strapiombo sul fiume Araxisi.
Spesso quando vengo qui incontro Mekey, così si fa chiamare, è un pastore di Samugheo che conosce alla perfezione questa zona. E’ anche un grande appassionato di arrampicata e nonostante non la pratichi riesce incredibilmente ad azzeccare il grado delle vie soltanto dando un'occhiata dal basso, raramente si sbaglia. Chi ha scalato qui almeno una volta lo ha incontrato. Giuseppe Mura, questo è il suo vero nome, classe 1954, è la persona che fisicamente si è impegnata più di tutti per creare la rete dei sentieri che collegano le falesie. E’ anche un grande intrattenitore con racconti che hanno dell'incredibile, tutte storie vere, spesso imprese pionieristiche e rocambolesche, che ha vissuto sulla sua pelle dalla gioventù ad oggi.
Noto come una persona capace di imprese impossibili, alcune testimonianze raccontano di lui come instancabile e imbattibile su passaggi come ponti tibetani e salti da una roccia all’altra. Capace di attraversare fiumi in piena senza nemmeno bagnarsi, riesce anche ad accendere un fuoco senza una scintilla. Anni fa Mekey, per cause ancora sconosciute, circondato da 300 carabinieri riuscì a far perdere le proprie tracce nelle campagne di Samugheo. Pare ci sia ancora una taglia di un milione di vecchie lire su di lui. Oggi diverse vie di arrampicata gli sono state dedicate come encomio alle sue imprese eroiche.
Mekey ogni tanto mi propone di chiodare qualche nuova falesia, tutte a pochi minuti dal rifugio, che è sempre il nostro punto di incontro come per gli arrampicatori che frequentano questa zona.Questa volta mi porta a vedere una splendida muraglia di calcare in una location incredibile. La falesia si trova dentro una gola molto selvaggia e inaccessibile che scende fino al fiume, dove ci sono tante piccole spiagge di ciottoli bianchi, paradisiache, e acqua limpida, perfetta per un bagno rigenerante. In realtà avevo già adocchiato questa falesia nel 2018 mentre chiodavo il settore "The Rock inn che si trova poco più in alto, ma non mi ero ancora avvicinato fino alla base perchè la vegetazione era troppo fitta.
Come spesso accade in questa zona, alcune falesie non sono mai state prese in considerazione per la difficoltà o l’impossibilità di essere raggiunte a causa della folta macchia mediterranea, ma per Mekey questo non è mai stato un problema, è l’uomo dalla motosega facile. Così fissiamo l’appuntamento per iniziare una accurata esplorazione.
Il giorno dell’appuntamento si presenta in perfetto orario con il suo pick up e due motoseghe sul cassone. Io lo aspetto nel parcheggio davanti al rifugio, il rumore della sua jeep è inconfondibile mentre scende quei ripidi tornanti, sembra un cingolato da guerra. Suoni acuti, cigolii e rumori metallici di ogni tipo emessi dalla sua auto si sentono echeggiare nella vallata. Quando si ferma in prossimità del parcheggio, abbassa il finestrino e senza spegnere il motore urla ad alta voce: "ajò". È il momento di salire a bordo. Un breve tratto di strada sterrata ripidissima ci porta fino all’inizio del sentiero. Altri 10 minuti a piedi ci portano davanti alla falesia. Mancano ancora 50 metri per raggiungerla ma è impossibile proseguire, la vegetazione è troppo fitta. È qui che accendiamo le motoseghe. Dopo 4 ore di lavoro di disboscamento, l’odore dell’olio del motore due tempi satura l’aria, è inebriante e me lo sento addosso per tutto il giorno. Apriamo un sentiero e liberiamo la falesia da una vegetazione che la ricopriva fino 4 metri di altezza. Ora vediamo bene la roccia. Mekey un po’ affaticato, ma soddisfatto del suo lavoro: mi guarda e senza pormi alcuna domanda, aspetta una risposta. Io inizio ad adocchiare le linee, ce ne sono tante, mi giro verso di lui e faccio un cenno con la testa. Si, gli dico, questa falesia si può chiodare.
Di solito chiodo sempre da solo, qui trovo il senso dell’avventura che mi piace vivere. E' molto affascinante essere solitari in questi luoghi, fa parte della poesia di questa sfida, lasciarsi tutto alle spalle stando appeso ad una corda a pulire la roccia e a creare le vie più belle accompagnato dai rumori della natura, fino a che l’ultimo raggio di sole illumina la parete. Da poco ho portato a scalare in questa zona una mia amica di nome Tatjana. Quando le ho parlato di questa falesia si è mostrata molto entusiasta nel volerla vedere. Mancavano ancora alcune vie da chiodare e c’era tanto lavoro da fare per migliorare il sentiero e mettere in sicurezza la roccia. Tatjana si propone da subito come aiutante. Sono lavori che richiedono tempo che va sottratto alla scalata, per questo in pochi si offrono come volontari. A volte però, dare una mano ad un "chiodatore" diventa un’occasione unica per imparare a chiodare, ecco perchè non ho esitato a spiegarle qualche trucco e a darle da subito il trapano in mano vivendo con lei l’entusiasmo di una nuova esperienza come se fosse un giorno passato sotto un sole nuovo.
di Marco Bussu
UN FUOCO SOTTO L'ORSA MAGGIORE di Tatjana Göx
Il buio è già scivolato sulla falesia di Yucatan quando scendiamo dalle corde fisse con il Grigri impolverato; lasciamo una corda da ottanta metri appesa a bambolina su un primo spit, in modo che cinghiali e topolini non possano rosicchiarla di notte. Risaliamo il ripido sentiero con gli zaini finalmente scarichi, lasciamo tutto alla base della parete per tornare a scalare domani.
È metà febbraio e la luna è ancora sotto la linea dell'orizzonte, le costellazioni illuminano le rocce, di fronte a noi Orione e tutte le stelle del Toro. Camminiamo piano nel silenzio che si deve ai luoghi sacri. Arriviamo al rifugio Castel Medusa dopo due giornate di lavoro gratificante in parete, carichi di energia e progetti. L'aria fine odora di lentischio e un coniglio attraversa il sentiero bloccandosi alla luce delle frontali per poi fuggire dietro gli arbusti. Ho la polvere di calcare sparsa sui pantaloni e la gioia appesa sul cuore. Facciamo un fuoco sotto l'Orsa Maggiore e mi assopisco davanti alle fiamme che prendono migliaia di forme danzanti, i pensieri scivolano indietro di diverse ore.
In mezzo a boschetti di fitti lentischi percorriamo un sentiero appena calpestato dove migliaia di asfodeli sono in fiore già da settimane, un mese in anticipo quest'anno. Dei rampicanti si attorcigliano come serpenti agli alberi di lentischio e lasciano dondolare all'aria i loro fiori a campanella. Gli asparagi indisturbati crescono a dismisura e avvolgono le rocce come rovi intricati. Un cielo blu cobalto si staglia sulla falesia incredibilmente luminosa, dove strisce arancioni, nere, rosse e argento scendono verticali come pennellate. Aquile reali planano sulle nostre teste e il fiume in basso brilla al sole, lasciando intravedere sponde sabbiose.
Da lontano la parete sembra invincibile, non si vedono sporgenze, fessure o cenge, solo le stupende colate di colore che vanno a finire nel fitto dei lentischi alla base. Arrivati sotto scorgo decine di appigli incredibili, colonne, cubetti e lamette, scaglie e buchi, vaschette e piccolissime protuberanze simili a stalagmiti. Con una Jumar risalgo una corda fissa sistemata in precedenza da Marco. Mentre progredisco tocco la roccia: è perfetta, compatta e lavorata. Decido dove bucare. Mi guidano l'istinto e il suono sordo del martello sulla parete. Appesa al mio grigri provo i passi, assaggio gli appigli, gusto gli appoggi. Immagino i movimenti in libera e subito mi entusiasmo: quella lametta diagonale va tenuta di destro, ma spallata, quell'appoggio è buono per traversare a sinistra, quel buco ottimo per rinviare.
Marco è appeso a fianco a me su un'altra corda e mi segue mentre chiodo la mia prima via. È entusiasta di riprendere a chiodare questo settore immerso in una natura selvaggia dopo quasi un anno di pausa e io sono felice di potergli dare una mano, perché fa bene allo spirito condividere le gioie in montagna. Mi indica col sorriso tutte le linee che ha già chiodato e quelle che ancora vede fra i colori e gli appigli della parete. Fitti lentischi si riversano sulla falesia come onde sugli scogli: c’è molto lavoro da fare alla base, ma Marco conta sull’aiuto di Mekey, padrone indiscusso di questi luoghi. È sempre felice di dare una mano, come se fosse una missione, a patto che gli si conceda l’onore di dare il nome a una via in ogni settore.
Ieri Marco ha chiodato una via dal basso e io gli ho fatto sicura fino all'imbrunire mentre avanzava su una lunga striscia grigio argento per ventisette metri. Quella striscia argentata è la prima immagine che ho impressa fra i ricordi di Yucatan ed è un capolavoro. Ho la possibilità di chiodare altre tre linee: una su roccia scura a gocce che chiamerò Mamba Nero, una che passa su un diedro arancio che chiamerò Mano de Piedra e un’altra su roccia lavoratissima che battezzerò Mocassino Acquatico. Nomi di serpenti, queste sublimi creature che sembrano uscite dal mito e che ti aspetti di vedere in un posto così selvaggio, lontano dalle luci della città, dal chiasso della quotidianità, un posto che ricorda l’America centrale ma anche l’Arcadia, terra delle Gorgoni. E la testa di Medusa, gorgone mortale con serpi al posto dei capelli, giace in qualche anfratto di questo luogo silenzioso e sacro dove abbarbicò il suo castello.
di Tatjana Göx
SCHEDA: la falesia Yucatàn, Sardegna
Accesso: dal parcheggio, scendere sulla strada sterrata che porta alle rovine del castello, al primo tornante a destra imboccare un sentiero sulla sinistra, che diventa sempre più marcato, fino ad arrivare ai piedi del settore “la roccia delle aquile”. Da qui scendere a destra su un ripido sentiero che porta alla base della falesia Yucatàn, visibile in fondo al canale. 15 minuti dal parcheggio.
È possibile pernottare presso il Rifugio Castello Medusa, gestito dall’associazione locale "Samugheo trekking" , chiamando i numeri di telefono +39 340 0626716 e +39 389 3144189 o contattando la pagina facebook e instagram. Il rifugio, con 15 posti letto, è anche il punto di partenza per i trekking e per raggiungere la via ferrata del castello.
Yucatàn:
1 Mamba nero 6b
2 Mocassino acquatico 6a+
3 Mano de piedra 6b+
4 Una man dal cielo 6c+
5 Crotalo tigre 6b/+
6 L’isola dell’abbandono 6b
7 Realtà e ricordi 7a
8 Perfecto cunno 7a+
9 Crampi alla lingua 6b
10 Dieci anni dopo 6c
11 E’ inutile piangere sul latte macchiato 6c
12 (work in progress)
13 Ne è valsa la pena 6b
14 Vivere due volte 6b+
15 Mekey in 3D 6a