Storie d'arrampicata: Finale per me di Giovanni Massari - seconda parte
Ritornando al mio rapporto con Finale fu proprio Andrea Parodi che, compilando la nuova guida della Pietra di Finale, ci portò a casa di Alessandro Grillo, personaggio mitico per tutti noi e probabilmente il primo che si cimentò sulle rocce finalesi nel lontano 1968.
Fu un incontro piacevole e cordiale in cui sentii netta l’energia positiva e propositiva di Sandro, attento alle nuove tendenze e alle nuove generazioni (aveva già visto all’opera Patrick Berhault).
Quello stesso autunno uscì un libro che parlava anche del finalese e che per alcuni mesi fu la nostra Bibbia nel bene e nel male, si trattava di "100 nuovi mattini" del famoso alpinista Alessandro Gogna, le vie del finalese che venivano presentate le avevamo praticamente già salite tutte in libera e se per qualcuno erano un mito, per noi, in un percorso parallelo che avevamo fatto senza sapere bene cosa ci succedesse attorno, erano già superate.
Nell’81/82 i nostri miti erano già altri: le 100 trazioni giornaliere di Patrick Berhault che viveva per arrampicare o la leggendaria eleganza di Manolo sulle rocce del Monte Totoga o ancora in un mito tangibile e più vicino a noi, il fortissimo Marco Bernardi.
A partire da 1982 con Fede a cui si era aggiunto l’amico GianPiero Turco iniziammo a frequentare il Verdon e soprattutto la Tête de Chien a Montecarlo dove vigeva la "legge di Berhault" e da dove rielaborammo i gradi francesi importandoli a Finale (strettissimi come erano là in origine e come sono rimasti sui tiri storici di Finale), consolidammo quelle che sarebbero state "le regole" dell’arrampicata sportiva e mettemmo le basi di quelle nuove idee che avrebbero ispirato tanti nuovi itinerari.
Nel frattempo avevo incontrato quello che oltre ad essere un grande amico divenne per anni una fonte di ispirazione per me e per tutto il movimento dei Finaleros: l’eclettico, inquieto ed ipercritico Andrea Gallo.
Con Andrea, Fede, Giampiero, il compianto Francesco "Cecu" Bertolino e il suo giro di cebani del CRIC (club rampicatori indipendenti Ceva) formammo una sorta di vera e propria tribù che, attraverso la personale dose di estro di ciascuno, fece nascere le nostre prime vere vie sportive nel finalese partendo dalla Pancia dell’Elefante alla Rocca di Perti in poi.
Con Andrea tentai e riuscii, dopo tanti allenamenti insieme al Palavela di Torino e sui massi erratici della Val Susa, la salita in libera di molti itinerari di cui forse il più significativo dell’epoca fu, nel 1984, I nuovi guerrieri che diede il via insieme ad Occhi dolci per Frank Zappa (Martino Lang, FFA M. Bernardi) alla ricerca dell’alta difficoltà mentre, per conto mio, proseguivo nell’esplorazione di me stesso attraverso il mio gioco solitario.
Dal 1985 il nostro gruppo abbandonò temporaneamente l’arrampicata in montagna per dedicarsi soltanto alla nascente arrampicata sportiva, nell’estate vagammo in gruppo nelle falesie francesi (Verdon, Buoux, brianconnaise) spingendoci fino al Saussois e a Fontainebleau; i risultati di questa "conversione" non si fecero attendere, nell’autunno a Finale nacquero le vie dell’alveare di Monte Sordo liberate da Andrea: Diverso perverso, la mitica Viaggio nel futuro e la via simbolo di Finale, in quel momento un progetto senza nome, la più significativa di tutte, quella che diventerà Hyaena.
Finale intanto stava diventando una Mecca dell’arrampicata sportiva e la frequentazione crebbe a dismisura creando le prime problematiche sulla fruibilità dei siti e sui sistemi di protezione, importante fu il contributo di Oliviero Toso che per primo effettuò la chiodatura del settore Cordon Bleau a resina, anche se proprio le visite di forti arrampicatori stranieri furono fonte di confronto, di stimolo e di ispirazione (frequenti quelle di Patrick Berhault, importante quella di Martin Scheel).
Furono anni magici che sfociarono in un ulteriore innalzamento delle difficoltà soprattutto ad opera di Andrea Gallo che spesso seguivo a ruota nelle sue realizzazioni e che sfociarono nella libera dei primi tiri veramente estremi (per l’epoca) del finalese come Radical chic e l’ormai leggendaria Hyaena del dicembre ‘86 e all’epoca una delle vie più difficili al mondo.
Devo molto delle mie mie realizzazioni in falesia proprio ad Andrea, lui mi ha liberato da quel caratteristico "bugia nen" tipicamente cuneese e mi ha fatto credere in quello che potevo realmente fare con allenamento e dedizione.
Credo che se ci sia un merito sportivo suo e della nostra generazione sia stato quello di gettare una luce nuova attraverso quello che mi viene da definire il "Mezzogiorno di fuoco" finalese su quelle strutture, di cui il "Nuovo mattino" aveva sdoganato la frequentazione, illuminandone gli appigli e gli appoggi all’apparenza invisibili che ci hanno consentito di salire in libera dove prima appariva impensabile.
Ma la vera forza di Andrea fu nel comprendere, all’inizio degli anni ‘90 quando iniziò il fenomeno delle prese scavate, che solo la roccia naturale ci dava veramente la possibilità di un confronto vero e leale e prendendo una posizione netta contro "lo scavo" salvò di fatto l’intero finalese da un possibile e probabile scempio.
Intanto Finale continuava a crescere e vari team di chiodatori (I fratelli Zambarino, l’ALA Sanremo, i Cravasards) arricchivano il panorama delle vie salite e da liberare e proprio nella "prima libera" dei vari itinerari vennero concentrati i maggiori sforzi e gli allenamenti specifici più intensi.
Come ho già scritto altrove per noi (ma soprattutto per me), giovani degli anni ‘80, l’arrampicata, passione e folgorazione insieme, era vissuta come una vera e propria e alquanto ferrea disciplina e ci sembrava l’unica forma, alternativa ed autentica, di vivere una vita vera ed interessante; forse con il sogno segreto di creare una nuova forma di crescita interiore, chi attraverso l’impegno fisico, andando alla ricerca dei suoi limiti, chi attraverso quello mentale, dilatando la coscienza alla ricerca di una maggiore conoscenza, dopo momenti, anche cercati, di rischio controllato.
Tutto questo si consumava, giocoforza, in modo integralista, radicale, ossessivo e in modo alternativo alla vita normale, tanto che qualcuno ci definì "parassiti sociali". Eravamo costantemente alla ricerca di un confronto: chi con sé stesso , chi con gli altri, ma sempre attraverso "la libera", con i suoi gesti sempre uguali ma sempre diversi per sentirci forse più liberi da quell’omologazione che sembrava serpeggiasse avida di proseliti, quella che cantavano i CCCP, "produci-consuma-crepa", e vivevamo sempre in attesa di un nostro, del tutto inutile ma nostro, "mercoledì da leoni".
Poi, sul finire del decennio qualcosa nel nostro gruppo cominciò a disgregarsi, il primo ad andarsene fu Martino Lang; qualcosa era cambiato e molti si erano dedicati ad altre attività, si erano fatti una famiglia o semplicemente avevano esaurito un’esperienza.
Fu come la fine di una lunga vacanza estiva durata quasi 10 anni in cui avevamo vissuto separati dal mondo reale dedicandoci totalmente e con grande impegno a quello che ci faceva sentire più vivi.
Se mi guardo indietro penso a quel periodo con dolce malinconia, un momento, la giovinezza, che tutti ricordano con nostalgia ma che per noi non è solo un pensiero lontano ma un periodo che ha sicuramente influito fortemente anche sul proseguo della nostra esistenza e sul nostro modo di vivere.
di Giovanni Massari