Alla Placca di Arcanzo in Val Masino la nuova via 'Il giudizio di Gesù Cristian'
Tutto ha avuto inizio una quindicina di anni fa quando, annoiato dalla solita routine valtellinese fatta di lavoro e uscite serali, decido per caso di provare a mettere i piedi sulla roccia del Sasso Remenno. É mio zio Roberto che mi inizia all'arrampicata e le prime uscite mi rapiscono subito tanto che, da lì a poco, ogni weekend sono a scalare. La scalata in falesia però mi sta stretta perché, visto che sono scarso, sulle vie più facili c'è sempre una gran coda di gente. Comincio così a guardarmi attorno e scopro che la valle pullula di strutture rocciose più o meno alte e tutte da scalare!
La mia avventura inizia quindi sulle strutture nella zona del Sasso Remenno e della vicina Val di Mello.Dopo ogni uscita è ormai routine andare al “Kunda” a San Martino a bere una birra (forse qualcuna di più) e fantasticare sulle avventure future. Una sera tornando verso la macchina parcheggiata in piazza alzo lo sguardo e, sospesa sopra al campeggio Remenno, noto una placca che svetta verso il cielo.
Ci ero passato davanti decine e decine di volte ma questa volta rimango folgorato ed esclamo: dobbiamo andare a scalare lì! Non so neanche se su quella placca salgano vie nè se abbiano un nome. Comincio ad informarmi e scopro che la placca ha un nome e ci sale pure una via; stiamo parlando della Placca di Arcanzo, ma raggiungerla non è per niente facile perché è ben protetta da un fitto bosco sottostante inframezzato da placche rocciose che culminano in un gigantesco spuntone dal quale ci si deve calare e non c’è un vero e proprio sentiero di accesso.
Propongo la salita a mio zio che entusiasta accetta subito, così la domenica dopo tentiamo di raggiungere la placca ma senza successo. Ci proviamo ancora un paio di volte nell'arco dell'anno successivo ma anche qui falliamo l'avvicinamento. Ci dedichiamo così ad altre vie e la Placca di Arcanzo rimane lì, ancora da scalare.
Passano una decina d'anni e dopo un centinaio di vie scalate con me, zio Roby decide di appendere le scarpette al chiodo (sei sempre in tempo a cambiare idea) e fa il suo ingresso in questa storia un nuovo compagno di arrampicata. Il suo nome è Andrea ed è arrivato in valle a bordo di una Fiat Punto scassata con guida a destra. Si è appena trasferito dall'Inghilterra ed è all'assidua ricerca di un compagno di arrampicata. Dopo averlo conosciuto ad una massacrante festa di compleanno gli propongo di venire a fare una via con me; lui avendo scalato soprattutto in falesia è alle prime esperienze su vie lunghe.
La via scelta è su un improbabile placca in Val Bodengo (2 ore di avvicinamento per 4 tiri di corda) ma Andrea ha così tanta voglia di scalare che mi segue senza battere ciglio. Capisco subito di che pasta è fatto perché anche se è alle prime vie lunghe, insiste subito per scalare da primo piazzando nut malsicuri che a volte escono e si ammucchiano contro le poche protezioni ben piazzate.
Da qui nascerà un’intesa che permane tuttora. Passa ancora qualche anno e di vie ne abbiamo scalate parecchie e probabilmente abbiamo messo piede su ogni struttura di fondovalle, ma c'è una struttura che continuo ancora a nominare ogni volta che mi alzo dal tavolo del “Kunda” e che non abbiamo ancora salito, è la placca di Arcanzo!
Il 2024 si rivela essere un anno prolifico in cui ci togliamo vari sassolini dalle scarpe. Siamo in forma! Casualmente mi vengono regalati una trentina di spit e un fulmine mi attraversa il cervello, è arrivata l’ora di aprire una via sulla placca di Arcanzo! Comunico l'idea ad Andrea che, come è sempre successo negli ultimi 5 anni, non si tira certo indietro.
La placca la avevamo osservata varie volte e avevamo già individuato un’ipotetica linea che sale nei pressi dello spigolo sinistro e segue una fessura nella parte alta. La settimana successiva saliamo con gli zaini carichi di materiale la stretta Valle di Arcanzo determinati a trovare la tanto desiderata placca. Dopo tre ore di tentativi siamo in cima allo spuntone di calata e già essere lì non mi sembra vero! La placca che ho osservato per anni si trova davanti a me. L'obiettivo era trovare il sentiero e portare il materiale e dopo averlo messo al sicuro rientriamo a valle per tornare il giorno dopo.
Passa una notte in cui dormo poco o niente assalito da mille dubbi per l'avventura che ci aspetta. Alle 5 ci avviamo verso la placca e con il sentiero segnato raggiungerla è facile; in un’ora e mezza siamo allo spuntone e ci caliamo veloci alla base. Il periodo è stato abbastanza piovoso e la placca è piena di colate d'acqua ma nella zona scelta per la salita sembra essere in buone condizioni.
Parto subito per il primo tiro che dopo una facile placca appoggiata mi conduce ad un albero sotto un risalto più verticale. Recupero Andrea chiedendogli se posso aprire anche il secondo tiro e lui accetta a patto di poter aprire i due tiri successivi. Parto per il secondo tiro e mi accorgo subito che la musica sta cambiando perché la parete si fa più ripida e non è possibile inserire protezioni veloci. Faccio qualche metro e tiro fuori il trapano per piantare il primo spit della via, lo metto e proseguo. Salgo ancora e scopro che salire col trapano appeso all'imbrago è terribilmente scomodo e non sempre è possibile fermarsi per piazzare uno spit. Raggiungo delle buone tacche e proseguo con le operazioni di apertura piazzando ancora un paio di spit, arrivo ad un altro albero di sosta e lascio il posto ad Andrea che dovrà aprire i due tiri successivi.
La placca che avevamo preventivato di salire successivamente è fradicia e Andrea dovrà inventarsi un altro tiro tra placchette e vegetazione. Davanti noi ora c'è una lama che senza interruzioni conduce alla famigerata fessura visibile dal fondo valle. Andrea parte come un cavallo imbizzarrito e dopo poco tempo è alla base della fessura che in realtà è talmente larga da sputare fuori anche il friend numero 5. Sale emozionato il fessurone e non smette di ripetere che è la più bella fessura che abbia mai salito. Lo seguo e non posso fare altro che confermare che ha ragione! A questo punto penso che il tiro chiave della via sia passato, ma non è affatto così. Sopra le nostre teste c'è una placca ripida e compatta che mi fa subito capire che adesso sono c***i. Con un po' di apprensione organizzo il materiale e comincio a salire. Affronto subito un muretto compatto che mi conduce ad una vena orizzontale e ad una pianticella dove metto un cordino. Da qui in poi la placca si fa ancora più ripida e salgo senza sapere quello che mi aspetta. Le belle tacche del secondo tiro sono un lontano ricordo e sono costretto a fermarmi per piantare uno spit con i piedi spalmati. Proseguo un po' in diagonale e riesco a mettere un secondo spit.
Da qui in poi inizierà una corsa angosciante su una vena diagonale appena accennata che si interromperà bruscamente per colpa di un piede mal piazzato che mi farà tornare quasi al punto di partenza dopo un lungo volo. Guardo Andrea che mi chiede se sto bene, controllo di non essermi fatto niente o quasi, e noto che la suola di una scarpetta si è rotta durante il volo! Non sto a pensarci troppo e riparto immediatamente, oltrepasso il punto massimo raggiunto in precedenza e con le gambe tremolanti raggiungo un appoggio che mi permette di piazzare una protezione. Mi guardo indietro e mi accorgo di aver fatto un bel po' di strada. Dopo qualche metro arrivo ad un bel punto di sosta e recupero Andrea che mi raggiunge dicendo che sono matto. Parte per il tiro successivo e tira fuori tutto il rosario per risolverlo e raggiungere il bosco sommitale. La via è fatta e noi ancora non ci crediamo!
È stata la nostra prima apertura e in un posto che non ha eguali in zona. Torniamo a casa stanchi ma soddisfatti del lavoro fatto e ci promettiamo che torneremo presto a sistemare le soste e aprire il tiro della placca bagnata. Un’altra cosa: manca il nome!
Per i giorni successivi proviamo a pensarci ma non ci viene in mente nulla. Dopo un paio di settimane torniamo per finire la via e stavolta vogliamo portare con noi l'elemento più simpatico e matto della nostra compagnia, Christian detto anche Gesù Christian per via del suo aspetto angelico. Rimarrà indeciso se venire o no fino all' ultimo perché giusto un paio di giorni prima deve togliere i denti del giudizio. A lui spetterà il compito di dare un parere sui gradi e la bellezza della via.
La giornata è splendida e in poche ore saliamo la via aprendo il nuovo tiro in placca e chiodando le soste. Andrea dà il meglio di sé ripetendo e liberando il tiro sul quale ero caduto in apertura al quale, colto da sensi di colpa, aggiungo uno spit sul tratto sprotetto perché guardando il mio compagno salirlo da primo mi rendo conto che è veramente pericoloso. La via è conclusa davvero e anche Christian entusiasta si complimenta con noi. A questo punto il nome ci viene naturale e siamo tutti concordi nel chiamare la via Il giudizio di Gesù Cristian.
di Sandro Todesco