Oliver Renzler apre Olli's Meisterwerk, nuova via d'arrampicata sul Monte Macaion
OLLI’S MEISTERWERK di Oliver Renzler
Questa parete è considerata friabile e ricoperta di vegetazione. Ma è davvero così ovunque? L’ho osservata attentamente dal basso verso l’alto, poi ho attraversato il centro della parete lungo un’esile cengia. Inizialmente seguivo le tracce dei camosci, verso la fine per andare avanti sono stato costretto a continuare strisciando in ginocchio. Ho fatto fatica a convincermi di continuare a quattro zampe verso le terrazze di ghiaia, sospese 130m sopra la partenza della via. E pensare che 31 anni fa ero già stato qui, per salire in free solo, dal basso verso l’alto, questo terreno del tutto sconosciuto, e non come ora da destra a sinistra… Frustrato e spaventato volevo abbandonare il mio progetto. Soltanto il peso del trapano sugli spallacci e il controllo ferreo delle mie emozioni ha prolungato la mia ricerca per una soluzione più solida e sicura. Improvvisamente ho trovato una risposta. Sì, questa potrebbe essere la linea: a destra nel primo terzo della via, lì dove la roccia non è così distrutta dagli imponenti crolli, poi invece occorre andare verso sinistra, seguendo la piccola porzione di roccia buona fino alla cengia mediana. Così facendo si evita le cadute di massi, l’erba, i pini e le sezioni a sinistra e a destra estremamente friabili. Nella parte alta la linea di salita sarebbe stata più facile da trovare. A quattro zampe ho strisciato di nuovo lungo la cengia verso la linea immaginata. Il trapano ha morso rumorosamente il solido calcare. Prima sosta, yahoo!
In due giorni ho aperto i primi tre tiri. Mi sono abituato a questi 480m metri di fragile parete nord. Con altri tre giorni ho aperto altri tre tiri dall’alto, ovvero dall’uscita della via verso il basso. Le batterie del trapano bastavano per 40 spit da 10mm, per piazzarli ci sono volute 8 ore di duro lavoro. La sfaticata ha cominciato con il trasporto di 34 kg di materiale, uno zaino pieno di corde, tasselli, staffe, martello, trapano e batteria. Dopo ore spese a trapanare, martellare, stringere i tasselli, a rimuovere l’erba, pietre ed enormi massi che raggiungevano i due metri di altezza, avevo i crampi alle dita e braccia. La schiena mi faceva male dopo ore appese all’imbrago. E prima dell’imbrunire dovevo risalire le corde fisse, 100m il primo giorno, 200m il secondo. Dopo ogni giornata di lavoro ero distrutto, e questa distruzione durava per altri due giorni.
Il terzo giorno in cui mi sono calato dall’alto sapevo che non potevo commettere alcun errore. Avevo calcolato che avrei potuto raggiungere la cengia con altri 30 spit, ed utilizzare la batteria rimasta - sufficiente per appena 10 fori - per raggiungere la terza sosta, già stabilita in precedenza. Sono sceso sulle corde fisse, togliendole dopo ciascuna calata, in questo modo però non mi era più possibile ritornare verso l'alto. Durante quella giornata si è rotta una punta del trapano, ma ne avevo una di riserva e questa mi ha permesso di raggiungere la sosta ed uscire dalla parete. Giorni dopo mi sono torturato ancora una volta lungo la cengia per raggiungere la corde fisse, e dopo averle risalite con i jumar per 120m con lo zaino pieno, mi sono accorto che ad essere quasi esauste erano le mie "batterie". Ma a sera, con il Catenaccio illuminato di rosso, avevo completato il lavoro. Mi sono calato con tutta l’attrezzatura. Di ritorno lungo la strada forestale le mie gambe hanno ceduto sotto l’enorme carico come fiammiferi - ma per fortuna senza rompersi.
Per sei lunghi giorni ero stato in parete, adesso c'erano 200 spit. Ero sempre salito con le scarpe da ginnastica, non avevo fatto nemmeno un metro in arrampicata. Così stimavo le difficoltà attorno al 6a/6c, con alcune sezioni di 7a/7b. Volevo salirla quest’anno, a tutti i costi, e tre giorni più tardi il mio amico Roland Mittersteiner aveva un po’ di tempo a disposizione. Salire la via con lui è stato un piacere particolare anche perché Roland (insieme a Toni Zuech) è uno dei pochi ad aver già salito questa parete nord. Nel 1989 la loro cordata aveva infatti ripetuto e raddrizzata la via che avevo aperto aperta nel 1984. Così domenica 20 settembre, dopo 9 ore e mezza d’arrampicata, eravamo sul pianoro sommitale, dietro di noi 13 tiri spittati ed un’arrampicata quasi sempre bella lungo placche, spigoli, tetti, fessure e camini. Questa via, con questi tiri, questa splendida vista, il facile accesso e la facile discesa per i prati del Monte Macaion, ha tutte le carte in regola per diventare una classica. Tuttavia resta un’impresa seria che richiede 8-12 ore per essere completata. Tempi paragonabile alle vie sulla sud della Marmolada. E questo a soli 10 km da Bolzano. I futuri ripetitori potranno divertirsi.
Oliver Renzler
Grazie a: S.C.A.R.P.A. / Heinz / Roland Mittersteiner / Mountain Spirit
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S.C.A.R.P.A. |