Marcello Bombardi libera El puma (9a) a Chesod in Valle d’Aosta
Negli ultimi anni sono molto affascinato dal provare line chiodate anni fa e mai salite. Magari anche poco provate da altri scalatori, situate in luoghi poco frequentati, a volte anche cadute nel dimenticatoio. Hanno un’aura di mistero, il fascino dell’ignoto, l’incertezza nel sapere se siano fattibili o meno e se siano belle linee. Sono desideroso di scoprirlo e allo stesso tempo sono motivato nel liberarle per ridare valore alla linea, al lavoro fatto anni fa dal chiodatore e magari ispirare altra gente a provarle.
Mi è capitato più volte anni fa di affrontare questo percorso su alcuni vecchi tiri rimasti incompiuti. Così, quando sono venuto a conoscenza del progetto di Chesod, mi sono sentito subito motivato a provarlo. Ero capitato in questa piccola falesia della Valtournenche per provare il tiro di fianco, El tigre 8b, un classico della Valle d’Aosta, quando ho messo gli occhi sulla linea poco a sinistra che non presentava ancora segni di magnesite. Le due sono molto simili come stile. Una prima parte verticale più facile, alcuni metri impegnativi più strapiombanti che vanno a creare un’onda di roccia super levigata e un ultimo tratto di via più lungo ma facile.
Il primo giorno che ho messo le mani sul progetto non sono riuscito a trovare il modo per passare quei pochi metri che separano le due parti più verticali e scalabili. La roccia a Chesod è incredibile e quasi unica. Si tratta di un serpentino rosso/grigio molto levigato dall’acqua con fessure e spaccature che sembrano buone da terra ma risultano poi spesso svase, cieche e quasi verticali. Sono tornato un'altra volta ma la sequenza delle fessure più evidenti continuava a non lasciarmi salire. Ho preso allora in considerazione delle prese nella parte a destra più strapiombante della parete, quasi a uscire dalla linea più logica. Ho provato un tallonaggio in alto a destra, molto precario. La tensione sui piedi è venuta meno e il tallonaggio è scappato più volte, ma la presa buona successiva si è fatta vicina, a portata di braccio. L’eccitazione per aver trovato un metodo che mi permettesse di superare quei metri ostici è salita. Ed erano movimenti molto estetici, bellissimi da scalare. Nonostante non avessi fatto tutti i singoli potevo iniziare ad immaginarlo possibile.
Da quel momento sono tornato a riprovare la via 4 o 5 volte molto distanziate tra loro a causa dei sempre frequenti impegni agonistici e della difficoltà a trovare compagni motivati a scalare in questa piccola falesia gioiello della Valle d’Aosta, che però risulta sempre poco frequentata e abbastanza di nicchia per i pochi tiri a disposizione. Nell’ultima giornata di tentativi dell’autunno scorso sono arrivato a cadere tre volte alla fine della sezione chiave, con le dita che mancavano sempre di poco la prima fessura buona dopo quella decina di movimenti che mi toglievano velocemente le energie.
Sono tornato ad inizio aprile. In testa ancora i movimenti, il corpo che si ricorda bene le sensazioni fisiche. Mi ritrovo subito un po’ stupito dall’eseguire più facilmente i singoli già dal primo giro sulla via. Alcuni tentativi dopo, mi sono ritrovato con quell’ultima fessura in mano, sicuro che questa volta non l’avrei più lasciata andare. Da lì potevo di nuovo riprendere fiato, moschettonare, smagnesare e godermi i metri di scalata più facile che portano alla catena in cima della falesia.
La via è stata chiodata da Hervé Barmasse parecchi anni fa. Risulta tutta naturale, cosa non scontata in Valle d’Aosta, e penso sia una delle più estetiche della zona.
di Marcello Bombardi
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