La falesia degli Artisti in Val di Susa
Nel lontano 1980 Lucio Battisti cantava "Ma che sapore ha una giornata uggiosa, ma che colore ha una vita mal spesa?" Questo é il collegamento che mi viene da fare pensando alla Falesia degli Artisti di Borgone di Susa, in quanto, proprio in una giornata uggiosa e tutto sommato arrampicatoriamente parlando mal spesa, che, superando una barriera quasi invalicabile di rovi, con Claudio ed Adriana abbiamo ri scoperto questa bella parete da sempre sotto gli occhi di tutti, ma incredibilmente quasi mai toccata dalla mano di un arrampicatore.
Per la verità in questa, che ai tempi era un fronte di cava, qualche chiodo a pressione e una fila di vecchi spit che occhieggiavano dal folto della selva c’erano, ma la vegetazione si era oramai impadronita di tutto impedendoci di capire dove chi ci aveva preceduto, fosse salito. Una volta ottenuto il permesso dai padroni del terreno, mentre pensavamo al fatto che il lavoro di bonifica sarebbe stato ciclopico e di come successivamente avremmo destinato il legname di risulta, in pochi minuti avevamo già messo insieme i nomi della Task force che ci avrebbe aiutato. Il progetto era partito ma nessuno degli amici che avremmo coinvolto, ancora ne sapeva nulla!
Inutile dire, che il giorno successivo insieme al Doc (al secolo Antonio Migheli) sfidando gli arbusti eravamo alla base della parete per cercare di seguire la fuga dei vecchi spit che si perdeva verso l’alto. Tanto era l’impegno nel cercare di leggere al meglio la roccia, ed evitare una possibile caduta su quella vecchia ferraglia piazzata a distanze siderali, che ero quasi piombato in uno stato di trance agonistica, quando dal basso, mi giunse l’avvertimento del mio compagno che mi chiedeva se vedevo una sosta, perché stavo per superare la metà della corda. Il tiro era da 40 metri e manco me ne ero accorto, il tipo di arrampicata, l’ambiente e quel pezzo di storia del posto, che nonostante io arrampichi da una vita ancora non conoscevo mi avevano completamente assorbito ed ora dovevo calarmi su di una sosta a dir poco raccapricciante, aiutoooo.
Nella settimana successiva, dando il via ufficiale ai lavori, Pierino Protti (Edward mani di forbice) e Walter Siffredi (non è parente di Rocco) , annaffiando il loro duro lavoro con un gradevole Bianco fresco, erano già alle prese con la deforestazione del luogo e a loro in un crescendo quasi inarrestabile si sono via via aggiunti Adriana, Anna, Giovanni, Gloria, Marco, Manuele e Rocco che hanno spazzolato, tagliato, pulito, assicurato e talvolta anche nutrito il sottoscritto e l’infaticabile Payola.
Però, nonostante tutti questi lavori, il mio pensiero da quel momento andava sempre li. Cioè a cercare di scoprire chi diavolo avesse salito prima di noi quelle pareti. Per questa ragione, ho rotto le scatole a tutti gli alpinisti del vecchio regno di Sardegna, arrivando pure a chiedere ad Oviglia, se mai avesse fatto qualcosa quelle parti. Tanta ricerca, mi portò a scoprire che sicuramente una linea era stata tracciata dal compianto Ezio Cavallo insieme a Filippo Ciquera, il quale, si ricordava del posto, ma naturalmente non si ricordava quale delle due fosse. Avrei strozzato volentieri quello smemorato di Filippo ma forse proprio perché non lo feci la provvidenza mi venne incontro.
Un mattino, una volta parcheggiato lungo la strada, stavo armeggiando con il materiale che avrei utilizzato durante la giornata, quando, raggiunto da un distinto signore questi mi chiese : Siete voi che state attrezzando la parete qua sopra ? Sulle prime, per prendere le distanze, credo che balbettai un: Non so! Poi, una volta capito che non si trattava nell’ ordine, del sindaco di Borgone, di un messo comunale e nemmeno di un Carabiniere Forestale, mi risolsi a confessare che si eravamo noi i chiodatori.
A quel punto mi domandò se non avevamo trovato tracce di passaggio in quanto lui tantissimi anni prima, aveva aperto un itinerario di due lunghezze su quella parete. Evviva, anche il secondo tassello era andato a posto e questi, al secolo Franco Lerda, lo aveva sistemato. Egli però non ricordava come si chiamasse il suo compagno di cordata, di costui rammentava solo il nome che si era dato come “Arancione”, seguace di Bhaktivedanta e che allora come tale, fosse in attesa della fine del mondo.
Come già sopra illustrato il riferimento al pezzo di Lucio Battisti, non è casuale, ed ancor più non lo è anche relativamente alla collocazione temporale, in quanto in questa falesia lo stile dell’ arrampicata è quello classico degli anni 80, molto di piedi su di un buon Gneiss granitoide. La precisione e la fluidità dei movimenti la fanno da padroni e per coloro i quali, sono abituati al prendi la tacca e tira, sarà necessario un pochino di ambientamento.
Il nome che gli abbiamo dato, cela per noi, alcuni significati, il primo è che Lerda in quanto affermato concertista è certamente un artista, poi ogn’uno di noi più o meno ironicamente, potrà dargli il suo, ma sicuramente uno di questi, specialmente per il settore scultori, risiede nel lungo lavoro di scalpellinatura, fatto per rimuovere le parti instabili della crosta friabile che ricopre alcune zone della falesia. inutile dire che con la frequentazione alcune scagliette cambieranno ancora di domicilio e che la generosa chiodatura a fix inox da 10 mm permetterà a tutti di osare senza patemi d’animo.
Pur essendoci ancora dei cantieri in corso d’opera, sino ad ora siamo arrivati a tracciare 19 itinerari, alcuni di questi sono stati chiodati dal basso ed il materiale usato è tutto integralmente autofinanziato.
di Elio Bonfanti
SCHEDA: la falesia degli Artisti in Val di Susa