Z di Zarro alla Punta Todeschini sulla Bastionata del Lago di Lecco
Nel dicembre 2023, andando per la prima volta a fare qualche tiro alla falesia Promesse nel Sole alla Bastionata del Lago di Lecco, mi sono imbattuto in una zona nuova per me. Per arrivare alla falesia, con un avvicinamento brevissimo dal parcheggio, si passa sotto la direttiva di una parete molto strapiombante che culmina con una piccola torre. Alla sua sinistra sale uno spigolone che fa parte di una torre vera e propria, collegata al resto della parete. L’ho vista di sfuggita, e ho fatto una pessima fotografia, nella luce del tardo pomeriggio.
Nel gennaio 2024, dopo una camminata sono andato alla base della torre con lo scopo di fare fotografie da studiare e la speranza di non individuare segni di passaggio di altre cordate. Dopo aver fatto una miriade di foto, sono stato colpito per un attimo dal luccichio di un punto illuminato dal sole in quel momento, con l’amara sorpresa di vedere un chiodo con moschettone, a cui è fissata una corda. Ho quindi sentito Eugenio Pesci, grande conoscitore del lecchese, tra l’altro uno degli apritori all’Antro di Pradello. Da sue info, si sarebbe potuto trattare di un progetto di Fabio Valseschini, di almeno dieci anni prima. Contattato Valseschini, mi ha scritto testualmente "sì, ero andato anni fa per giocare un po', ma se hai visto una linea vai a bomba." Il gruppo per l’apertura ormai era stato battezzato, i New Rocks (*) erano pronti a divertirsi.
16 marzo 2024, Claudio "Boldo" ed io iniziamo l’avventura. Ale non c’è per impegni di lavoro, e Pietro "Cerio 95" ha ricevuto nella notte una chiamata per un intervento di soccorso alpino; ci raggiungerà più tardi. Boldo mi dice che vorrebbe provare ad andare da primo in apertura. La cosa mi rende felice e orgoglioso del giovane amico, così che parte lui ad aprire le danze. Il tiro fila liscio, ma come ci renderemo conto anche nei successivi tiri, spesso non si riesce a chiodare o ad utilizzare protezioni veloci, così facciamo uso anche di fix, in maniera parsimoniosa. Fatta la sosta del primo tiro, arriva giusto in tempo Cerio per salire con me.
Ora parto io. La parete qui diventa verticale, così mi trovo ad aggiungere protezioni. Esco poi a sinistra, con gli ultimi metri un po' vegetati; sarà una zona da ripulire. Ora è la volta di Cerio aprire il prossimo tiro. Anche per lui è la prima volta da primo in apertura. Sale una zona friabile, dove in seguito abbiamo rimosso grossi massi, raggiunge un camino e opta per uscire a sinistra, su roccia molto bella. Il tiro è ancora da completare, ma preferiamo affrontarlo in un’altra giornata. Ci rimane del tempo, così Boldo ed io, mentre scendiamo in doppia, puliamo tutto il possibile, portandoci avanti col lavoro, e dopo un po' raggiungiamo la base.
Dopo una settimana decidiamo di proseguire, e Cerio finisce il terzo tiro. Ne viene fuori una bellissima lunghezza, che porta questo tiro al primo posto in bellezza nella via. Riparte Claudio, su un tratto verticale e arrivando alla cengia alberata intermedia. Da qui raggiunge la parete passando per un camino molto marcio e pieno di blocchi in bilico. Il tratto finale è troppo pericoloso, per cui decidiamo di calarci alla cengia e provare a salire più a destra.
Individuo una buona zona e salgo su gradoni, ma purtroppo anche qui trovo una sosta. Proseguo su un tratto logico di parete verticale, con lame; non vedo protezioni sopra di me, ma salendo più sopra trovo due chiodi e un fix e arrivo ad un’altra sosta già pronta. Peccato per questo tiro che abbiamo ricalcato, però in questa zona di parete non è facile trovare altro, si passa dal molto friabile al molto compatto, con poche vie di mezzo. Siamo stanchi, decidiamo di scendere e pulire parzialmente quanto fatto, arrivando alla base della torre belli cotti.
6 aprile 2024, oggi c’è anche Alessandro, così che il gruppo è al completo. Dopo la risalita delle corde, parte Alessandro in esplorazione, con il timore di trovare altri segni di passaggio. Dopo un breve tratto facile, Ale sale in una zona difficile a destra, dove sicuramente nessuno è passato, evitando una zona più vegetata a gradoni a sinistra (probabile linea dei primi salitori). Un traverso lo porta poi ad una piccola cengia, dove purtroppo trova un’altra sosta. Ormai abbiamo capito che qualcuno ci ha preceduti sulla cima, ma continuiamo. Saliamo su una bellissima placca con fessure, ricalcando il tiro presente, fino alla sosta successiva. Rimangono solo un piccolo zoccolo friabile e la torre finale da salire. I fix dell’altra via salgono, su roccia compatta, l’ultimo tratto verticale/strapiombante della torre, ma per orgoglio salgo più a sinistra, puntando ad una zona con diedri che si dimostrerà molto friabile e pericolosa, ma almeno raggiungiamo la cima con una lunghezza autonoma.
Arrivati tutti e quattro in cima siamo molto soddisfatti: la nostra via è indipendente, salvo due lunghezze riscoperte. Inoltre, alcuni dei nostri tiri sono molto belli; c’è da festeggiare! Complimenti ai miei amici-soci di cordata, ognuno di noi ha aperto dei nuovi tiri, spesso impegnativi e mai troppo chiodati, un bel lavoro di gruppo!
NB: solo dopo aver pubblicato sui social alcune foto e commenti sulla via aperta, chiedendo anche se qualcuno avesse informazioni sulla via che arriva in cima, ho saputo che le corde fisse arrivano al culmine di un vecchio progetto (circa 10 anni fa) di Fabio Valseschini, Claudio Cendali e C. Clozza, abbandonato al termine della fissa. Fino a quel punto abbiamo salito una linea indipendente, più a sinistra (primi 4 tiri). Claudio Cendali, con Fabio Todeschini, hanno proseguito la via nel novembre 2013, fino in cima, denominandola Colonne Doriche. I primi salitori hanno dato alla torre il nome di Punta Todeschini. Poi, nell' ottobre 2014, hanno fatto qualche miglioria/variante. Per motivi legati alla conformazione della parete, abbiamo replicato alcuni tiri di quella via:
-nel V tiro;
-solo qualche metro nel VI tiro, dove abbiamo però continuato su una linea autonoma più verticale a destra;
-nel VII tiro;
-l’ottavo tiro sale una linea indipendente a sinistra, che però si svolge su roccia pericolosa, nonostante la parziale pulizia (i primi salitori dovrebbero essere saliti ancora più a sinistra nella salita del 2013, raddrizzando in seguito la via a destra, su pilastro compatto).
Per quanto possibile abbiamo ripulito le lunghezze percorse, comprese quelle della via Colonne Doriche che abbiamo seguito.
di Walter Polidori
FELICITA' di Claudio Boldorini
Ogni essere vivente ha un modo personale per essere felice. Quello di noi mutati dalla particella (è "quella piccola particella che, se trova l’ambiente adatto, può dare luogo ad una mutazione, quella che porta ad immaginare linee da salire su qualsiasi cosa di verticale troviamo nel nostro cammino") tanti lo definirebbero folle, ma è una mutazione casuale e che ti colpisce senza preavviso.
Ci svegliamo la mattina alle cinque, affrontiamo ore di viaggio in macchina per andare a sudare e faticare, prendere sassi in testa e tornare a casa sfiniti la sera. Lo facciamo per la ricerca di un brivido che ti elettrizza e che ti conduce alla gioia, non per la gloria o per i soldi.
La mattina del 16 Marzo, in compagnia di Walter e in attesa dell’arrivo del Cerio, sceso dalla macchina guardo il mio zaino notevolmente carico, con più di un centinaio di metri di corda fissa ad accompagnare tutto il materiale che potrebbe servire per aprire una nuova linea di roccia: fix, chiodi, martello e quant’altro; carico in spalla il grosso macigno e non sento la fatica, l’adrenalina che scorre nelle vene rende lieve ogni sforzo, la carica è tantissima, le aspettative molte, paura poca.
In breve giungiamo sotto alla parete individuata da Walter, sappiamo dove partire e sappiamo vagamente dove arrivare, ma il percorso ce lo dobbiamo inventare, senza conoscere il grado, la solidità della roccia, la proteggibilità o qualsiasi altro dettaglio che di solito possono rendere piacevoli queste nostre piccole avventure.
Approfitto del ritardo del Cerio, che avrebbe voluto aprire il primo tiro e dico a Walter:
"Vado io sul primo".
"Sei sicuro? Te la senti?"
"Sisi, certo."
Negli occhi di Walter si intravede orgoglio, forse anche un po’ di gelosia nel lasciare a me le prime manate su quella roccia grigia apparentemente buona e compatta. Ma capisco che è la cosa giusta da fare per sbarazzarmi di tutti i pensieri che affastellano la mia mente.
L’imbrago è molto carico, alla fine di ognuna delle tre giornate mi lascerà due bei segni sui fianchi per il peso eccessivo che non sono abituato a sopportare, ma infilo le scarpette e parto. Ci vuole qualche metro di arrampicata per prendere confidenza con la nuova attività che sto svolgendo; vedo poca roccia proteggibile, credo sia più ansia e inesperienza che roccia realmente brutta, ma mi forzo, contro i miei principi etici arrampicatori, e salgo. Walter dal basso mi dice "metti uno spit". Vorrei non farlo, mi piacerebbe fare un qualcosa di più tradizionale, ma capisco che mi devo calmare se voglio proseguire. Va bene. Spit sia.
Da quel momento in poi, solo divertimento, il mio cervello capisce che sono nella mia dimensione verticale, quel luogo in cui riesco a fondermi con la natura e a diventare un tutt’uno con la roccia. Rannicchiata nell’angolino del cuore la paura è sempre pronta a emergere, ma quando divento un tutt’uno con la parete, quando la tratto con cortesia e amore, mi rallegro e non penso ad altro.
E così concludo il tiro, dopo circa una quarantina di metri su roccia abbastanza instabile, di cui prenderò consapevolezza solo nei giorni successivi di apertura, quando salirò da quarto e ripulirò il tiro.
Le giornate di ascesa proseguono con il lavoro di Walter e di Cerio, che aprono delle bellissime linee. Ancora una volta poi tocca a me: nuovamente roccia marcia, da disgaggiare. Ma anche questa volta, dopo i primi tre metri mi tranquillizzo e, pur rendendomi conto dei blocchi instabili, mi sento a mio agio. Quando Walter e Cerio arrivano alla sosta, decidiamo di scendere qualche metro e cambiare un poco linea perché il diedro non appena percorso è realmente troppo precario e pericoloso per i futuri ripetitori della via.
Ancora Walter e poi anche Ale, che apre due lunghezze, di cui la seconda stratosferica, solo a friend. Che forza mentale. Si arriva a poche decine di metri dalla vetta. Faccio un tentativo sull’ultimo tiro, ma la roccia appare ancora più brutta dei tiri precedenti. Inizio. Nei primi metri sono tranquillo, ma poi giungo a una cengettina da cui parte un diedro che in questo momento, con la mia poca esperienza, è davvero troppo. Non la considero una sconfitta, sono veramente felice comunque, capisco il limite, non posso tirare la corda più di ciò che ho fatto. In più c’è dietro Walter, su cui posso fare affidamento cieco.
"Walter, non so come passare. Prova tu e vedi se riesci", consapevole che nel giro di un’ora sarò al culmine di Z di Zarro, passando per un diedro che solo un mutato potrebbe pensare di scalare.
La sera Valma Street Block, birra per festeggiare, sorriso stampato e occhi cadenti. Ma quando mi infilo sotto le coperte, da lì a poche ore, sono felice. Questa è la felicità, la mia felicità.
TRE PICCOLI GIORNI DI GRANDI AVVENTURE di Pietro Ceriani
Aprire una nuova via è qualcosa che sicuramente mi ha sempre affascinato, se poi si ventila la possibilità di farlo nel lecchese, terra a cui mi sento particolarmente legato, e dove sono alpinisticamente cresciuto, beh, devo sicuramente accettare.
L’entusiasmo per questa nuova esperienza è molto, e non appena con Claudio e Walter si decide di andare a mettere il naso su quel pilastro vicino alla falesia di Pradello, per spacconeria la butto lì "raga il primo tiro lo apro io". Come prevedibile, non darò seguito a questa affermazione perché il giorno precedente sarò chiamato per un intervento di soccorso che mi vedrà rientrare a casa alle 3 di notte. Una persona normale avrebbe rinunciato ad andare ad aprire una via in uno stato di tumefazione totale come il mio, ma io, da buon Alpinista EroTico devo rimanere fedele al mio mantra: "figo il nuovo mattino, ma vuoi mettere con una notte di after!".
Quindi avviso gli altri di iniziare pure e lasciarmi una fissa in modo da raggiungerli. Arrivo giusto in tempo per salire il primo tiro assieme a Walter, poi è il suo turno e infine tocca a me. Parto per il terzo tiro e mi trovo ingaggiato in un bel fessurone/camino nel quale striscio malamente fino a uscirne sulla sinistra attirato da una rampetta ed un diedrino a gocce di roccia fotonica che finirò solo la settimana dopo, rimanendo comunque impressionato dalla bellezza di alcuni movimenti.
Dopodiché passo di nuovo il comando agli altri e in men che non si dica mi ritrovo a scalare un bellissimo tiro aperto da Ale ricalcando una lunghezza della via Colonne Doriche, ad insultare Walter per un ultimo tiro a mio dire da malati mentali e infine a festeggiare tutti e quattro in cima la conclusione di questa via.
Alla fine sono decisamente felice, tre piccoli giorni di grandi avventure tra le pareti che mi hanno visto crescere, dove sicuramente ho ancora molti altri progetti. Poco importa se alla fine non siamo stati i primi a salire quella torre che attira l’attenzione di tutti coloro che si trovano a transitarvi sotto per andare a fare due tiri a Pradello, quello che conta è che ci siamo messi in gioco, abbiamo vissuto questa bellissima esperienza, tra imbraghi troppo pesanti, disgaggi da veri pro, musica techno in sosta, dark humor di dubbio gusto (chiedete a Claudio e Ale se sanno cos’è l’esorcismo al contrario) e otto tiri aperti (due riscoperti) stando sospesi nella bellissima cornice del Lario, facendo quello che più ci piace.
Z DI ZARRO di Alessandro Ceriani
È sabato 6 aprile, è mattino presto, siamo in centro a Lecco, colazione vista lago. Una sensazione di serenità mi pervade. I miei soci hanno già fatto gran parte del lavoro aprendo cinque tiri e sono convinto che oggi ci sarà una bella conclusione. Percorriamo il breve avvicinamento e saliamo il percorso che hanno già disegnato.
Mi sento sereno. La vista di un lago che non vedevo da un po’ mi dà buone sensazioni. E intanto saliamo. Alcuni tiri sono davvero belli e il fatto che li stia scalando da secondo amplifica la sensazione di serenità. Nemmeno il traffico della strada sottostante può disturbare questa sensazione. Dopo cinque tiri, arriviamo al punto più alto raggiunto dai miei soci. Ci guardiamo e ci rivolgiamo vicendevolmente la domanda fatidica: "chi va!?". Mi offro volentieri, solo con un po’ di timore che i miei compagni non ne abbiano a male visto il lavoro che hanno già svolto e a cui non ho partecipato. Mi concedono di buon grado di andare.
La serenità si interrompe. Nonostante la vicinanza alla civiltà, nonostante l’imbrago pieno di protezioni mobili e nonostante il trapano, l’incognita del terreno sconosciuto e la tensione verso una non meglio definita "estetica della linea", interrompono la serenità a favore di una bolla di intensità. Dura un paio d’ore. Non la so descrivere. So per certo di averla vissuta. Ed in quel momento esiste solo quella. Termino due tiri di corda, lascio il comando a Walter per l’ultimo tiro.
La serenità riprende. C’è un bel sole e una brezza che lo rende piacevole. Solo per un attimo la bella sensazione è disturbata da un tiro che anche da secondo è talmente marcio da essere un po’ pauroso. Ma poi siamo in cima, buttiamo le doppie, ci scattiamo un po’ di foto ignoranti alla base, andiamo a berci un paio di birre. E la serenità con cui la giornata è iniziata ci porta anche al suo termine.
(*) alla data dell’articolo gruppo formato da Alessandro Ceriani, Claudio "Boldo" Boldorini, Pietro "Cerio 95" Ceriani, Walter "Pres" Polidori