Alla Parete di Padaro sopra Arco la via La Particella della Mutazione

Il racconto di Walter Polidori e Alessandro Ceriani nascita della via La Particella della Mutazione alla Parete di Padaro sopra Arco, aperta insieme a Claudio Boldorini, Pietro Ceriani e Luca Scotti
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L'apertura di 'La Particella della Mutazione' alla Parete di Padaro, Arco
archivio Walter Polidori

25 novembre 2023, arrivati alla base della parete di Padaro, sulla strada troviamo Alessandro ad aspettarci con la guida di arrampicata della Valle del Sarca aperta, in mano. Sta studiando la parete. Ha individuato una possibile nuova linea e vuole provare a salire. Non ci è vuole molto a convincere me e gli altri tre ragazzi; ho il trapano in macchina e dei fix, oltre a chiodi vari. Individuiamo una zona della parete interessante, poco dopo l’attacco della Via delle Rampa, con dei punti logici da seguire. Un diedro sbarrato da uno strapiombo segna la direzione da prendere inizialmente.

Alessandro parte per un viaggio dove utilizza pochissimi fix e tanto pelo sullo stomaco. Dopo un tratto per raggiungere un diedro, questo si rivela delicato soprattutto per arrivare alla fessura sotto lo strapiombo che lo chiude. Poi un altro diedrino sporco e finalmente la sosta. Salendo da secondi abbiamo modo di constatare la difficoltà della lunghezza, almeno in queste condizioni. Ma nella mia testa vedo già la roccia pulita e il bel diedro dopo la pulizia che faremo.

Un'altra lunghezza porta Alessandro ad una piccola cengia e a congiungerci con la Via della Rampa, dove facciamo sosta, cercando di studiare dove salire con una linea autonoma. L’euforia è palpabile, soprattutto Claudio e Pietro hanno respirato quella piccola particella che, se trova l’ambiente adatto, può dare luogo ad una mutazione, quella che porta ad immaginare linee da salire su qualsiasi cosa di verticale troviamo nel nostro cammino.

Un weekend successivo ci vede tornare, Alessandro, Claudio ed io, del gruppo New Rocks da poco costituito (*), per salire il diedro che abbiamo individuato a sinistra. Riesco a proteggermi con l’uso esclusivo di friend. Traverso poi a destra, raggiungendo una fessura dove posso godere della possibilità di piantare buoni chiodi tradizionali. Un provvidenziale traverso a destra, su roccia compatta, mi permette di evitare una zona vegetata. Proteggendomi con un fix, raggiungo un diedrino e arrivo finalmente al terrazzino sotto un tetto ad arco. Il tetto fa abbastanza paura, ma è anche esteticamente molto bello e costituisce la caratteristica principale della via.

Alessandro inizia a salire su una bellissima lama, fino a raggiungere un primo tetto più piccolo. Le poche ore di luce però ci consigliano di scendere, per tornare la mattina dopo, quando riusciremo a salire ancora una porzione di parete sotto un tetto molto più aggettante.

Dopo un mesetto ci ripresentiamo all’appello. Claudio si sta dimostrando un ottimo elemento, assetato di avventura e con la voglia di imparare e dare una mano, la particella della mutazione lo ha contagiato definitivamente. Troviamo un weekend bello e soleggiato, ma purtroppo con temperature molto basse. Arrivati sotto il tiro del tetto ad arco, dei bei candelotti di ghiaccio pendono sopra di noi. Alessandro sale abbastanza velocemente a raggiungere l’ultimo fix piazzato la volta precedente. Poi lavora per uscire dal tetto ed arrivare finalmente ad una zona meno aggettante.

Sopra purtroppo si vedono molte zone vegetate, e non così facili come invece sembravano essere nelle foto fatte. Parto cercando i punti di roccia più bella e pulita, e con un andamento non lineare trovo una bella sezione che ci porta alla base del grande diedro che si vede anche dal basso. Piazzando qualche protezione riesco a salire e abbandonare il diedro dove si presenta troppo invaso dalla vegetazione. Davanti a me ora c’è terreno più facile, anche se friabile. Salendo in obliquo verso destra, trovo una sezione bella e poi un boschetto, dopo il quale una zona più pulita e facile (poi abbiamo scoperto che si tratta dell’ultimo breve tratto della via Cristallo) mi permette di raggiungere il bosco sommitale, dove parte una evidente traccia che porta alla discesa. I miei soci, fermi da un po' in sosta, salgono intirizziti dal freddo, ma siamo felici!

Penso che col tempo dimenticherò le fatiche e le paure provate in parete, ma gli abbracci scambiati in cima, le facce stanche piene di soddisfazione, l’euforia di avere fatto qualcosa di assolutamente inutile ma piena di significato per noi, quelli non li dimenticherò.

Una via del genere, in bassa valle, ha però il problema di essere spesso disturbata da vegetazione, foglie, zone terrose, massi appoggiati. Si potrebbe anche lasciarla nello stato in cui è stata aperta, tanto la soddisfazione rimarrebbe. Ma c’è un altro tipo di soddisfazione che si può ottenere: pulire la via e vedere venire alla luce del sole zone di parete, fessure, appoggi e appigli insospettabili è qualcosa che va al di là del miglioramento per l’arrampicata. Si tratta di estetica, di salire una linea bella anche da vedere. Questa è stata la nostra scelta.

Voglio ringraziare i miei compagni di cordata, Alessandro Ceriani e Claudio “Boldo” Boldorini, e quelli venuti nella prima delle varie giornate, Pietro “Cerio 95” Ceriani e Luca Scotti. Una salita, anche se bellissima, non conta nulla se non la effettuiamo con persone che stimiamo e a cui siamo affezionati, amici veri.
(*) alla data dell’articolo gruppo formato da Alessandro Ceriani, Claudio “Boldo” Boldorini, Pietro “Cerio 95” Ceriani, Walter “Pres” Polidori

di Walter Polidori


LA PARTICELLA DELLA MUTAZIONE di Alessandro Ceriani

Lunedì 23 gennaio, giorno successivo al weekend in cui abbiamo finito la via: entro in casa dopo il lavoro, scambio una battuta con Mariaelena che dal nulla commenta “sei leggero oggi, lo sei da quando sei tornato ieri sera, deve essere stato un bel weekend”. Mi domando quindi istintivamente se durante il fine settimana precedente mi sia divertito di più mentre alla base mi sono infilato di fretta il casco vedendo continuamente cadere sassi grossi come mele (che ho capito solo poi essere dei pezzi di ghiaccio che si staccavano dalle stalattiti sotto lo strapiombo), oppure quando nella traversata sotto lo strapiombo avevo l’insensata paura che tutta la montagna mi cadesse addosso. Ma no, probabilmente il momento migliore è stato quando avevo quello zaino così pesante e carico di materiale che su un passaggio di V+ ho azzerato il passaggio con un tale affanno che non avrebbe avuto nemmeno un Coreano sovrappeso impegnato sul collo di bottiglia al K2. Sono perplesso dalle possibili risposte alla mia domanda.

Probabilmente la risposta vera sta nel nome di questa via. Difficilmente un fisico vi saprà dire quale sia l’interazione tra questa particella e l’umore umano. Di sicuro un alpinista "della domenica" che ne ha vissuto la mutazione vi potrà dire quanto faticosi ma estatici siano i lunedì in ufficio.

 

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