Vuelo de Fortuna a la Huasteca in Messico di Rolando Larcher e Alex Catlin

Il racconto di Rolando Larcher e Alex Catlin dell’apertura e prima libera di Vuelo de Fortuna, una via d’arrampicata di circa 340 metri aperta dal basso nel 2019 su una fantastica parete nel Canyon de la Sandìa a la Huasteca, Monterrey, Messico.
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Rolando Larcher in rotpunkt del 5° tiro di Vuelo de Fortuna, Canyon de la Sandìa, Messico
Z.Clanton

L’arrampicata è una magia dalle mille sfaccettature, una passione totalizzante che riempie e modella la vita di chi ne viene contagiato. Dei suoi numerosi risvolti e valori aggiunti, amo quelli riferiti al viaggio, all’esplorazione, all’avventura e alle conseguenti nuove amicizie. Amicizie che ancora mi sorprendono, quando nei luoghi più disparati del mondo, incontro persone che hanno la mia stessa passione.

Una di queste è Alex Catlin, americano trapiantato in Messico, professore di filosofia orientale e climber da 8c+. Lui assieme alla moglie Connie, ha sviluppato e promosso la scalata nella zona di Monterrey (Potrero Chico – La Huasteca – El Salto). Ci siamo incontrati nel 2016, quando assieme a Luca Giupponi e Maurizio Oviglia abbiamo aperto “El lobo del Desierto” al Pico Pirineos. Generosamente ci aveva aiutato nella logistica ed ospitato nella sua grande casa; tra noi c’è stato subito buon feeling e stima reciproca.

A fine 2018 ci siamo scritti per i consueti auguri di fine anno e nella sua risposta ha aggiunto quasi per scherzo due foto con un P.S.: "ho iniziato da solo una nuova via su una parete vergine, sarebbe bello portarla a termine assieme". Sembrava la classica frase di cortesia, ma le foto mi lasciarono sorpreso! Ritraevano una fantastica parete strapiombante, inserita in uno stretto canyon che tanto ricordava le Gole di Gorropu! Immediatamente cominciai a scrivergli mille domande e dopo tre mesi ero a bordo di un aereo con destinazione Messico.

Per questa nuova partenza ero un po’ spiazzato, alcuni particolari mi davano inquietudine. Tutto era in ordine, non mancava nulla, ma dopo tante avventure e spedizioni, vedermi al gate solo e con un misero saccone era alquanto strano (Alex aveva già gran parte del materiale). Inoltre infrangevo la prima regola per la buona riuscita di un progetto alpinistico: solo con compagni fidati e collaudati!

Alex è un buon amico, ma avevamo scalato assieme solo in falesia, questa volta però volevo rischiare e fidarmi del mio istinto, chissà come ci saremo amalgamati in parete? L’obbiettivo è importante, raggiungerlo in armonia è il massimo, tutto ne risulta amplificato.

Da Milano a New York e poi finalmente Monterrey, dove Alex mi aspettava puntuale con il suo pick-up. A casa per una doccia, uno spuntino e subito a vedere il Canyon de la Sandìa (cocomero o anguria in spagnolo), dove mi mostrava orgoglioso la parete e l’inizio della sua creazione. Partenza a bomba! D’altro canto, quando si ha moglie e figli che ti regalano 15 giorni di libertà, è bene non sprecare nemmeno un minuto! Un ulteriore particolare che ci accomuna, certamente di buon auspicio per la riuscita.

Il canyon era ben oltre le aspettative! Comodo da raggiungere, tranquillo, fresco e con questo scudo strapiombante fantastico: un raro concentrato di estetica. Alex aveva già aperto 4 lunghezze da solo autoassicurato, ma poi si era arenato in un tratto levigatissimo. Ero entusiasta come un bambino, non vedevo l’ora di scoprire quella roccia e vivere l’esotica atmosfera del canyon.

Il mattino successivo iniziavo a prendere confidenza, ripetendo a vista le prime tre lunghezze. Alla quarta dovetti rallentare, non solo per il jet lag… Questo difficile tiro portava nel nulla, l’unica possibilità per proseguire era spezzarlo a metà andando a sx, mettere una sosta al big tufa e da lì obliquare ancora a sx, sperando che la roccia e le braccia ci avrebbero lasciato passare. Riuscii a mettere la nuova sosta (Mushroom belay), recuperai Alex e tutto il materiale e fissati i primi 100m di statica, rientrammo a casa speranzosi.

Bravo Alex ottimo lavoro, arrivare sin qui da solo non è stata cosa facile, nonostante l’uso del removable-bolt… (strumento che si incastra nel foro fatto dal trapano, a cui ci si appende e poi messo il successivo o uno spit, si rimuove). Da ora però “l’aggeggio” rimarrà a casa e sarà d’obbligo imparare a giocare con i cliff! Dopo un giorno di pioggia, ottimo per recuperare, ripartimmo motivatissimi. Un intenso riscaldo con i jumar e finalmente partivo gasatissimo sul 5° tiro. Non facile fin dal inizio, ma tra tacche e cannette godevo nella scoperta del percorso che mi portò ad una stretta nicchia, unico posto per una sosta poco confortevole (Birds belay).

Una lunghezza scabrosa era risolta, un’altra simile spettava ad Alex. Un lungo inquietante muro strapiombante a tacche lo attendeva: partì deciso! Vederlo scalare e sospendersi ai cliff per la prima volta, fu la riprova che “la classe non è acqua”! Ai primi due chiodi ebbe qualche incertezza e poi subito routine: fantastico. Due orette intense di scalata ed imprecazioni, lunghi runout e roccia top fino alla sosta (Tufa belay), comoda finalmente, bravissimo!

Le lunghe permanenze in sosta, erano spesso allietate da chiassosi pappagalli verdi, che arrivavano curiosi in picchiata, per vedere chi avesse invaso il loro territorio. Le incognite non erano finite, ancora due tiri strapiombanti prima di sperare d’esser salvi, ma ahora descanso y otro dìa penseremo al da farsi.

Belle le giornate di riposo, sono parte integrante di queste esperienze: dormire, leggere, mangiare, chiacchierare, scrivere: relax totale! Quando mai a casa ti puoi permettere questi lussi… Hanno solo un difetto, durano poco e in breve ci si ritrova all’alba con i jumar in mano…

La successiva pompata a jumar fu alleviata dalla curiosità di scoprire il 7° tiro: offriva veramente poco all’immaginazione. Intuivo che sarebbe stato il chiave, perché eravamo vicini al cambio di pendenza della parete, luogo sempre levigato ed avaro di prese. Quel poco che c’era mi portò verso destra, con un lancio superai la prima rogna. Proseguii ancora in obliquo, dove un altro passo duro mi fece dubitare. Volai alcune volte e prima di terminare l’energia, intuii il rebus e lo risolsi.

Era ora di pensare alla sosta, ma dove? A breve non vedevo nulla di buono e le corde cominciavano a farsi sentire. Sotto sembrava ci fosse una nicchia, la raggiunsi cercando le prese in discesa, ma era solo un tratto verticale in mezzo agli strapiombi. Senza alternative la piazzai ugualmente, l’avrei poi addolcita con una panchina (Cave belay).

Questo tiro (Horn pitch) mi ha dato soddisfazione e lo ricorderò. L’ho risolto come piace a me, con bellissimi obbligatori: rari privilegi della fortuna. L’apertura di queste linee necessita tanta preparazione, buon occhio, morale e decisione, ma se madre natura non ci mettesse del suo, non si andrebbe da nessuna parte; fosse mancata solo una presa, sarebbe stato difficile trovare un’alternativa…

Il bordo era vicino, toccava ad Alex raggiungerlo. Con impegno risolveva l’ultima incertezza strapiombante, uscendo finalmente sulle placche. Ora sapevamo di arrivare in cima, la roccia lavoratissima a gocce ne era la garanzia. Riordinata la sosta (Safe belay), entusiasti scendevamo in un vuoto imbarazzante; sistemammo attentamente le statiche e con la frontale accesa toccammo terra. Dall’alba al tramonto, questa la costante di queste avventure!

33 ore dopo eravamo nuovamente all’opera, ci attendeva una cattiva jumarata di 200m, l’ultima probabilmente. Un bel tiro lungo di placca per me (Hilton belay), poi con un altro più breve Alex arrivava all’ultima cengia. Da lì con facili balze raggiungevamo l’affilata cresta ed il pulpito sommitale dove ci abbracciavamo felici. Un’emozione forte, potenziata dal raro privilegio del raggiungere una cima vergine; la seconda della mia carriera dopo quella del Tsaranoro Atsimo in Madagascar. Soddisfatti appagammo gli occhi all’orizzonte, poi lentamente rientrammo, sistemando al meglio le cose per quando saremo ritornati per tentare la salita in libera.

Riposammo due giornate, relax totale, ma col pensiero fisso all’imminente impegnativa rotpunkt. La sostenutezza della via, le giornate sempre più calde e solo due tentativi a disposizione, creavano una certa pressione; tornare a casa senza l’ultimo tassello di questo capolavoro, avrebbe lasciato l’amaro in bocca. Con questi pensieri ci avviamo alla luce della frontale, il canyon era ancora silenzioso, ma al primo chiarore il concerto degli uccelli rallegrò gl’animi.

Alla base della parete ci accorgemmo che la consueta brezza fresca non c’era, l’aspettai invano e poi titubante mi avviai sul primo tiro. Feci più fatica di quando lo salii a vista (Solo belay), stessa cosa sul secondo (Tired belay) ed al terzo tiro (Italian surf belay). Ero realmente scoraggiato, va bè sarebbe stata la giornata del ripasso…

Improvvisamente al quarto tiro la brezza arrivò, iniziai a sentirmi meglio e probabilmente essermene fatto una ragione iniziava a dare i suoi frutti. Sta di fatto che cominciai scalare sciolto e divertirmi, arrivando indenne fin sotto al settimo tiro. Qui mi venne sonno, eravamo attivi già da diverse ore e provai per la prima volta a fare un pisolino in sosta. Appeso ed incastrato tra Alex ed una grossa concrezione feci un micro-sonno di 10 minuti, sognai addirittura! Dopo di che con una barretta e del caffè ripartii ricaricato e ancora tranquillo. Salii pensando di riguardare le sequenze e poi riprovare, invece passai fluido la prima sezione e sulla seconda, benché più legnoso, mi trascinai comunque e indenne arrivai fino in sosta. Ero incredulo ed euforico, un sogno accantonato al mattino, si stava incredibilmente concretizzando.

Per festeggiare mancava ancora una impegnativa lunghezza, l’ottava. Questa era di Alex e avendola salita solo a jumar non la conoscevo, pertanto preferii che andasse lui da primo. Alex purtroppo era al capolinea delle energie e dopo vari tentativi finiti davanti all’ultima presa, mi passo il testimone. Anche le mie riserve erano agli sgoccioli, ma spinto dal sogno, dalle dritte ed i potenti “come on! ” di Alex, riuscii ad uscire dagli strapiombi e rendermi conto che la via era nel sacco. Alex mi raggiunse senza cadere e ancor più entusiasti proseguimmo per la cima. Una piacevole formalità, 100 metri “leggeri”, perfetti per assaporare appieno la gioia della realizzazione.

Questa è la storia di “Vuelo di Fortuna”, ripetuti attimi di fortuna che hanno segnato questa bella avventura. Il risultato è un’amicizia approfondita e solidificata, la nascita di nuove interessanti ed un itinerario spettacolare che farà parlare di sé.

Rolando Larcher

Ringrazio i miei sponsor: La SportivaPetzl, Montura

P.S. Da questa bella esperienza ne è scaturito un video, frutto di un gruppo di lavoro affiatato, che ha preso forma quasi casualmente. Ci siamo ritrovati in sette per più di una settimana, condividendo piacevolmente il canyon e la casa di Alex. Fin dall’inizio Alex aveva pensato ad un video, coinvolgendo il suo amico Jason Nelson, scalatore e videomaker di professione: Visualadventures.com. Dal Colorado Jason ci raggiunse assieme alla fidanzata Carley Evert. Dopo alla crew si aggiunsero Rebecca Zuniga messicana e suo marito Jhasua Medina colombiano, anche loro scalatori e videomakers: Pez-Leon-Docs. Si trovavano nella zona di Monterrey, per proseguire alla lavorazione del loro lungometraggio che racconterà la storia dell’arrampicata messicana: "Suenos de Altura" - suenosdealturadocumentary. Infine a questa truppa internazionale si è unito Zach Clanton, fotografo-scalatore alaskiano, in vacanza "dilatata" in Messico: zclanton. Da alcune stagioni all’approssimarsi dell’inverno, parte in auto dall’Alaska puntando verso sud. Spezza il lungo viaggio con delle tappe per scalare, fino ad arrivare in Messico. Si ferma qualche mese e a primavera, ripete il viaggio a ritroso, come gli uccelli migratori: liberi. Ammetto, la mia è invidia allo stato puro!

SCHEDA: Vuelo de Fortuna, Canyon de la Sandìa, la Huasteca, Messico

Il film "Vuelo de Fortuna" per la regia e riprese con il drone di Jason Nelson

VUELO DE FORTUNA DI ALEX CATLIN


Per anni avevo tenuto d'occhio una linea su questa gemma - era un po’ un'ossessione. Le canne strapiombanti, la roccia solida, l'esposizione a nord e il facile accesso la rendono davvero unica nel nord del Messico. Ho iniziato la via in solitaria nel gennaio del 2019 e ho aperto quattro tiri dal basso, per lo più in libera, con pochi spit amovibili. Dalle foto Rolando ha rapidamente apprezzato la bellezza della linea e si è unito a me per completarla. La spettacolare e solida roccia ci ha permesso di arrampicare in libera i rimanenti tiri, piazzando gli spit appesi sui cliff. Anche se abbiamo dovuto salire obliquando un po' a sinistra e a destra per cercare gli appigli, ci siamo sentiti incredibilmente fortunati ad aver trovato una linea "facile" su questa parete che incute paura. Siamo anche stati benedetti con temperature insolitamente fredde per la rotpunkt - che "volo di fortuna"!

Il completamento del progetto ha richiesto due settimane di intenso sforzo, grandi risate e grande scalata. Mi sento fortunato ad aver realizzato questo sogno e averlo realizzato ancora meglio di quanto avessi mai immaginato. Grazie a tutte le persone che lo hanno reso possibile: Connie Catlin, Climb Tech, Chazz e Mimi, tutto l'ottimo supporto video e supporto a terra e, ovviamente, grazie a Rolando.

Alex Catlin




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