Pico Pirineos in Messico, nuova via a Monterrey per Giupponi, Oviglia e Larcher
Rolando Larcher, Maurizio Oviglia e Luca Giupponi hanno aperto El lobo del desierto, una nuova via sulla parete est e nord del Pico Pirineos, sulle guglie che fiancheggiano a sud-ovest la metropoli di Monterrey in Messico. La via, aperta in 5 giorni e liberata dagli stessi apritori, si sviluppa per 12 tiri (470m) con difficoltà sino al 7c (5.12d). La big wall è stata aperta dal basso senza uso di artificiale tra un punto e l’altro, nonostante la roccia necessitasse di parecchia pulizia.
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Maurizio Oviglia apre il primo tiro del Lobo del Desierto, Pico Pirineos, Monterrey, Messico
Rolando Larcher
Con la situazione politica attuale, ci ripetiamo spesso con i nostri abituali compagni di viaggio, il posto più sicuro rimane l’America Latina… Così, scartato l’iniziale proposito di andare in Oman, ci eravamo indirizzati verso il Cile. Ma Rolando Larcher, che aveva sentito Simone Pedeferri, che riguardo l’America del Sud rimane un gran bel riferimento per esperienze ed informazioni, cominciò a considerare l’ipotesi di recarci in Messico, consigliatogli proprio da Simone. Fatto un rapido giro in rete, Rolando è stato attratto da una parete dall’estetica imbattibile nel Canyon della Huasteca e, senza niente sapere su che vie ci fossero, l’ha indicata come obiettivo principale della nostra spedizione ai suoi sponsor. Ma, oltre al motore di ricerca Google, un’altra persona che ci sentiamo di ringraziare è Paolo Marazzi, che ci ha dato i contatti di Alex Catlin, un americano trapiantato in Messico che è una vera leggenda oltreoceano in materia di apertura di vie. Ma non solo, Alex è anche un ottimo climber, avendo ripetuto in passato addirittura Macumba ad Orgon, 8c+. Ora dedito soprattutto alla chiodatura di monotiri, vive con la moglie Connie e i suoi due figli proprio a Monterrey. Perché, come ci dice Connie, "è decisamente meglio che vivere in Texas!".
Dopo essere stati completamente radiografati all’aereoporto di Miami, appuntamento allo Starbucks di Monterrey con Alex: nonostante l’incipiente crisi d’astinenza da espresso e croissant, tamponata alla meglio con un muffin, non perdiamo tempo e il giorno stesso giriamo tutte le pareti (o quasi) della zona per valutare il nostro obiettivo. L’indomani la temperatura precipita di quasi 30 gradi e nevica: non ci fermiamo per così poco e continuiamo ad esplorare i canyon rimasti imbottiti in giacca a vento e piumino. Ma il Messico non era un posto caldo? Avevo messo nello zaino pure il costume da bagno! Dopo soli due giorni di esplorazione concludiamo che la parete che ha trovato Rolando su internet appare non solo la più estetica, ma anche la più interessante, sebbene non troppo lontana dalla città. Sarebbe bello aprire una via lì, ma ci sarà su qualcosa? Nessun problema, Alex telefona a Carlos, il massimo esperto locale del Pico Indipendencia e del gemello Pico Pirineos: da quello che captiamo dalla loro conversazione in spagnolo pare di capire che la linea che abbiamo individuato sia vergine! Incredibile, anche considerando che qui si scala dagli anni ‘60 ed è la zona con più storia alpinistica del Messico! Non vogliamo assolutamente intralciare vie classiche, dunque è necessario essere sicuri prima di far danni!
Si comincia con il solito tran tran a cui ci siamo abituati nelle nostre spedizioni: sveglia di notte (colazione – per me disgustosa - in un orrendo Seven Eleven aperto 24 ore su 24) ed in parete dalle prime luci alle 8 di sera, quindi ben oltre il tramonto. Poi sfatti in qualche ristorante (quasi sempre lo stesso) di Monterrey a cercare di reintegrare le proteine. Non c’è tempo per alcool e movida, e nemmeno per il turismo o qualche monotiro in falesia, prima l’obiettivo principale e poi si vedrà. Sarà per questo che non siamo ancora rientrati da una spedizione senza nulla di fatto?
Come consueto apriamo con il nostro stile: rigorosamente dal basso ripartendoci equamente i tiri (per questo tre è il numero perfetto), fermandoci sui cliff per piazzare lo spit successivo, solo dopo un tratto fatto in libera. Anche se la roccia si rivela sin da subito bisognosa di disgaggio, dunque non è stato affatto facile lanciarsi in obbligatori rilevanti! Preciso queste cose, ormai per molti scontate perché, parlando con Alex, ci rendiamo conto che in materia di vie sportive, o meglio multipitches, gli americani in genere considerano normale calarsi dall’alto o, in apertura dal basso, usare i removable bolts! Per loro, una volta che si usano i bolts, non fa molta differenza lo stile che si adotta! Addirittura qualche giorno fa un climber anglosassone mi ha scritto se fosse possibile aggiungere spit tra un punto e l’altro ad alcune mie vie storiche aperte dal basso in Sicilia! E’ incredibile quanto gli anglosassoni possano essere intransigenti in materia di vie trad ma, nello stesso tempo, non riconoscere nessun valore alpinistico alle vie che fanno uso di bolts, sebbene aperte dal basso!
Dopo tre giorni di fatiche abbiamo aperto soli 5 tiri sulla spettacolare parete est, a volte con una piacevole brezza ma a tratti con un caldo infernale. La pulizia ci porta via molto tempo ed energie, ma vogliamo lasciare ai ripetitori una via bella e sicura, all’altezza della reputazione che hanno le altre vie che abbiamo tracciato in giro per il mondo. Così mentre uno di noi apre il tiro e l’altro lo assicura anche per 3 o 4 ore, il terzo sulle jumar si occupa di ripulire bene il tiro precedente. Per continuare la via nella parte alta della parete, senza salire per il facile spigolo (già percorso da una via classica) è necessario calarsi per 60 m dalla parte opposta e continuare per la parete nord, una muraglia di quasi 300 m perfettamente verticale. Decidiamo di prendere il muro triangolare di petto, ovvero al centro. Solo che, complice un drastico abbassamento delle temperature, ciò ci costa due giorni al gelo. Altro che Messico, qui sembra di stare in Patagonia! Dopo un po’ siamo alle prese con un muro di roccia marrone di cui non sappiamo bene la consistenza, il cui contorno sembra da lontano quello di un lupo che ulula (da qui il nome della via). Luca stringe i denti e, quando sta per mollare completamente congelato dal vento freddo, trova le energie per finire il tiro, a due passi dalla cima. La "cumbre" questa volta tocca a lui! Ci accoglie un sole tiepido a scaldarci le membra intirizzite, mentre aspettiamo che Rolando come di consueto disgaggi.
Due giorni di riposo e poi il consueto appuntamento con la rotpunkt, ognuno sui tiri che ha aperto. Probabilmente per i miei due super-amici salire del 7c non è che una formalità, ma per me reduce da un anno passato per metà a casa con la gamba rotta è un’impresa e già il primo tiro della via, che ho aperto, 50m di 7a+ con sulle prese la polvere dei disgaggi dei tiri sopra, mi impegna non poco. Data la lunghezza della via, ognuno comunque spende le proprie energie mentali e fisiche e alla fine non ne avanza molto per nessuno! Riconquistata la vetta per la seconda volta completiamo gli ultimi ritocchi alla via calandoci, come al solito con le frontali. Missione compiuta in meno di 15 giorni compresi i rest day! Rimangono altri 6 giorni. Che si fa? Non nascondo che avrei sperato di fare qualche altra bella salita al Potrero Chico o a El Gigante ma i miei due compagni di viaggio, stanchi di big wall e di prender freddo, hanno optato per andare a tirar tacche e" tufas" nelle belle falesie di El Salto, dove il Gippo (così tutti chiamano Luca Giupponi) si porta via due 5.13b (8a) a-vista. Così, mi han detto i compagni, la prossima volta sarai un po’ più allenato e non ti lamenterai troppo come tuo solito!
Desideriamo ringraziare innanzi tutto Alex Catlin e sua moglie Connie per l’ospitalità. Poi Simone Pedeferri e Paolo Marazzi per le informazioni ed i contatti. Infine i nostri sponsor La Sportiva, Petzl, Montura, Mammut, E9, Totem Cams
di Maurizio Oviglia (CAAI)
SCHEDA: El lobo del desierto, Pico Pirineos, Messico
Dopo essere stati completamente radiografati all’aereoporto di Miami, appuntamento allo Starbucks di Monterrey con Alex: nonostante l’incipiente crisi d’astinenza da espresso e croissant, tamponata alla meglio con un muffin, non perdiamo tempo e il giorno stesso giriamo tutte le pareti (o quasi) della zona per valutare il nostro obiettivo. L’indomani la temperatura precipita di quasi 30 gradi e nevica: non ci fermiamo per così poco e continuiamo ad esplorare i canyon rimasti imbottiti in giacca a vento e piumino. Ma il Messico non era un posto caldo? Avevo messo nello zaino pure il costume da bagno! Dopo soli due giorni di esplorazione concludiamo che la parete che ha trovato Rolando su internet appare non solo la più estetica, ma anche la più interessante, sebbene non troppo lontana dalla città. Sarebbe bello aprire una via lì, ma ci sarà su qualcosa? Nessun problema, Alex telefona a Carlos, il massimo esperto locale del Pico Indipendencia e del gemello Pico Pirineos: da quello che captiamo dalla loro conversazione in spagnolo pare di capire che la linea che abbiamo individuato sia vergine! Incredibile, anche considerando che qui si scala dagli anni ‘60 ed è la zona con più storia alpinistica del Messico! Non vogliamo assolutamente intralciare vie classiche, dunque è necessario essere sicuri prima di far danni!
Si comincia con il solito tran tran a cui ci siamo abituati nelle nostre spedizioni: sveglia di notte (colazione – per me disgustosa - in un orrendo Seven Eleven aperto 24 ore su 24) ed in parete dalle prime luci alle 8 di sera, quindi ben oltre il tramonto. Poi sfatti in qualche ristorante (quasi sempre lo stesso) di Monterrey a cercare di reintegrare le proteine. Non c’è tempo per alcool e movida, e nemmeno per il turismo o qualche monotiro in falesia, prima l’obiettivo principale e poi si vedrà. Sarà per questo che non siamo ancora rientrati da una spedizione senza nulla di fatto?
Come consueto apriamo con il nostro stile: rigorosamente dal basso ripartendoci equamente i tiri (per questo tre è il numero perfetto), fermandoci sui cliff per piazzare lo spit successivo, solo dopo un tratto fatto in libera. Anche se la roccia si rivela sin da subito bisognosa di disgaggio, dunque non è stato affatto facile lanciarsi in obbligatori rilevanti! Preciso queste cose, ormai per molti scontate perché, parlando con Alex, ci rendiamo conto che in materia di vie sportive, o meglio multipitches, gli americani in genere considerano normale calarsi dall’alto o, in apertura dal basso, usare i removable bolts! Per loro, una volta che si usano i bolts, non fa molta differenza lo stile che si adotta! Addirittura qualche giorno fa un climber anglosassone mi ha scritto se fosse possibile aggiungere spit tra un punto e l’altro ad alcune mie vie storiche aperte dal basso in Sicilia! E’ incredibile quanto gli anglosassoni possano essere intransigenti in materia di vie trad ma, nello stesso tempo, non riconoscere nessun valore alpinistico alle vie che fanno uso di bolts, sebbene aperte dal basso!
Dopo tre giorni di fatiche abbiamo aperto soli 5 tiri sulla spettacolare parete est, a volte con una piacevole brezza ma a tratti con un caldo infernale. La pulizia ci porta via molto tempo ed energie, ma vogliamo lasciare ai ripetitori una via bella e sicura, all’altezza della reputazione che hanno le altre vie che abbiamo tracciato in giro per il mondo. Così mentre uno di noi apre il tiro e l’altro lo assicura anche per 3 o 4 ore, il terzo sulle jumar si occupa di ripulire bene il tiro precedente. Per continuare la via nella parte alta della parete, senza salire per il facile spigolo (già percorso da una via classica) è necessario calarsi per 60 m dalla parte opposta e continuare per la parete nord, una muraglia di quasi 300 m perfettamente verticale. Decidiamo di prendere il muro triangolare di petto, ovvero al centro. Solo che, complice un drastico abbassamento delle temperature, ciò ci costa due giorni al gelo. Altro che Messico, qui sembra di stare in Patagonia! Dopo un po’ siamo alle prese con un muro di roccia marrone di cui non sappiamo bene la consistenza, il cui contorno sembra da lontano quello di un lupo che ulula (da qui il nome della via). Luca stringe i denti e, quando sta per mollare completamente congelato dal vento freddo, trova le energie per finire il tiro, a due passi dalla cima. La "cumbre" questa volta tocca a lui! Ci accoglie un sole tiepido a scaldarci le membra intirizzite, mentre aspettiamo che Rolando come di consueto disgaggi.
Due giorni di riposo e poi il consueto appuntamento con la rotpunkt, ognuno sui tiri che ha aperto. Probabilmente per i miei due super-amici salire del 7c non è che una formalità, ma per me reduce da un anno passato per metà a casa con la gamba rotta è un’impresa e già il primo tiro della via, che ho aperto, 50m di 7a+ con sulle prese la polvere dei disgaggi dei tiri sopra, mi impegna non poco. Data la lunghezza della via, ognuno comunque spende le proprie energie mentali e fisiche e alla fine non ne avanza molto per nessuno! Riconquistata la vetta per la seconda volta completiamo gli ultimi ritocchi alla via calandoci, come al solito con le frontali. Missione compiuta in meno di 15 giorni compresi i rest day! Rimangono altri 6 giorni. Che si fa? Non nascondo che avrei sperato di fare qualche altra bella salita al Potrero Chico o a El Gigante ma i miei due compagni di viaggio, stanchi di big wall e di prender freddo, hanno optato per andare a tirar tacche e" tufas" nelle belle falesie di El Salto, dove il Gippo (così tutti chiamano Luca Giupponi) si porta via due 5.13b (8a) a-vista. Così, mi han detto i compagni, la prossima volta sarai un po’ più allenato e non ti lamenterai troppo come tuo solito!
Desideriamo ringraziare innanzi tutto Alex Catlin e sua moglie Connie per l’ospitalità. Poi Simone Pedeferri e Paolo Marazzi per le informazioni ed i contatti. Infine i nostri sponsor La Sportiva, Petzl, Montura, Mammut, E9, Totem Cams
di Maurizio Oviglia (CAAI)
SCHEDA: El lobo del desierto, Pico Pirineos, Messico
Note:
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