Timelapse alla Torre Sprit nelle Pale di San Martino, Dolomiti
Timelapse è la storia di una via lunga 10 anni. In dieci anni di alpinismo si cresce, si modifica lo stile, forse si diventa più saggi e capita di cambiare anche compagni di scalata.
Alessandro Baù
2008 – Non ho mai scalato sugli Spiz D’Agner ma so che Gigi Dal Pozzo ha aperto moltissime vie, quindi ne deduco che la qualità della roccia sia eccezionale. Una camminata pomeridiana al meraviglioso Bivacco Menegazzi mi fa conoscere la Torre Sprit. Vedo la cima solo da distante, scatto qualche foto e resto affascinato dallo spigolo che taglia in due la parete. Faccio un po’ di ricerce e scopro che non ci sono itinerari che lo percorrono.
A fine ottobre con Luca Matteraglia (Matte) e Daniele Geremia (Gere) siamo alla base. Tiriamo il solito sassolino e tocca al Matte attaccare la placca marmorea del primo tiro. Siamo stati da poco in Wenden e portiamo lo stesso stile: è vietato mettere gli spit vicini e lui rispetta in pieno la regola. E’ a quasi 20 metri di altezza e, mentre Gere lo assicura , provo a capire se ha ancora possibilità di arrivare a terra in caso di volo! Tutto fila liscio e ne esce un tiro magnifico ma moolto expo.
Dal terrazzino a cui siamo arrivati è il turno di Gere ed è subito magia: apre una lunghezza bellissima difficile da fare a vista con protezioni molto distanti. La nostra idea è di aprire a fix, integrando dove possibile con protezioni veloci. Così 3 friend integrano i 4 spit piantati. Termina così la prima giornata di apertura; siamo entusiasti, roccia atomica e ambiente da urlo. Carichi come molle, qualche giorno dopo ritorno con il Matte. La delusione è tanta quando, appena prima di cominciare a salire la statica, ci rendiamo conto di aver dimenticato la chiave per stringere i fix. Allora optiamo per un “ripiego” di lusso: la Grande Onda (via di Rolando Larcher, Maurizio Zanolla alias “Manolo” e Michele Paissan) che sale arrogante un centinaio di metri più a sinistra. Dopo una magnifica giornata autunnale, termina la nostra stagione dolomitica con le ultime luci della giornata.
2011 - Il tempo passa e ho ancora la testa sul prossimo tiro che sarebbe toccato a me. Decido di tornare con Claudia, mia moglie. E’ inizio stagione, saliamo a fatica i ripidi pendii innevati che portano all’attacco. Non sono ancora in perfetta forma e la partenza dalla sosta mi prosciuga: un bombè a buchi si trasforma in una placca compatta a verticali e svasi che non mi permette di cliffare. Volo più volte, sento tutto l’effetto della gravità ma alla fine un tallonaggio e una pinzata fantasiosa risolvono il rebus di un passaggio alquanto obbligato. Allo spit successivo mi calo esausto. Torno per continuare il terzo tiro con altri amici di Padova, i mitici fratelli Turco: la loro simpatia è lo stimolo di cui ho bisogno. Arrivo ad una sosta aerea sullo spigolo, e questo risulterà essere il tiro più difficile della salita.
La via rimane nel limbo per altri anni e sento il bisogno di nuove forze per continuare. E’ per questo che coinvolgo un compagno di cordata fidato: il Beber. E’ una persona entusiasta di natura e quando si parla di andare ad aprire gli si illuminano gli occhi. Quando scaliamo insieme ci mettiamo quasi sempre nei guai andando su nuove pareti, le giornate plasir non sono contemplate!
Alessandro Beber
2015: Ho sempre avuto dei problemi ad aggregarmi a progetti alpinistici altrui. Per me il parto dell’idea, il coltivarla e darle forma nella mente ancora prima che nella realtà, è parte integrante del processo ed una fonte di soddisfazione di cui non voglio privarmi. L’ho fatto raramente, e solo come gesto di fiducia incondizionata nei confronti di veri amici. Così è stato anche quando Ale Baù mi ha proposto di proseguire l’apertura di un via nuova da lui già iniziata anni addietro sulla Torre Sprit: ho accettato alla cieca, come attestato di stima e riconoscenza nei suoi confronti. La sera prima di partire, mi chiama Francesco Salvaterra, e così in pochi minuti la spedizione a due diventa una spedizione a tre, che in apertura è sempre un valore aggiunto. L’indomani ci troviamo a risalire le vecchie e malridotte corde fisse lasciate da Ale quattro anni prima e ci lustriamo gli occhi alla vista della qualità della roccia, a dir poco magnifica; quindi entusiasti apriamo le danze su terreno incognito. Il primo tiro (il 4° totale della via) tocca ad Ale, poi uno a me e poi… tempo scaduto. Il turno di Franz sarà domani perché è già tardi e rientriamo al bivacco Menegazzi per la notte.
Il giorno successivo partiamo di buon’ora e una volta risaliti al punto massimo del giorno precedente Franz prende il comando. Ne esce un’altra bella lunghezza, ma purtroppo arriva una nebbia fittissima a guastare la festa… non ce la sentiamo di proseguire senza vedere la parete, e battiamo in ritirata.
Giugno 2018: Sono passati altri tre anni e non c’è stata occasione di tornare alla Torre Sprit, ma non è mai bello lasciare cantieri in sospeso… Con Ale ci organizziamo per un’altra due giorni, stavolta muniti di portaledge per non sprecare ore preziose scendendo dalla parete. Carichi come muli (è un’abitudine!) ci portiamo in alto e proseguiamo aprendo una nuova lunghezza. Nel frattempo il tempo si mette al brutto e facciamo giusto in tempo a montare la portaledge sulla sosta appena attrezzata prima che inizi a piovere. Felici come bambini di poter bivaccare comodi e all’asciutto, passiamo il tempo a chiacchiere. Le nubi ci avvolgono ma dal fondovalle ci arriva una voce lamentosa ed inquietante. Sembrerebbe un pastore che chiama le pecore.. ma no, impossibile… qualcuno che piange disperato? Nah, troppo forte… Non riusciamo a risolvere il mistero e proviamo a farcene una ragione dormendoci su.
Il giorno dopo proseguiamo per altre due lunghezze, ma non è nemmeno mezzogiorno che il cielo inizia a rimbombare. Facciamo fagotto e abbandoniamo ancora una volta la parete, scendendo sotto al temporale. Questa volta è una cosa seria, con acqua che scende a secchiate e il rombo dei tuoni che si sovrappongono l’un l’altro. Raggiungiamo la macchina senza più nulla di asciutto e guidiamo verso valle completamente nudi alla ricerca di un riparo dove cambiarci, pregando che nessuno ci veda!
Una volta a casa faccio delle ricerche sulla Torre Sprit e casualmente mi imbatto in uno scritto di Manolo che racconta come nel 1982 lui e De Pellegrini chiamarono la loro nuova via Spigolo della Melodia proprio perché durante l’apertura avevano sentito dei lamenti inspiegabili. E così scopro anche che "Torre Sprit" sta per Torre degli Spiriti, dettaglio che non avevo ancora collegato… Incredibile!
Settembre 2018: Proviamo a chiudere i conti prima che un’altra stagione se ne vada: Franz nemmeno stavolta riesce a liberarsi, però si unisce a noi Matteo Faletti. Le tempistiche sono le solite, ovvero brandelli di tempo rubati a lavoro e famiglia. Partiamo da casa verso le 8 di sera e raggiungiamo il parcheggio sopra Gosaldo alle 23. Si dorme in furgone, sveglia alle 2 del mattino. Le solite 2.30h di avvicinamento, prepariamo il materiale e ancora immersi nell’oscurità su per le fisse dei primi tiri. O almeno vorremmo… peccato che arrivati alla prima sosta la statica si interrompa. Semplicemente non c’è più. Come diavolo è possibile? La cosa non si spiega… sembra che qualcuno l’abbia tagliata e tolta. Ma chi e perché? Ale decide di sfogare la rabbia ingaggiandosi al buio sul difficile secondo tiro, poi finalmente arriva la luce e riprendiamo a scalare le lunghezze successive fino al punto raggiunto la volta scorsa. Da qui apriamo ancora due tiri lunghi e finalmente ci ritroviamo in cima al pilastro dove terminano le difficoltà. Sono le 7 di sera e siamo felici. E’ ora di scendere velocemente perché tra poco sarà buio. Calandoci con le frontali aggiungiamo qualche fix nei tratti più scabrosi, togliamo le corde fisse e torniamo a terra. Allo scoccare della mezzanotte, puntuali come Cenerentola, siamo di rientro alla macchina. Dormire sarebbe un lusso ma non possiamo concedercelo, l’indomani si lavora! Quindi nella notte guidiamo tutti fino alle rispettive case, e per le 3 del mattino ci infiliamo sotto le coperte come se niente fosse. La via è finita, ma per tornare a godercela dovremo aspettare l’anno prossimo.
Alessandro Baù
2019 La libera: Tra chiavi dimenticate, temporali, statiche scomparse e nebbia così fitta da essere affettata, sono salito talmente tante volte sotto quella parete che sono stanco di fare il sentiero. Nonostante gli anni passati e la poca motivazione decido che è giusto portare a termine il progetto. Un primo tentativo si arena al terzo tiro; siamo nuovamente immersi nella nebbia ed è tutto bagnato. Quando scendiamo sono sconsolato, penso proprio che sia finita. Oltretutto quando arriviamo alla piana sotto al bivacco, c’è la sagra del paese. Peccato non avere neanche un euro per rifocillarci! Proseguendo tristemente la discesa, noto un signore in cravatta e mocassini che si allontana dalla festa. Intuisco che non possa essere salito a piedi e lo inseguiamo. E’ il sindaco di Gosaldo che gentilmente ci carica in macchina raccontandoci di come il comune sia stato devastato da Vaia. Passa qualche giorno e resto nuovamente vittima della mia cocciutaggine e dello stimolo degli amici. Il Beber e Matteo, sono già saliti la sera prima al bivacco Menegazzi. Li raggiungo all’alba dopo esser rientrato dalla Cima Scotoni. Questa volta tutto fila liscio e, sparando la consueta dose di cazzate, ci godiamo l’arrampicata in un angolo magico delle Dolomiti. Finalmente abbiamo chiuso i conti con questa parete.
Riflessione Finale
Aprire col trapano ci mette sempre un po’ a disagio, perché è uno stile in cui ci si devono auto-imporre più regole rispetto alla scalata con protezioni tradizionali. In quest’ultima ci si adatta a quel che impone la roccia e di fatto bisogna solo scegliere se fare o meno artificiale in apertura. Col trapano invece si può decidere a priori che carattere dare alla via. Diciamo che su Timelapse, questa scelta di fondo non ha funzionato benissimo perché essendo passati molti anni dall’inizio dell’apertura, abbiamo in parte cambiato mentalità e soprattutto hanno partecipato tante persone in diverse riprese. Alla fine abbiamo cercato di aggiustare il tiro e realizzare quello che allo stato attuale cerchiamo da ripetitori….
Se andiamo a fare una via a fix:
- ci piace trovare dell’ingaggio psicologico ma non vogliamo rischiare di ammazzarci.
- non ci piace trovare moschettonaggi precari e insensati perché fatti tirandosi altissimi sui cliff.
- ci piace trovare una chiodatura omogenea sulle varie lunghezze (e non tiri difficili chiodati ravvicinati e tiri facili con chiodature lontanissime e pericolose).
- non vogliamo far vedere ai ripetitori quanto siamo stati coraggiosi in apertura, ma farli divertire.
Date queste premesse lo stile adottato è quello di apertura dal basso, scalando esclusivamente in libera ed utilizzando cliff o protezioni veloci (friends) per fermarsi a chiodare (senza usarli come protezioni intermedie), e talvolta integrando la chiodatura in fase di discesa, perché può capitare in apertura di andare esageratamente lunghi. In questo caso abbiamo anche aggiunto qualche fix sui primi tre tiri dove erano stati utilizzati i friends e, volutamente, si era andati molto distanti dalle protezioni, perché in tutte le lunghezze superiori non servivano. Detto questo, per una ripetizione eventualmente 2-3 friends possono tornare comodi (noi non li abbiamo usati, ma ci sentiremo di consigliare 0.3, 0.4 e 0.5).
Alessandro Baù ringrazia: Scarpa Spa, Camp-Cassin, Montura, Dynastar, Salice, Reload Climb, www.xmountain.it
Alessandro Beber ringrazia: Scuola di Alpinismo Mountime - Outdoor Adventures, SCARPA