Roberto Bonelli ci ha lasciati

È scomparso nel gruppo degli Ecrins, in Francia, Roberto Bonelli. Negli anni Settanta faceva parte di quel ristretto gruppo di arrampicatori che rompevano la tradizione dell'alpinismo classico e spingevano l'arrampicata in libera verso nuove difficoltà. Il ricordo di Andrea Giorda.
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L'alpinista piemontese Roberto Bonelli, esponente del gruppo 'Mucchio selvaggio' negli anni Settanta.
archivio Roberto Bonelli

Nella valle di Ailefroide negli Ecrins, sulle placche della Draye è morto Roberto Bonelli a 62 anni. Stava scendendo e mentre preparava la doppia è scivolato precipitando dalla parete.

Roberto Bonelli era una persona colta a suo modo, intelligente antidivo per eccellenza. Insieme a Danilo Galante ha composto nei primi anni '70 una cordata dirompente, innovativa nel modo di arrampicare, che prevedeva la libera al limite anche dove non si poteva chiodare.

La Fessura della Disperazione al Sergent, in Valle dell'Orco aperta con P. Lenzi è il loro capolavoro. Una fessura Off Width. protetta malamente con dei cunei di legno artigianali. Danilo Galante l'aveva adocchiata seguendo Gian Carlo Grassi che apriva la Cannabis in artificiale, in modo tradizionale, due visioni a confronto.

Roberto e Danilo sono stati sovversivi per il loro modo di porsi anche verso i senatori del Nuovo Mattino, Ugo Manera e Gian Piero Motti che già avevano tanti meriti per aver scoperto il meraviglioso terreno della Valle dell'Orco. Erano amati odiati per il loro modo di porsi dissacrante, Manera racconta di palle colossali su scalate dichiarate dai due per il puro gusto di scompigliare le carte di un mondo, quello dell'alpinismo, ossequioso, riverente e omertoso come una chiesa.

Quando nel 1975 Danilo Galante giovanissimo mori in cordata con Grassi sul Gran Mantì, Bonelli ricompose la cordata con un giovanissimo Gabriele Beuchod. Io li conobbi in quegli anni e ricordo l'inconfondibile look di Bonelli con zazzera e basettoni, la copia del cantante dei Mungo Jerry, quelli che cantavano il tormentone " In the summertime when the weather is hot".
Fu lui il primo italiano nel 1978 a salire la Fessura Kosterlitz come spesso ci ha raccontato Alessandro Gogna.

La scalata di Bonelli era quasi casuale, non certo frutto di allenamenti, impensabile per gli amanti del pannello di oggi.Sulla guida della Valle di Susa di Gian Carlo Grassi sono elencate varie vie nell'orrido di Foresto scalate in solitaria!La libera spesso si concepiva con la solitaria.

A vent'anni gli incidenti in montagna delle persone che conosci ti scivolano addosso, ti senti invincibile, a quasi sessanta, l'età di Bonelli, sento il peso di una disgrazia e la responsabilità di ricordare un personaggio schivo, che è stato fondamentale non solo nella mia formazione, ma per tutti i giovani di allora e la sua eredità la viviamo ancora oggi.

Bonelli era l'antitesi dell'arrampicata sportiva e il suo periodo d'oro finì con l'imporsi dello spit negli anni '80. Ci siamo rivisti dopo tantissimi anni nel 2012, perchè non parlava con nessuno volentieri del passato, diceva che spesso veniva travisato come nel film Cannabis Rock, e con me, vecchio commilitone, fece una eccezione. Lo incontrai nel suo negozio a Torino di robe usate in Corso Francia, girava tra cianfrusaglie, aveva un cappellino di lana alla Lucio Dalla in testa, si schernì e capì il mio stupore nel vederlo pelato come una boccia, ridemmo dei suoi antichi famosi capelli, ma non mi lasciò nemmeno fare una foto, non lo forzai, capii che l'immagine che ci voleva lasciare era quella in zazzera e basettoni.

Di seguito l'intervista che feci nel 2012 uscita sulla rivista UP di Versantesud


ANIMALI DI ROCCIA: DUE CHIACCHIERE CON ROBERTO BONELLI

Torino - mercoledì 21 novembre 2012.
Lotto per tenere la parola, ma una simpatica vecchietta dal fare puntuto mi ruba l’attenzione di Roberto Bonelli, per tirare sul prezzo di un forno a micro onde usato che troneggia nello scaffale.
Così, simpaticamente in piedi appoggiato al bancone incontro Roberto Bonelli nel suo negozio di roba usata. Il suo rapporto con i clienti è schietto, non indora la pillola, direi che questo è il suo stile anche quando parla di sé e delle sue antiche imprese, non indulge in sentimentalismi.
Meglio così, siamo subito d’accordo, quando si tocca il tasto del Nuovo Mattino spesso si sfora nella retorica e in voli pindarici che nulla hanno a che vedere con la realtà dell’accaduto.
Quale migliore occasione dunque per andare subito sui fatti.


Una domanda d’obbligo per iniziare, nel 1978 sei passato alla storia per essere il primo ripetitore della fessura Kosterlitz sul masso di Ceresole, come è andata?
In realtà, a differenza di quello che si crede, ho risolto il passaggio la prima volta che mi hanno portato, al primo tentativo.

Nel 1974, da maggio ad ottobre hai contribuito ad aprire due capolavori in valle dell’Orco : la Fessura della Disperazione e il Diedo Nanchez, quale ti ha impegnato di più?
Senza dubbio il Diedro Nanchez, lungo, continuo e difficile fino in cima. La Fessura invece ha difficoltà brevi e concentrate, anche se molto psicologiche.

Il Nanchez lo ricordo anche perché avevo imprestato l’imbragatura, scalavo senza e Motti me ne diceva di tutti i colori. Siamo usciti che nevicava ed io avevo un abbigliamento ridicolo.

Come hai iniziato a scalare?
Nel 1973 andavo in grotta con il GSP ( Gruppo speleologico Piemontese). Ero fisicamente molto forte e allenato e avevo chiesto ad Angelo Piana uno scalatore in vista di portarmi con lui. Non mi considerò e per caso conobbi Gian Carlo Grassi in una grotta in Toscana, forse l’unica che fece per seguire una ragazza. Dopo una settimana, in autunno ero già a scalare con lui. Andammo alle Paretine di Marmo di Foresto, in breve divenni bravo e scalavo slegato molte delle vie di allora. Salire slegato mi piaceva, negli anni successivi andai poi anche sulla parete dei Militi a Bardonecchia.

Come hai conosciuto Danilo Galante?
Tramite Grassi, Danilo era di Bussoleno in Val di Susa dove aveva anche i nonni.

Che tipo era ? Che rapporto avevate?
Eravamo due "animali da roccia" e supplivamo alla tecnica con la forza fisica. Lui era più bravo, io più audace, spericolato. Avevamo un “rapporto di corda”, non di stretta amicizia, molto operativo e determinato, nessuno dei due comandava.

Danilo era un tipo semplice, leggeva Tex Willer io più impegnato, ho sempre avuto una passione per i libri, come quelli di fantascienza di Philip José Farmer.

Io sono per il catastrofico, rifuggo i sentimentalismi, anche qualche anno dopo quando scalavo con Gabriele Beuchod, lui era romantico e alle vie dava nomi come “Nocciolina Prigioniera” io preferivo “Il Crollo dell’impero nero”.

In che rapporti eravate con Gian Piero Motti e Gian Carlo Grassi?
Erano i fratelli maggiori, più esperti, sempre pronti a dirti di mettere un chiodo in più quando non ci curavamo del pericolo. Motti era quello che scopriva i posti nuovi e ci portava a scalare in Verdon nelle Calanques, noi eravamo bestie e avevamo una sudditanza verso Gian Piero.

Come è nata l’idea di scalare la Fessura della Disperazione?
Fu una idea di Danilo che aveva aperto la Cannabis al Sergent con Grassi e aveva notato questa enorme spaccatura. Io non ero mai stato prima in Valle dell’Orco e la Fessura della Disperazione fu la mia prima scalata su granito.

Certo un bell’inizio! E tra l’altro non era neanche un anno che scalavi.
Si ma ero forte fisicamente, la grotta ti tempra.

Raccontami la scalata, come si è svolta?
Una settimana prima Danilo era andato al Sergent, non so con chi, e aveva salito il primo tiro della Fessura, mettendo alcuni chiodi in artificiale per raggiungere la prima sosta e si era calato lasciando una corda fissa.
La settimana successiva siamo tornati in due cordate, lui con Paolo Lenzi, un suo amico di Bussoleno, io con Antonio Sacco.
Galante ha risalito la corda e ha raggiunto la prima sosta schiodando il tiro. Io alla mia maniera temeraria ho fatto tutto il primo tiro senza nulla e sono arrivato in sosta. A quel punto Antonio Sacco, da secondo, avrebbe dovuto scalare per trenta metri in traverso con la certezza, se cascava, di arrivare a terra e non se l’è sentita. Giocoforza mi sono unito a Galante e Lenzi e abbiamo proseguito la scalata insieme.

Che materiali avete utilizzato?
Danilo si era fatto fare da un falegname di Bussoleno degli enormi cunei di legno.

Hanno resistito, nell’estate del ’79 l’ho ripetuta ed un grande cuneo era ancora perfettamente incastrato, era un po’ marcio con un chiodo messo tra la roccia e il legno e collegato con un cordino.
Si era un nostro metodo, l’avevamo lasciato noi.

Ricordi se furono messi chiodi a pressione?
Mettere i chiodi a pressione era faticosissimo, bisognava fare per mezz’ora il buco a mano e poi tenevano pochissimo. Cercavamo quindi di evitarlo, ma uno probabilmente Danilo l’ha messo, mi sembra per far sosta, il punto esatto non lo ricordo. I nut e gli excentric non li avevamo erano ancora da venire, c’erano già però i bong.
Come scarpette usavamo le P.A. (Pier Allain) rosse e nere, le compravamo in Francia perché in Italia nessuno le vendeva. Le tenevamo sempre nei piedi anche per andare all’attacco, erano comode!

Quale era la vostra etica di scalata?

Non facevamo grandi ragionamenti, l’artificiale era per noi noioso e faticoso e per questo cercavamo di evitarlo. Per l’artificiale c’era Motti, era un maestro a mettere i chiodi.

Chi c’era alla base mentre scalavate a farvi le foto?

Ricordo Motti con una comitiva di escursionisti e mi sembra Alberto Rosso della Rivista della Montagna.

Senti, due parole sul vostro look me lo devi dire, sui tuoi capelli ricci con basettoni e sui Ray Ban scuri sempre incollati sul naso di Danilo.
Scalavamo con il peggio che si aveva in casa, roba frusta, anche un po’ in contrapposizione con gli alpinisti classici, impeccabili nei loro pantaloni alla zuava. Quanto ai miei ricci e ai basettoni non ci sono più come vedi e Danilo non poteva fare a meno degli occhiali perché erano da vista. Ecco svelato il mistero.
Eravamo forti, lo sapevamo ed eravamo volutamente anche un po’ anarchici e antipatici per rimarcarlo, per farlo pesare.

Nel mito del Nuovo Mattino si vocifera di vino, cannabis e discussioni politiche.
Niente di tutto questo, Danilo era astemio, io non fumavo. Danilo giocava a fare il fascistello più per posa che per convinzione, aveva vent’anni. Ma la politica vera non è mai entrata.

Sei mai tornato a rifare la fessura ?
Sì in occasione del film Cannabis Rock. Ma mi sono storto, c’era un sacco di gente che voleva essere protagonista e al tempo non si era mai vista. Degli usurpatori.

Visto che sei un grande e colto lettore, definiscimi con un solo aggettivo la tua scalata, il tuo sentire ai tempi della Fessura della Disperazione.
Eravamo inconsapevoli, sì inconsapevole è l’aggettivo giusto.

Mi arrendo alle insistenze della vecchietta del micro onde e ci lasciamo con una mezza promessa di scalare un giorno insieme.

Andrea Giorda
CAAI




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