Ripetuta la salita del Fungo d’Ombretta di Bepi De Francesch e Francesco Innerkofler
Il primo agosto Federico Dell’Antone di Sottoguda e Giorgia Felicetti della Val di Fassa hanno effettuato la prima ripetizione di un itinerario storico quanto misterioso nelle Dolomiti: Il Fungo d’Ombretta, conosciuto anche come Torre Moschitz. Posto in Val Ombretta, di fronte alla Marmolada e visibile dal Rifugio Falier, il fungo era stato salito per la prima volta il 14 luglio del 1956 dai fortissimi alpinisti Bepi De Francesch e Francesco Innerkofler. In quell’occasione De Francesch ha usato un nuovissimo chiodo per l’epoca, il cosiddetto chiodo a pressione; più corto di un normale chiodo di roccia, veniva piazzato forando la roccia con un perforatore. De Francesch ne ha piantato quattro sul tiro chiave, dando così l'avvio al famoso periodo della scalata artificiale nelle Dolomiti. Dal allora la via è rimasta in disparte, probabilmente anche per la sua difficoltà di accesso, e solo adesso è stata ripetuta appunto da Dell’Antone e Felicetti che una quindicina di giorni prima avevano salito un’altra via pressoché dimenticata, la Via della Fessura Gialla sulla Torre Enrica del Jigolé. A rendere ancora più misteriosa il Fungo è il fatto che Dell’Antone e Felicetti non hanno trovato quei famosi quattro chiodi a pressione; ci hanno spiegato che hanno "capito i punti dove erano stati messi… uno spigolo molto esposto, dove probabilmente con il tempo (70 anni) si sono ossidati e fuoriusciti." Al loro posto hanno messo tre spit nuovi per proteggere la scalata. I due non hanno trovato nessun segno di passaggio oltre a quello di oltre 60 anni fa e a confermare la probabile prima ripetizione è stato proprio Dante Dal Bon, storico gestore del rifugio Falier, che ha seguito la recente salita dal suo rifugio e che conosce alla perfezione la storia di questa via: parecchi anni fa, il fortissimo alpinista Bepi De Francesch era infatti il suo istruttore alla Scuola alpina di Polizia.
FUNGO D’OMBRETTA di Giorgia Felicetti
La Val Ombretta, con i suoi bei verdi pascoli, si trova a pochi passi da casa nostra; da qui si può osservare molto bene il Fungo d’Ombretta.
Spesso saliamo in questa valle per fare scialpinismo o allenamenti di corsa, e mentre percorri la piana di Val Ombretta la torre si alza proprio davanti a te, appoggiata sull’erta cresta che parte dal Rifugio Falier per arrivare alle cime d’Ombretta; da questo è nata in noi l’ idea di provare a salire questa torre. Siamo saliti diverse volte in valle per cercare di intuire la linea migliore per arrivare alla base del Fungo, ma non sapevamo ancora nulla di esso.
Ci siamo informati tramite le pagine del Pellegrinon (Marmolada, Andar per Monti 1979) e abbiamo letto della salita di Bepi De Francesch assieme a Francesco Innerkofler il 14 luglio 1956… poche informazioni erano riportate tra queste pagine.
Successivamente ci siamo informati maggiormente sulla storia del Fungo d’Ombretta e del suo primo salitore. Leggendo le pagine del libro "Mani da strapiombi, Bepi De Francesch: un volto, una storia" a cui è dedicato un capitolo intitolato “Folgore sul Fungo d’Ombretta” siamo venuti a conoscenza dell’avventura degli alpinisti avvenuta nel 1956 su questa torre.
Decidiamo così di provare a ripercorrere questa via, con le poche informazioni tecniche che siamo riusciti a reperire da questi libri. Il 12 luglio 2020 ci proviamo per la prima volta, saliamo il canale posto sulla destra del fungo, intuendo la linea di salita migliore e, con 12 lunghezze ci portiamo alla base del fungo, aggirandolo verso sud. Saliamo la prima lunghezza in fessura obliqua e compiamo l’entusiasmante traverso di 180 gradi attorno alla torre in grande esposizione, di cui raccontava De Francesch tra le sue pagine.
Ora ci troviamo a nord sulla lunghezza chiave sotto un grande tetto, qui però dopo alcuni imprevisti desistiamo; Federico infatti vola giù dallo strapiombo per via di un chiodo instabile. A questo punto capiamo quindi di aver commesso qualche errore e non esserci organizzati nel migliore dei modi. Torniamo alla base ripercorrendo l’esposto traverso e ci caliamo sul versante nord attrezzando delle buone calate.
Il 31 luglio ritorniamo in Val Ombretta meglio organizzati. Il giorno precedente alla salita arrampichiamo velocemente le prime lunghezze del canalone per depositare un po’ di materiale di fondamentale importanza per il giorno dopo; qui però non sono mancati gli imprevisti.
Alle prime luci del 1 agosto siamo finalmente pronti a partire lungo il canale di avvicinamento, scorgendo alcuni punti di salita migliori della volta precedente. In breve raggiungiamo la base del fungo e saliamo velocemente le prime due lunghezze, riservandoci il tempo per le ultime due più impegnative.
La lunghezza chiave si presenta bella impegnativa; nella prima parte riusciamo a progredire con chiodi normali e friends, mentre nella seconda, dove la roccia è molto liscia e strapiombante, piantiamo 3 spit dove il grande De Francesch piantò con il perforatore i primi chiodi a pressione (ormai non più esistenti per il lungo tempo trascorso).
Sostiamo nello stesso punto della cordata del 1956 in grande esposizione sulla parete e così saliamo anche l’ultima lunghezza inizialmente impegnativa e poi sempre più facile lungo una fessura.
Lungo tutto l’ itinerario abbiamo trovato mezzi di progressione della cordata del 1956 (cordoni, chiodi e un cuneo di legno con fil di ferro ormai degradati dal tempo)… questo, assieme ad altre conferme ci ha fatto intuire che dopo di loro probabilmente non ci sono più state ripetizioni.
Arrivati in vetta l’emozione è stata senza eguali; straordinario trovarsi sospesi su questo torrione con pareti, pendii e ghiaioni tutt’attorno; una vista mozzafiato a 360 gradi.
Ci ricordiamo del racconto di De Francesch sulla boccetta nascosta in vetta con all’interno la dedica; dopo 64 anni la troviamo proprio lì nascosta sotto un piccolo ometto di sassi, scattiamo qualche fotografia e la riponiamo nuovamente al suo posto dove è giusto che resti.
Poco sotto la vetta scorgiamo la sosta per la doppia di De Francesch: 4 chiodi molto distanti tra di loro, di cui uno penzolante in un cordino. Lanciamo le corde nel vuoto e con due calate verso sud siamo nuovamente alla cengia di partenza e da qui con altre sette calate (attrezzate la volta precedente) giungiamo alla base del canale. Stanchi ma felici ci incamminiamo al rifugio Falier e poco dopo verso casa.
SCHEDA: Fungo d’Ombretta, Marmolada, Dolomiti
IL FUNGO D’OMBRETTA
fonte: Mani da strapiombi, Bepi De Francesch: un volto, una storia di Tommaso Magalotti, Nuovi Sentieri
Bepi De Francesch nel 1956 introduce nel mondo alpinistico un nuovissimo chiodo che impiega per superare uno strapiombo sul Fungo d’Ombretta in Marmolada. È il cosiddetto chiodo a pressione, più corto dei normali chiodi, che viene piantato forando la roccia a mano con un perforatore. Ne pianterà quattro per superare questa liscia parete strapiombante dando l’avvio alla cosiddetta scalata artificiale.
Caratteristico torrione a mò di fungo che s’innalza sulla cresta orientale della Cima d’Ombretta, protendendosi ardito proprio sopra il rifugio Falier. Per la sua conquista furono appunto usati i primi chiodi a pressione dell’epoca moderna.
Nell’ottobre del 1955 De Francesch si trova in Val Ombretta assieme a Francesco Innerkofler per cercare di vincere le asperità e conquistare la vetta del Fungo, ma, dopo aver bivaccato nel locale invernale del rifugio Falier, vengono bloccati ancor prima di partire da venti centimetri di neve fresca.
Il 14 luglio 1956 Bepi De Francesch risale al rifugio Falier per vedere di risolvere finalmente il suo problema con il Fungo d’Ombretta. Anche questa volta è con lui l’inseparabile Francesco Innerkofler a cui si è aggiunto Enrico Planatscher, allievo della Scuola Alpina di Moena.
Alle ore 05:00 la mattina seguente partono carichi di tutto verso l’attacco. Risalirono il lungo crestone soprastante lungo un canalone posto a destra rispetto alla linea del Fungo d’Ombretta, giungendo verso le 08:00 sulla forcella che lo divide dalla cresta della Cima d’Ombretta Orientale. Da qui si portarono sul versante Sud, dove il primo tiro in fessura li conduce ad un esile cengia che da sinistra verso destra taglia orizzontalmente tutta la torre.
Si trovavano ora in pieno sesto grado complicato dal maltempo; qui il giovane Planatscher desistette dall’impresa e rimase ad aspettare i compagni sulla cengia battuta dalla pioggia.
Lungo un percorso che aggirava a chiocciola quasi tutta la torre De Francesch si porta sul lato nord e per fessure appena accennate, al tetto orizzontale e allo spigolo di questo. Era sul VI grado superiore e lì era anche la chiave per vincere la torre. Fino a quel momento aveva utilizzato chiodi normali, ma ora utilizza il perforatore per infliggere quelli a pressione, reggendosi sulle staffe secondo uno stile che stava affinando nei lunghi allenamenti.
Perforò il calcare senza rughe e con quattro chiodi di questo tipo uscì dalle maggiori difficoltà su rocce più accessibili, lungo una fessura di 20 metri che, chiodata normalmente gli permise di raggiungere la vetta alle ore 15:00. Per tutto il tempo sotto di lui Innerkofler lo seguiva e gli dava corda.
Il maltempo con tuoni e fulmini continuava ad abbattersi sulla torre e infastidire la cordata; un bagliore improvviso unitamente a uno scoppio violento avvolgono il Fungo d’Ombretta. Una tremenda scarica percorre le corde; Innerkofler viene scaraventato contro la parete e De Francesch, colpito dal fulmine sulla cima mentre stava piantando dei chiodi per assicurare la cordata, viene scaraventato a terra senza sensi.
Dopo qualche minuto riacquista i sensi e inizia a recuperare il compagno dicendogli di salire il più veloce possibile. Sotto la continua minaccia dei fulmini, nascondono sulla vetta una boccetta in vetro con una dedica per quella torre (Torre Moschitz) a ricordo di un loro compagno, alpinista e sciatore delle Guardie P.S.: Giuseppe Moschitz di Tarvisio speranza dello sci azzurro, caduto uscendo di pista e andandosi a schiantare contro un larice nell’inverno 1953/’54 durante i campionati italiani a Folgaria.
Dalla cima con una lunga doppia nel vuoto arrivarono alla cengia sottostante e dopo 17 ore di gioia e tormenti furono di nuovo al rifugio Falier. Un’impresa quella del Fungo d’Ombretta, dai risvolti drammatici ma con una dedica piena di sentimento che non è dell’ultima ora.
BEPI DE FRANCESCH
tratto dal libro Mani da strapiombi, Bepi De Francesch: un volto, una storia di Tommaso Magalotti, Nuovi Sentieri
Nacque a Cugnan, nel Bellunese nel 1924 da famiglia molto povera. Bepi, giovanissimo, lavorò in Piemonte fino alla data dell’arruolamento. Alpino della "Cadore", allo sfacelo dell’Esercito Italiano (8 settembre 1943) fu rinchiuso in un vagone ferroviario coi compagni del Battaglione Belluno e inviato in Germania quale prigioniero nei campi di lavoro. Tornò nel 1946 a guerra finita. Nel 1948 entrò a far parte delle Guardie di Pubblica Sicurezza per il controllo dei confini nazionali.
Scoprì l’alpinismo a 28 anni. Bruciò le tappe. Nel 1952 aprì la sua prima via nuova sulla Roda di Vael. Con tenacia e volontà, dominato ormai da grande passione, ripercorse le grandi vie classiche dolomitiche e ne aprì tantissimime di nuove. Perseguì un grande obiettivo: la creazione di un nucleo di specialisti della montagna all’interno di quella Scuola Alpina delle "Fiamme Oro" di Moena della cui nascita era stato convinto propugnatore.
Istruttore Capo di alpinismo, Guida Alpina, diresse numerosissimi corsi di alpinismo e contribuì al sorgere di una formidabile squadra di Soccorso Alpino: gli "Angeli della Montagana", che si coprì di tanti meriti in tantissimi salvataggi estremi e in numerosi recuperi sulle più difficili pareti dolomitiche e non solo.
Fu protagonista determinante nella vittoriosa spedizione italiana al Gasherbrum IV. Fortissimo nell’arrampicata libera, diede una svolta decisiva a quella artificiale, perfezionandone le tecniche.
Bepi De Francesch ha sempre avuto una grande passione nell’insegnare ai giovani quella che definiva "l’arte di arrampicare". Come Capo del Soccorso Alpino delle Fiamme Oro di Moena, fu testimone di troppe tragedie causate dall’imperizia e dall’imprudenza. Diceva sempre "Ognuno ha il suo sesto grado. In montagna non si può assolutamente sbagliare."
Nonostante l’attenzione dei media per i suoi grandi exploit alpinistiche,B epi De Francesch è sempre rimasto una persona schiva e umile. Di carattere buono non amava gloriarsi per le sue imprese. Diceva spesso che i risultati più significativi rimanevano non tanto le grandi vie da lui aperte o le grandi solitarie, ma i salvataggi che aveva compiuto. Un male incurabile lo strappò al mondo dei suoi affetti e delle sue montagne il 9 novembre 1997