Ricordando Loris De Barba. Un inno alla pace e alla libertà
Tredici anni fa, avevo praticamente la metà dei suoi anni. Ci conoscemmo nel silenzio della Val Cimoliana, in un inverno molto nevoso.
La valle è uno di quei luoghi dove, d’inverno, non c’è anima viva. Ero andato ad osservare alcune pareti ed ero certo che avrei trascorso qualche oretta in solitudine quando, con mia sorpresa, scorsi un profilo in lontananza, che si avvicinava sulle ultime nevi.
Misi a fuoco meglio quest’uomo dalle gambe lunghe e con gli sci in spalla, quasi un cavaliere alla Don Chisciotte. Avvicinatosi a me, ci presentammo e scoprimmo di abitare vicini (Limana-Belluno). Mi disse di essere stato tre giorni fra quelle cime, da solo e in autonomia, e di aver fatto alcune discese ripide, quasi tutte nuove.
Rimasi colpito, e non potevo immaginare allora che sarebbe poi diventato per me una figura tra un amico e un fratello maggiore, e che tale rapporto sarebbe stato edificato sempre e solo sui fatti, perché di parole Loris era dolce ma misurato.
Poi, gli anni assieme, sospesi su lamine sottili per molte avventure. Abbiamo visto concretizzarsi grandi sogni cullati assieme, ci siamo aiutati a vicenda nei momenti critici: la montagna è stata una condivisione di emozioni troppo intense per essere comunicate.
La sera del 7 settembre scorso, con i compagni del soccorso alpino di Agordo, trovai la sua auto al parcheggio di Malga Framont, imperlata di condensa per la fredda umidità tardo-estiva.
Almeno tre ore di ritardo sui tempi di un alpinista dal piè veloce, e il fiato mi si strinse in una morsa mai provata, un chiodo nel polmone per tutte le ore difficili di quella notte.
Scriveva Dino Buzzati dell’ombra inattesa, metafora del destino degli alpinisti e degli esseri umani. Il 7 settembre, l’ombra inattesa di Loris lo ha atteso proprio sulla cima della Seconda Torre del Camp, dopo l’ultimo tramonto: il tempo per lui di riporre la macchina fotografica, dopo tre ore di scatti muovendosi lungo la cresta, come era abituato a fare.
Loris non era su quella cima per una foto, ma per fotografare, perché fotografare la montagna era il suo modo delicato di accarezzarla e intrattenere con essa una personale storia d’amore. La delicatezza con cui si muoveva in montagna era la stessa che dedicava alle persone.
Tra gli ultimi scatti di quell’ultima giornata, c’è anche una foto nel suo stile: un “semplice” albero nobilitato in una magnifica inquadratura e composizione. Quasi a volerci testimoniare che non sono gli oggetti a essere importanti, ma il nostro sguardo su di essi.
Loris De Barba, per chi non lo avesse conosciuto, è stato anche uno degli alpinisti di spicco in ambito Dolomitico, con un livello tecnico inimmaginabile per le persone comuni. Su un filo di cresta non arrampicava, ma danzava.
In anni di montagna, avrò visto e incontrato migliaia di alpinisti di alto profilo, dagli himalaysti alle guide andine, ma non ho mai conosciuto nessuno con la sua naturalezza di movimento.
Era un uomo che sembrava costruito, anche anatomicamente, con gambe spiccatamente lunghe e leggere, per vivere sulle pietre mosse delle nostre sommità. Un uomo fatto dalla montagna per la montagna, ma che al contempo nutriva una spontanea curiosità per le molte possibilità della vita in valle.
Loris è stato probabilmente il massimo conoscitore delle Dolomiti d’Oltre Piave degli ultimi decenni, con numerose centinaia di salite e decine di prime discese con gli sci.
Ha poi condiviso con il nostro solido gruppo di amici, da ultrasessantenne marziano, un nuovo capitolo di vita in tutte le Dolomiti: le Nord di Popera, Zsigmondy, Cristallino, Rocchetta Alta di Bosconero, sono solo alcune delle decine di prime discese con gli sci degli ultimi anni, assieme a Pelmetto, Cima Ambrizzola, Punta Michele, Cima Bel Prà, Croda Marcora Ovest, e molte altre.
In particolare, quelle nelle Dolomiti d’Oltre Piave provenivano quasi sempre dai suoi sogni, cullati forse in anni di ricognizioni estive: Cridola Ovest, Cima di Pino, Cima Giaeda, Cima dei Preti direttissima, Cima delle Monache, sono tra le numerose avventure in Oltre Piave condivise con noi.
Loris è stato un’anima gentile, lo si dice spesso, ma in questo caso il suo rispetto per la montagna e per i suoi viaggiatori era totale, ragione di vita, senza mai una critica o un diverbio. Ha insegnato ai suoi amici la gentilezza e la concretezza, ma anche a non accumulare troppe esperienze e a vivere intensamente quelle che incontriamo.
Vorrei scrivere della sua fotografia, un dono dal sapore divino per me, per i suoi amici, e per le migliaia di persone che lo hanno conosciuto e apprezzato, anche dalla bacheca digitale.
Da editore di montagna, mi limito a un giudizio partigiano (ma cosa ci posso fare se ne sono sempre stato convinto?), avendolo sempre reputato il più grande fotografo di montagna in Italia e nella rosa dei migliori d’Europa, specie nel bianco e nero. Quando glielo dicevo, mi rispondeva imbarazzato con la sua tipica modestia, mandandomi a migliori lidi con un tipico augurio veneto.
Su YouTube ho pubblicato, con gli amici comuni, un suo amato audiovisivo al quale aveva dato il titolo “Inno alla pace e alla libertà”, forse a ricordare la condizione fortunata e riconoscente di chi può permettersi di leggere, parlare e agire di montagna. Le montagne restano nei nostri ricordi, le fotografie sono visibili per sempre. Come se non si morisse in ogni parte di sé. “Non omnis moriar”, scriveva Orazio.
La montagna, metafora della nostra cultura occidentale, nobile alterità di noi che abbiamo il privilegio di vivere in un contesto senza guerre dirette e necessità primarie, rimarrà per sempre, fra miliardi di scatti, negli scatti di Loris, per chi li saprà raggiungere con lo stesso sacrificio, dedizione e preparazione di una ascesa.
Rimarrà per sempre, nelle sue immagini, come monito di privilegio e come tensione di vita, come un inno alla pace e alla libertà.
Ci si vede in cima Vecchio Leone, ciao Loris.
di Francesco Vascellari
Un ringraziamento speciale a: Anita Silvia, Alessandro e Max, per la vicinanza e il sostegno familiare, Mirco Gasparetto (Le Alpi Venete) e Nicholas (Redazione PlanetMountain) che senza saperlo mi hanno aiutato a rielaborare, Diego Favero (capostazione CNSAS Agordo) amico e compagno di ore difficili, e tutti coloro che con un gesto ci sono stati vicini.
Per Loris De Barba di Mirna Fornasier
Eri di poche parole, Loris, e, come spesso accade per quelli come te, avevi tanto da dire.
Ma le cose importanti le raccontavi con le fotografie. I più conoscono quelle delle tue amate montagne: paesaggi arditi che in pochi hanno la capacità di raggiungere, anche perché selvaggi e solitari, o semplicemente le forme arrotondate delle Prealpi di Valmorel, il tuo paese natale, con le antiche testimonianze della sua civiltà contadina. Ma vi sono anche le immagini delle città che visitavi: in qualche occasione eravamo assieme in questi luoghi carichi di storia, eppure, quando ammiravo le tue fotografie, mi rendevo conto che in realtà io lì non avevo visto niente. O ancora i ritratti di noi amici che ti accompagnavamo nelle tue escursioni. Faticavo a capire di chi fosse la figura che emergeva dal paesaggio, però, sempre, riuscivo a riconoscerne l’anima.
Credo che l’essere stato immerso per la maggior parte del tuo tempo nella bellezza abbia reso il tuo animo gentile e privo di meschinità. Le poche parole che usavi non erano mai a sproposito. Sono le parole che, assieme a quelle della tua Anita, mi spronarono a partire per la mia avventura, quando ormai vi avevo rinunciato a causa di quel brutto periodo che stavamo passando, ricordi?
“Non risolvi niente restando a casa,” dicesti, “Invece, se vai…”
Invece, se vai… Non risposi niente, ma poi, su quel “Invece, se vai…” ci ho visto tutto quello che sarebbe stato, e partii: ve ne sarò per sempre grata.
Se ti scrivo queste cose, ovviamente, è solo perché non sei più qui a leggerle e, soprattutto, a rispondere: dovrei altrimenti fuggire lontano, “mi imbarcherei sul mare,” come diceva il nostro amato De André.
Pochi giorni prima della tua ultima salita, di ritorno dal nostro viaggio in Groenlandia, Max e io ci fermammo da voi per salutarvi, prima ancora di tornare a casa. Ci venisti incontro con un sorriso pieno di curiosità ed entusiasmo. Ci lasciammo con la promessa di incontrarci al più presto per raccontarci tutto. Non ci fu tempo. Però, mi resta l’immagine del sorriso di quella sera, quel tuo sorriso che – nonostante tutto – riesce ad illuminare per me questo mondo che, improvvisamente, si è fatto più buio.