Quarto Pilastro del Paretone al Gran Sasso d'Italia. Di Ivo Ferrari
Fabrizio mi ha raccontato la storia della prima ripetizione dell’allora temuta via Mario-Caruso al Quarto Pilastro, l’ho ascoltato viaggiando con la mente e con un’immagine che ritengo "stupenda" e emblematica... poi il Libro di Stefano ha fatto il resto, mi ha raccontato la storia di quel Centro Italia che a volte ingiustamente vive all’ombra delle Grandi pareti alpine... INGIUSTAMENTE!
STORIA DELL’ALPINISMO IN ABRUZZO (Ricerche & Redazioni)
per gentile concessione di Stefano Ardito
"... Per Gigi, però, il vero problema da risolvere è il Quarto Pilastro. Il più verticale, il più ostico, il più freddo. Nel settembre del 1959, ancora insieme a Caruso, Gigi raggiunge il Paretone dal rifugio Duca degli Abruzzi. Chiodi, moschettoni e staffe rendono pesanti gli zaini. Fa freddo, e nel camino all’attacco della via dalla roccia pendono delle stalattiti di ghiaccio. Due tiri freddi e sgradevoli portano a un camino svasato, con le pareti lisce, dove è difficile assicurarsi.
Emilio tenta di salire da capocordata, ma è lento. Gigi, che si sente in forma come non mai, gli urla di scendere, lo cala alla sosta, riparte da capocordata, come un razzo. "Gigi era quasi in trance" racconterà Caruso. Qui le cose diventano dure davvero. Si sale in libera, piantando dei "chiodi malsicurissimi".
Dove le fessure finiscono, sfrutta dei piccoli buchi con dei ganci, ai quali appende le staffe. A spingerlo verso l’alto, racconterà, è "una spinta della volontà come non ho avuto mai".
Gigi Mario ha ventun anni, è un arrampicatore straordinario, è in piena forma. Ma su quel tiro impiega più di due ore. Emilio, da secondo, dev’essere aiutato dall’alto con la corda. Nella parte alta il Pilastro lascia il posto a un labirinto di cenge, camini e fessure. Dalla vetta, i due tornano di corsa a Campo Imperatore, perché la funivia alle 17.20 si ferma, bisogna tornare a Roma in Lambretta, e il giorno dopo si lavora..."
Gli anni passano e la via diviene col tempo ambita, sognata e temuta, passa il tempo ed è ora di entrare nel mito...
PRIMA RIPETIZIONE DEL QUARTO PILASTRO DEL PARETONE
per gentile concessione di: Fabrizio Antonioli
Anche se sono trascorsi quasi quaranta anni, mi ricordo con grande lucidità. Era Luglio del 1977, una indimenticabile stagione per me che mi ero affacciato nel mondo alpinistico romano solo due anni prima. L’ambiente stimolante di grandi alpinisti e arrampicatori, la frequentazione di falesie severe come Gaeta, Leano e il Circeo, mi avevano formato rapidamente. Eravamo un trio ben amalgamato (Frezzotti e Cutolo) e ci incuriosiva tentare la ripetizione di uno dei capolavori di Gigi Mario: la sua irripetuta via al Quarto Pilastro del Gran Sasso.
Al rifugio Franchetti, Pasquale Iannetti, allora gestore, ci aveva accolto con simpatia e, saputi i nostri obiettivi, si era svegliato alle 5 per preparaci la colazione. Iniziamo con le primissime luci: su per la cengia alla base della parete Ovest fino ad affacciarsi sul Paretone, a meno di 200 metri dalla cima della Vetta Orientale. Come tutti gli amanti del Paretone sanno bene, una parte molto complessa della salita è la discesa. I primi raggi di sole ci scaldano ed iniziamo ad arrampicare in discesa per le magnifiche placche finali dello sconfinato Canale Iannetta che taglia diagonalmente in due il Paretone. La roccia era calda e asciutta, l’Abruzzo e poi il mare laggiù in fondo ci davano una sensazione di piacere.
Il Quarto Pilastro e’ il primo che si raggiunge scendendo, per gli altri Pilastri bisogna continuare ad arrampicare in discesa. Attraversiamo un nevaio e siamo all’attacco. La via, aperta da Mario e Caruso nel 1959, era rimasta senza ripetizioni per 18 anni, anche a causa delle dichiarate difficoltà incontrate dai primi salitori. Sulla guida si leggeva che "il tiro chiave (dato di sesto e A3) era costituito da una fessura-diedro strapiombante con poche possibilità di chiodare". Gigi Mario aveva detto che si trattava di un tiro estremamente difficile con pochissime possibilità di protezioni e che aveva fatto uso di staffe su "ganci da macellaio ..". Avevo con me dei rudimentali skyhooks e delle staffe, ma soprattutto i primi nuts provenienti dall’Inghilterra, avevo scelto gli scarponi Galibier e non le Superga (introdotte nell’ambiente alpinistico romano da pochi mesi da Pierluigi Bini) soprattutto per il freddo che sprigionava la mitica Cannuccia di Bambù. Mi ricordo l’urlo di gioia in cima al tiro chiave salito peraltro senza usare le staffe.
2015
Il salire le montagne lungo pareti, spigoli e creste fa parte di una bellissima storia che rimane nei ricordi e deve rimanere "STORIA". Io voglio continuare a studiare....
di Ivo Ferrari
Quarto Pilastro del Paretone Gran Sasso
Via Luigi Mario e Emilio Caruso 1959
Prima ripetizione: Fabrizio Antonioli, Massimo Frezzotti e Paolo Cutolo 1977
Prima invernale: Marco Marziale e Luciano Mastracci 1995
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