Pale di San Martino: nuova Via Cinco Largos al Campanile Negrelli

Al Campanile Negrelli nelle Pale di San Martino, Dolomiti, Stefano Menegardi e Stefano Piatti hanno aperto la nuova via d’arrampicata Via Cinco Largos (160m, VIII+). Il report di Stefano Menegardi
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Pale di San Martino: durante l'apertura di Via Cinco Largos al Campanile Negrelli (Stefano Menegardi, Stefano Piatti)
archivio Stefano Menegardi

Il 27 agosto, dopo aver smontato alla mattina dal turno di notte a Cles, partiamo con il mio omonimo Stefano (io Menegardi, mantovano; lui Piatti, bergamasco) per le Pale di San Martino, direzione Fiera di Primiero - Malga Canali.

L'idea della via parte in realtà tutta da mio padre, che - innamorato da sempre delle Pale - ha scovato qualche settimana prima una linea sulla Torre Negrelli in Val Canali, posto a me sconosciuto.

Mio padre mi ha raccontato di essere super ingolosito da quella linea vergine. La considera però troppo impegnativa, per se stesso, da affrontare con il solo ausilio dei chiodi ed in libera. Mi dà così pagina bianca per tentarla con un altro compagno, non senza consegnarmi premurosamente tutto il necessario per partire preparato (30 chiodi, cordini da lascio e alcune maglie rapide). Penso allora subito a Stefano che - entusiasta cronico dell'alpinismo e della vita, amante delle avventure in modo ammirevole e contagioso - non esita ad accettare. Quando è ora di partire, siamo entrambi carichi come le molle.

Come era successo per la via in Pale di San Martino aperta un mese fa con mio padre (che abbiamo chiamato Via Quota 100), quello che abbiamo in testa è attrezzare le soste a spit per rendere la discesa comoda e la salita sicura. Ci dirigiamo quindi in direzione Malga Canali e con calma percorriamo le due ore abbondanti che portano al fantastico Bivacco Minazio.

Il Minazio è in una posizione spettacolare: si vedono limpidamente tutte le cime che lo circondano (Cima Canali, Cima dei Lastei e Cima del Conte per citarne solo alcune), ha una sorgente permanente a dieci minuti soli di cammino ed è frequentato da escursionisti provenienti da tutta Europa che percorrono alte vie e che amano l'ambiente montano distante dalla civiltà, senza telefono, né mezzi di comunicazione.

La salita al bivacco, con i 20 chili di zaino sulle spalle di ciascuno, ci sfianca. Abbiamo tuttavia la voglia di iniziare prima possibile.

Prima di capire come arrivare alla parete, ci procuriamo acqua e ci presentiamo ai nostri coinquilini della sera, una coppia di ragazzi - lui valenciano e lei polacca - che stanno trascorrendo il loro decimo giorno in Dolomiti lungo l’ Altavia numero 2.

Sono le 15.30 quando decidiamo, seppur ancora in po' stanchi, di avvicinarci alla parete e lasciare al bivacco tutto il materiale per il giorno dopo. Se facessimo in tempo e il meteo lo concedesse, pensiamo, sarebbe bello provare ad aprire già il primo tiro di corda della nuova via!

Arriviamo alla base della parete ed inizia a piovigginare. La parete da sotto, e in particolare la nostra linea ideale che attraversa le placche a sinistra della via Timillero, ci sembra "cosa folle". Ci rendiamo conto che le nostre ipotesi, condivise durante il viaggio in macchina, erano tendenti all'ottimismo: le placche, che credevamo che da vicino sarebbero parse più scalabili e tranquille, ci sembrano ora belle verticali e piuttosto repulsive.
Queste le premesse. E che facciamo? ci chiediamo. Rientriamo al bivacco e torniamo domani? Basta uno sguardo di noi: No, rimaniamo, iniziamo ora! Stabiliamo un attimo dopo - mossi da un misto di inquietudine e spirito d'esplorazione - di arrampicare DIRITTI (come si dice), senza tradire il progetto iniziale.

Via che si vola sul primo tiro. La placca solida consente di riporre buone protezioni. Mentre indago il terreno verticale, trovo un chiodo sulla destra, nuovo. Lo ammetto: sono dispiaciuto di questo ritrovamento. Chi sarà passato di qui prima di noi? Mi spingo subito a sinistra sulla placca più dura, raggiungendo una piccola fessura orizzontale dove pianto un chiodo e trapano uno spit di sosta. Recupero Stefano che è un po' deluso, anche lui come me, di costatare la presenza di quel chiodo non nostro lungo la linea di salita. Torniamo al Minanzio e trascorriamo la notte pensando a come continuare.

Sveglia alle 05,00, colazione da campioni (pane, marmellata e caffè) e per le 06,00 siamo sotto la parete. Oggi il tempo è migliore: è un attimo che siamo alla sosta attrezzata ieri, Visti quei che abbiamo incontrato ieri, c'è da prendere una decisione: se noi abbandonassimo il progetto di partenza, fedele alle placche, molto difficilmente incontreremmo altre tracce di passaggio; se invece cambiassimo itinerario e ci spingessimo verso destra, sul facile, l'impegno fisico e mentale sarebbe minore, ma non avremmo la certezza di essere i primi a salire da lì. Optiamo, dopo qualche parola funzionale a rendere chiaro l'accordo, di fare la pazzia: la via continuerà DAVVERO dritta per dritta, lungo il tetto orizzontale che si vede da sotto. Seguiremo dunque una linea indipendente a goccia d'acqua, che si sposta al massimo di 2 metri dalla verticale della linea retta.

Si parte perciò con il secondo tiro. Le placche fin qui sono splendide, dal punto di vista sia della roccia che della proteggibilità. Lasciamo chiodi e clessidre già ripassate per i futuri ripetitori, anche quest'ultimi dovranno certamente integrare con friend e sfruttare ulteriori clessidre non ripassate.

Quando arriviamo alla sosta del secondo tiro si gioca la sfida, che ha a che fare con il desiderio di provare a affrontare l'ignoto più totale: dalla sosta, posta appena sotto il tetto che sembra inattraversabile, si scorge una fessura e niente altro. Non capisco, da qui, se la fessura continua oltre il tetto e se la pendenza, a un certo punto, cede o meno.

L'incognita mi affascina, ma allo stesso tempo mi spaventa non poco. Sento Stefano che mi incoraggia, ma non posso non notare che molto probabilmente si sta facendo le stesse domande che ho in testa anche io: vuoi proprio andare su di lì? Risposta: ebbene sì!

Dopo i primi metri di fessura, riesco a mettere due chiodi buoni giusto sotto il tetto, poi cerco di scovare la possibilità di proteggere la parte orizzontale. Non vedo altro modo che gli amati friend (fortuna che ci sono loro!). Mi alzo con delicatezza in spaccata, posiziono il primo 'amico' e poi alzo ancora i piedi. Infilo le mani in fessura in rovescio e incastro un secondo 'amico' nero della CAMP.. Aggiungo un altro 'amico' piccolo giallo, questa volta un Alien. La procedura mi stanca enormemente, anche perché il tutto accade mentre mi trovo in posizioni molto scomode, con i piedi lontanissimi l'uno dall'altro, in piena spaccata, e le braccia tese sui rovesci. Da lì non ci sono santi, l'uscita è un'incognita. Non mollo, mi porto a destra per tentare di chiudere il tetto, punto il piede sull'ultimo appoggino per il sinistro e lascio il destro nel vuoto. Prendo una piccola reglette con le dita della mano sinistra, cerco un piccolo appiglio per la destra e poi allungo di nuovo la sinistra a quella che sembra una sporgenza buona. L'appiglio per fortuna non è male, lo tengo, ma i piedi mi scivolano nel vuoto, costringendomi a tirare tutto il peso sulle braccia. Stringo i denti, mi contraggo al massimo e raggiungo un appoggio molto alto per il piede destro. Mi tiro su a stento, ma... ce la faccio! Quasi grido di gioia quando vedo che, fortunatamente, la fessura si verticalizza: è fatta! Mi sollevo del peso psicologico di un volo sui friend. E Stefano con me. Dopo questa, è un attimo che siamo in vetta.

La sensazione, una volta conclusa la via, è certamente di soddisfazione, ma anche di quasi nostalgia. Che batticuore che ho provato su quel tetto-maledetto! Dovrò rinunciare a provarlo ancora per qualche settimana, almeno fino alla prossima apertura (chissà quando, chissà dove, chissà cosa)! Sarà stato questo lo stato d'animo degli alpinisti anni '50, i famosi sestogradisti, che raccontavano della piccola sporgenza che affiorava a cui erano aggrappati (quasi la vedo, quasi la tocco!), che facevano gli acrobati con le corde per raggiungere la cima? Mi sono colto a provare cose che immagino - per quanto immense siano state le loro imprese rispetto alla nostra modesta apertura - vicine al loro modo di vivere, di stare in montagna.

Non è certamente quel terzo tiro esteticamente il migliore che abbia mai salito. Nemmeno la roccia è eccelsa. Eppure, il ricordo di aver perseverato senza mollare rimane il segno, per me, di una delle più avventurose e indimenticabili esperienze affrontate nella mia vita alpinistica.

Per quanto riguarda il nome: Cinco largos significa, in spagnolo, 'cinque tiri'. Io e Stefano Piatti abbiamo ripetuto numerose vie a cinque tiri durante l'estate appena trascorsa (per esempio, Alfa e Omega alle Mesules), anche molto impegnative - partendo con la premessa per cui "sono solo cinque tiri" e concludendo sfiancati! Questa caratteristica è diventata allora un simbolo delle nostre avventure insieme. L'abbiamo voluta cristallizzare come fosse una cifra della nostra stessa amicizia: i cinque tiri.

di Stefano Menegardi

SCHEDA: Via Cinco Largos, Campanile Negrelli, Pale di San Martino, Dolomiti

LINK: Vai a tutte le vie delle Pale di San Martino nel database di planetmountain.com




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