Norvegia ice climbing trip: Non poteva andare meglio di così. Di Giovanni Zaccaria

Un viaggio al Nord alla ricerca di ghiaccio da scalare. I rischi del mestiere, i dubbi del maestro, ma anche la soddisfazione nel vedere l'allievo che migliora, la felicità per l'amicizia che nasce e la fiducia che cresce. Il racconto genuino e le riflessioni sincere della Guida Alpina Giovanni Zaccaria, che ha salito con Alessandro Ferrari alcune delle cascate di ghiaccio più belle e famose della Norvegia.
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Norvegia ice climbing trip: tra le lande desolate di Oppdal
archivio Giovanni Zaccaria

Apro il rubinetto e regolo la temperatura: l'acqua bollente, dopo ore di scalata al freddo, è, come al solito, fantastica. È l'ultima doccia, domani niente ghiaccio.

Chiudo gli occhi per godermi l'abbraccio più caldo della giornata, ma, quando li riapro, fuori è buio. Inizialmente innervosito da chi ha mal progettato i sensori dei bagni, decido che non c'è motivo di sconforto. La temperatura è perfetta, so dove sono il sapone e l'asciugamano, non ho bisogno di luce. In fondo, non è tanto diverso dal concentrarsi e fidarsi delle punte delle piccozze aggrappate a qualche centimetro di ghiaccio. Tutto il resto non ha importanza. E domani sarò a casa.

Sono al buio in un piccolo albergo di Rjukan, cittadina del Telemark norvegese di appena più di tremila abitanti. Nei primi anni del 900, prima di essere centro abitato, Rjukan era un distretto industriale. Dapprima come centro per la produzione di energia idroelettrica più grande del mondo e successivamente anche come impianto per la produzione di acqua pesante, sviluppato dai nazisti in Norvegia: tale produzione era finalizzata alla realizzazione della bomba atomica durante la seconda guerra mondiale. La storia racconta che gli impianti ed i convogli di trasporto furono sabotati ripetutamente da eroiche missioni alleate.

Dall'acqua pesante Rjukan è diventata un secolo dopo famosa per l'acqua allo stato solido, con cascate di ghiaccio che attirano scalatori da tutto il mondo. Avvicinamenti comodi, infinite possibilità e ghiaccio di qualità da ottobre ad aprile. Il paese vede il sole 6 mesi all'anno e, se gli abitanti hanno accolto di buon grado la costruzione di specchi in cima alla collina, che riflettono sulla piazza almeno qualche raggio del sole, chi arriva qui armato di ramponi e piccozza si sente in paradiso al pari di un vampiro.

Il buio mi aiuta ad uscire dal corpo e guardarmi dall'esterno come in un film. Io e Alessandro non siamo arrivati a Rjukan paracadutati come i sabotatori inglesi, e nemmeno in paradiso, come quasi tutti i ghiacciatori che sono qua per qualche giorno di vacanza. Per noi è stata l'ultima tappa di un viaggio grandioso. Sono al buio ma chiudo gli occhi lo stesso. Non poteva andare meglio di così.

Ale ed io
Io faccio la Guida Alpina: accompagnare le persone in montagna, aiutarle a raggiungere posti nei quali non andrebbero da sole e insegnare loro a vivere questo ambiente in sicurezza e con consapevolezza è il mio mestiere. Alessandro frequenta la montagna da sempre, con una lunga pausa alpinistica durante la quale ha cresciuto quattro figli. Quando ha ripreso in mano le piccozze, ad un corso cascate del CAI, era ultra cinquantenne e pensava sarebbe stato solo un piccolo sfizio. Il ghiaccio è diventato invece una passione sfrenata. Così, poco più di due anni fa, mi ha contattato per provare il dry tooling e prendere più sensibilità con le piccozze ed i ramponi. Quel giorno, tra le foglie secche di Ferrara di Monte Baldo, nessuno dei due avrebbe mai immaginato che saremmo arrivati a Rjukan. La sua curiosità verso i trucchi del mestiere, unita alla voglia di mettersi in gioco su grandi vie e grandi pareti, ci ha portati a salire la Holzknecht al Sassolungo e compiere un paio di rare ripetizioni: la via degli Allievi sulla nord del Cimon de la Pala (700mt, TD+) e Ritorno al futuro sul Cimon di Palantina (350mt, TD+). Giornate lunghe e avventurose, dove è la montagna che comanda e noi dobbiamo dare il meglio di noi stessi. Il Cimon della Pala in particolare era in condizioni tutt'altro che ideali, ci ha impegnato molto spremendoci per 18 ore no stop. Era il tempo del covid, Ale era davvero in forma dopo anni di allenamenti, portati avanti quotidianamente con entusiasmo. Scherzando, il giorno dopo il Cimon gli ho scritto un messaggio: "Sei pronto per la Patagonia." Ad Ale piace prendermi sul serio, così un piccolo tarlo è diventato un grande sogno.

La via del Nord
Per una serie di motivi il sogno della Patagonia era destinato ad aspettare ancora, ma abbiamo cercato una meta alternativa che fosse all'altezza. In Norvegia pare ci siano cascate di ghiaccio tra le più belle e famose del mondo. Prima di partire Ale mi ha chiamato per chiedermi se, oltre a divertirsi, secondo me avrebbe migliorato la sua tecnica su ghiaccio. "Ne sono sicuro" gli ho risposto convinto, promettendo a me stesso che avrei fatto del mio meglio. Non avevo idea però di come e quanto, perché sarebbe dipeso da mille fattori.

La Norvegia è stata un piano B, ma non per questo più facile da pianificare. In Patagonia ho già scalato per due estati australi, conosco la logistica, so dove dormire ed a chi chiedere informazioni. Forse è il luogo più lontano nel quale io sia mai stato, eppure ho un legame forte con la fine del mondo che mi fa sentire El Chalten come una seconda casa. È uno dei posti nei quali non vedo l'ora di tornare, sempre. Ogni viaggio che ho fatto in qualche parte del mondo ho sempre avuto un ottimo supporto da amici che erano già stati in zona e locals competenti; invece questa volta la logistica mi sembrava un rebus indecifrabile. A ridosso della partenza ho scritto in maniera casuale a diversi colleghi norvegesi per avere informazioni sulle condizioni. Il ghiaccio, si sa, è effimero e il pericolo valanghe può cambiare repentinamente con una nevicata improvvisa o un forte vento. Dopo numerosi contatti e contatti di contatti ho messo a punto una bozza di itinerario più o meno sensata.

Chiudo l'acqua e, come se vedessi, senza esitazioni o errori, apro la porta del box e prendo l'asciugamano. Esco dal bagno, si attiva la fotocellula e torna la luce. Peccato, ci stavo prendendo gusto.

Oppdal
Guardando la cartina della Norvegia Oppdal sembra nella parte sud, quella più vicina. Eppure, muovendosi in auto da Oslo, si percepisce bene la sconfinata distanza di queste strade e di queste lande desolate, zone collinari scarsamente popolate ed estremamente selvagge. Anche la natura qui cresce a fatica e il luogo è inospitale per tutti. Ci mettiamo quasi sette ore a percorrere gli oltre 500km di colline innevate, boschi e vallate. Tutto è così uguale, dolce e non antropizzato da dare serenità all'anima. E poi ghiaccio dappertutto, colate e colatine a bordo strada, nei boschi, ovunque. Poco prima di arrivare, mentre la luce del giorno se ne va, vediamo, in alto sopra la strada, una striscia di ghiaccio così grande da sembrare irreale. Le diamo appuntamento alla mattina dopo e intanto ci dirigiamo alla nostra casetta rossa di legno, un monolocale con un piccolo bagno ed una cucina microscopica. Come usciamo dal tepore dell'auto la neve scricchiola sotto le scarpe ed il respiro condensa all'istante: siamo nel cuore dell'inverno norvegese.

Kongsvollfossen è molto lunga ed abbastanza facile. Perfetta per cominciare, scaldare i motori cogliendo allo stesso tempo una bella perla. Ci sentiamo in un mare di ghiaccio e ci gustiamo i raggi del sole, così rari quando si pratica questa attività. Navighiamo e saliamo dove ci piace e dove ci ispira di più: le possibilità sono infinite. Ale è stanco, forse dal viaggio o dagli impegni che ha lasciato in Italia, e quando lo metto alla prova, su qualche breve muretto, si affatica velocemente. "Speriamo migliori" penso tra me e me, ben sapendo la difficoltà delle cascate sulle quali ho intenzione di portarlo. Intanto ci abituiamo alla routine del luogo: una breve ma moderata nevicata ogni quattro cinque ore, giorno e notte. Quando torniamo a casa Ale cucina (divinamente) e io lavo i piatti.

La mattina seguente ci addentriamo nel canyon di Vinstradalen e, tra i vari nastri ghiacciati, scegliamo KKK, che appare logica ed invitante. Ad Ale sembra grande, alta e verticale: è messo in soggezione dalla sua imponenza e gli sembra che la cascata ci cada addosso. Io provo a sdrammatizzare e cerco di banalizzare quella che mi ricorda Excalibur, la famosa cascata dolomitica nei Serrai di Sottoguda (BL). Anche oggi Ale scala in maniera frettolosa e nervosa, sia da primo che da secondo, sembra voler scappare dalla situazione nella quale si trova. "Calma Ale! Quando sali un tiro devi affrontarlo come se fosse una maratona. Respira, riposa, prenditi il tempo che ti serve, non pensare di dover arrivare in sosta il prima possibile. È una prova di consapevolezza e resistenza, goditela!"

La sera sfogliamo la guida, ad Ale non sembra vero di aver fatto due cascate in due giorni...e poter scalare ancora il giorno successivo! Ghiaccio ce n'è dappertutto, abbiamo l'imbarazzo della scelta, ma proviamo a scegliere linee che ci lascino qualcosa, che ci rimangano dentro per qualche particolarità. Oppdal ci ha colpito per la severità ed il silenzio dei luoghi: non abbiamo trovato ghiacciatori, tracce, segni di passaggio. Ci sono poche persone anche al supermercato, per strada, al ristorante, nel campeggio. Sembrava che tutto fosse là solo per noi. Il terzo e ultimo giorno ad Oppdal saliamo Tøftfossen, emblema di questa prima parte di viaggio: il lungo avvicinamento ci mette a dura prova, costringendoci a camminare per ore sprofondando nella neve fresca, mentre il vento soffia forte, alzando mulinelli fastidiosi ed intimorenti. Sentiamo la potenza della natura che turbina attorno a noi e ci avvolge in un abbraccio freddo e pungente. La cascata non è particolarmente difficile, sul 4 grado come le due precedenti, ma le condizioni rendono la nostra salita più simile ad un'avventura patagonica. Chiudiamo gli occhi come due fessure, tiriamo su il cappuccio e la zip della giacca e ci divertiamo. Siamo qui per questo! Ancora una volta faccio una piccola variante, per mettere alla prova Ale su un tratto un po' più impegnativo, e questa volta lo vedo salire tranquillo e focalizzato, nonostante la verticalità del ghiaccio. Forse il vento e la forza della montagna lo fanno concentrare sul momento presente, o forse ha ascoltato i consigli che gli ho dato il giorno prima. Dopo svariate calate in corda doppia su abalakov, scendiamo rapidamente a valle e guardiamo indietro, verso l'alto. Sembrava così distante, eppure ce l'abbiamo fatta! L'unico rimpianto della giornata è non essere riusciti a vedere un bue muschiato, animale mitico che abita queste praterie di neve piallate dal vento. Ci dicono che è molto pericoloso e che, se infastidito, può caricare e uccidere un uomo facilmente. Noi ci saremmo accontentati di vederlo da lontano, come una sagoma da immaginare dietro il sipario di neve e vento che taglia l'aria in orizzontale.

Hemsedal
Anche se Ale sembra a suo agio ogni giorno di più, è meglio non esagerare. Domani si riposa, e ne approfittiamo per lasciare il vento e la natura primordiale di Oppdal e cambiare zona.

Dormiamo a sazietà e ci mettiamo per strada. Ale guida, chiacchieriamo allegri mentre il panorama si srotola monotono fuori dal finestrino. Siamo soddisfatti di quella che è stata la prima tappa "e sono passati solo quattro giorni, non siamo neanche a metà!" mi dice Ale soddisfatto. Stiamo andando ad Hemsedal con un solo obbiettivo in mente: Hydnefossen. Citando Elio Bonfanti su Planetmountain: "La cascata norvegese per eccellenza, che non deve assolutamente mancare nel curriculum di un cascatista. Una salita superba...si tratta di un muro completamente verticale, che si supera con 4 tiri di corda. Le soste si costruiscono tutte con viti da ghiaccio e sono prevalentemente scomode, il ghiaccio è molto lavorato e strapiombante, richiede a volte tecnica e forza, ma soprattutto molta resistenza, vista la continua verticalità." Adesso Ale fa bene ad essere intimorito. Siamo ancora lontani venti chilometri dal paese quando la vediamo, minuscola, che domina la valle. Più larga che alta, sembra un gigantesco lenzuolo bianco messo a stendere in cima alla montagna, possiamo solo intuire la sua grandezza. Hydnefossen, con la sua maestosità, attira turisti anche d'estate, figuriamoci se potevamo mancare di farle visita! Alloggiamo ancora in un camping: la casa rossa è un po' più grande e spaziosa di quella di Oppdal, ma questa volta non c'è acqua corrente. La tanica va riempita nella struttura dove ci sono i bagni, posta a una ventina di gelidi passi di distanza. Ogni volta che guardiamo fuori dalla finestra, o usciamo dalla porta, Hydnefossen è là davanti, statuaria, attira magneticamente il nostro sguardo. La luce si spegne, andiamo a letto presto. Domani sarà un gran giorno.

La mattina ci spostiamo con l'auto solo qualche chilometro, parcheggiamo al sole e siamo quasi stupiti nel vedere una traccia nella neve che punta verso il nostro obbiettivo. Magari finalmente troveremo qualche segno di passaggio anche sul ghiaccio! Oggi Ale si metterà alla prova su una salita decisamente più impegnativa di tutte quelle che ha salito in vita sua, e per questo abbandoniamo lo stile in alternata che ha caratterizzato le prime cascate del viaggio. Dovrà essere comunque bravo a gestire le energie e dominare le emozioni, altrimenti potrebbe gettare la spugna e saremo costretti a calarci. Speriamo entrambi di no. Lo ammetto, salire questa cascata piacerebbe molto anche a me. Si parte, senza riscaldamento iniziale, subito su terreno verticale come filo a piombo. Questa volta sono io che sbaglio approccio e non mi concentro sul momento presente, con tanto entusiasmo ma troppa fretta: per non fare aspettare Ale e per dargli l'impressione che il tiro sia più facile di quel che è, scalo meccanico ed impreciso. Ho predicato bene, ma razzolo male e affronto il primo tiro come uno scatto e non come una maratona. Sono spaesato da quella enorme parete di ghiaccio, capire dove andare mi costa parecchia fatica e le distanze mi disorientano. Guardo su e penso manchi poco a raggiungere una piccola nicchia di ghiaccio che vedo là sopra, ma dopo metri su metri, viti, colpi di piccozza e tanti respiri, non l'ho ancora raggiunta. Forse più che una nicchia è una grotta! Dopo sessanta metri mi fermo dove riesco, accaldato, spossato e con le braccia pesanti. Visto che il tiro mi ha distrutto così tanto, non so se sperare che Ale arrivi su abbastanza fresco da riuscire a continuare, o se è meglio che io pensi a me stesso sperando di riprendermi. I prossimi tre tiri non si scaleranno mica da soli. Ale è concentratissimo e dà il meglio di sé. Si ferma ogni tanto a riposare le braccia una alla volta, accompagnando le scrollate verso il basso con profondi respiri. Non si appende mai alle corde, è all'altezza della situazione. Bene, allora tocca a me, si fa sul serio: affronto gli altri tiri con molto rispetto e concentrazione sui miei movimenti. È l'approccio mentale giusto, mi ritrovo di nuovo a mio agio sull'elemento ghiaccio, fluido, a godere dell'arrampicata con gioia. Ale invece, nonostante continui a scalare con concentrazione massima, è sempre più affaticato. A me ogni tiro sembra più facile di quello precedente, è il potere della mente. Ale al contrario è fisicamente sempre più stanco, ma resiste caparbiamente con volontà incrollabile. Buchiamo la cornice sommitale e ci abbracciamo stretti. Che impresa!

Il giorno seguente saliamo Storevullen, una bella cascata sempre di 5 grado nei dintorni. Il terzo e ultimo giorno, prima di metterci in viaggio verso l'ultima tappa, facciamo attività di recupero attivo nella comoda gola di Golsjuvet. Ale si impratichisce con gli agganci salendo una candela triturata dai passaggi e poi mi fa pazientemente sicura su qualche tiro di misto.

Siamo felici di passare ancora un po' di tempo vicino a Hydnefossen, è come se quell'immenso rettangolo di ghiaccio sia stato per un po' il nostro centro energetico. Lasciamo Hemsedal mentre delle nuvolette bianche corrono gentili verso sud, chissà da dove vengono. Abbiamo salito la cascata per eccellenza, eppure non ci sembra di averla colta, come un fiore o un'occasione. Piuttosto è stata lei che ci ha presi a sé, e ci ha poi restituiti al mondo più leggeri, in qualche modo cambiati.

Rjukan
Sentiamo che il nostro tempo in Norvegia sta volgendo al termine. Quando arriviamo a Rjukan non sappiamo bene cosa aspettarci ancora: è uno dei posti più famosi al mondo per scalare cascate di ghiaccio, comodo, relativamente vicino alla capitale ed all'aeroporto. Io sono spaventato che sia troppo affollato, che sia un brusco ritorno alla civiltà con indesiderato anticipo. Il cambio di "mood" è evidente fin dall'inizio: niente campeggi e casette di legno disperse vicino alla foresta, alloggiamo all'Old School Hostel, il luogo dei climbers. L'ostello è vivo, carino ed equipaggiato di ogni cosa: 3 bollitori per preparare litri su litri di tè caldo, un tavolo da lavoro con morse e lime per sistemare ramponi e piccozze, guide e riviste di ogni genere. Anzi, a dire la verità, abbastanza monotematiche su ghiaccio e ghiacciatori. Tutti sono simpatici e sorridenti, per fortuna troveremo questa simpatia anche fuori dall'ostello.

Cascate ce ne sono veramente per tutti i gusti e livelli! Approfitto della confidenza sul ghiaccio che Ale ha acquisito negli ultimi giorni, e della vivace atmosfera dell'ostello, che sicuramente ci fa sentire in buona compagnia, per lanciare la bomba: "Domani facciamo una cascata di sesto grado, in alternata!" Ale è carico, ha voglia di provarci, anche se ovviamente non è convinto del tutto, come quando uno pensa a qualcosa di nuovo che non ha mai fatto. Io so che l'ho sparata grossa, che ho una grande responsabilità e che se Ale non se la dovesse sentire potrebbe vivere la fine del viaggio come un fallimento. So anche però che l'enorme candela di Juvsøyla è in condizioni perfette, e ho fiducia nel mio amico ed allievo. Tutto fila liscio come l'olio, Ale scala perfettamente a suo agio e mi recupera scattando qualche fotografia. È in estasi. Io ripenso a tutto il percorso fatto dalla nostra cordata negli ultimi anni: questo momento mi sembra il coronamento di una carriera da ghiacciatore, più che di un viaggio. "Dopo questa, Ale, possiamo anche andare a casa!" Mentre ci caliamo sulla cascata, una grossa frana colpisce il canale di avvicinamento giusto appena 15 minuti prima del nostro passaggio. Un miracolo che nessuno venga coinvolto, visti i numerosi ghiacciatori presenti in zona. I giornali il giorno seguente parleranno dell'incidente sfiorato e la polizia indagherà sui lavori della centrale idroelettrica. Noi riflettiamo sul rischio enorme ma ineliminabile che abbiamo corso. Il rischio zero non esiste e il confine tra euforia e tragedia è sottile come la linea tra luce e ombra.

In cima a Juvsøyla avevo davvero pensato che dopo una cascata del genere, salita in alternata, ci rimaneva poco da fare e saremmo potuti anche andare a casa. Invece abbiamo ancora un giorno a disposizione. Ale è stanco psicologicamente e fisicamente dal climax di impegno che sono state le ultime salite, e dai sette giorni passati al freddo. Potremmo rilassarci e cercare dei souvenir, oppure salire una facile linea di ghiaccio come defaticamento, ma la mia proposta è differente: si chiama Lipton - WI7. La cascata Lipton prende il nome dall'azienda scozzese produttrice di tè, dato il colore stranamente giallastro del ghiaccio. WI7 è il grado dato alle cascate più effimere e difficili del mondo. Normalmente per raggiungere il festone che pende nel vuoto bisogna salire con movimenti acrobatici ed in traverso alcune frange di ghiaccio poste sotto un caratteristico tetto, oppure salire direttamente su roccia. Al momento le condizioni sono eccezionali, la fragile colata, che si forma e crolla diverse volte ogni stagione, tocca terra. Ale potrà scalare tranquillamente da secondo di cordata, appendendosi alle corde quando vorrà e avrà l'occasione unica di toccare con mano una cascata mitica. Per quanto mi riguarda la sua sicura paziente sarà un regalo. Mai avrei pensato di poter tentare una salita così impegnativa durante questo viaggio.

La notte dormo male, preso dai dubbi e dai ripensamenti che accompagnano le incognite. Non mi capitava da tanto tempo. La mattina seguente ce la prendiamo comoda e arriviamo all'attacco dopo due locals norvegesi. Sono contento perché testeranno la solidità della struttura al posto mio e puliranno il ghiaccio, ma la lunga e paziente attesa alla base è gelida e snervante. Quando finalmente tocca a me, guardo Ale negli occhi con riconoscenza e parto deciso. Sono concentrato e fluido, come il ghiaccio sembra sfidare la gravità e solidificare con forme strapiombanti, così io mi sento privo di peso e tentennamenti. È come se fossi dentro un palazzo di cristallo, devo stare attento a tutto quello che tocco. Tuttavia, sfruttando il lavoro fatto da chi è salito prima di me, salgo veloce e mi diverto anche più del previsto. Ale scala bene, lotta e arriva in sosta senza mai appendersi alle corde. Ha dato tutto, ha salito il tiro più impegnativo della sua vita, ma Lipton è composta da due lunghezze, quindi siamo a metà. Anche il secondo tiro è lungo e con una difficoltà che non lascia scampo, ma per fortuna la struttura è più solida. "Gio, quando scalerai il prossimo tiro, dimmi com'è. Se è duro come il tiro sotto non ce la faccio a salirlo, sono cotto. Alla peggio recuperi le corde e ti cali in doppia. Io ti faccio sicura e poi ti aspetto qua." Sono commosso dal supporto di Ale che, come uno scudiero, oggi sta facendo il possibile per aiutarmi a raggiungere il mio sogno. Di pari passo, mentre parto per il secondo tiro, mi accompagna la tristezza. Mi dispiacerebbe se Ale finisse questa esperienza in Norvegia rinunciando all'ultimo tiro. Forse ho tirato troppo la corda, o meglio potevo tenerla un po' più tesa nel tiro prima, per scaricargli un po' di peso ed aiutarlo. Accompagnato da questi pensieri pesanti, come inizio a muovere le piccozze sento le braccia che si gonfiano di fatica. Accelero ma la sensazione di ghisa sale più veloce di me, sono veramente stanco. Prima di allontanarmi troppo dalla sosta e non avere più possibilità di comunicare con Ale, mi giro verso il basso e gli urlo con le poche energie che mi rimangono: "Mi dispiace, devo essere sincero, è più faticoso questo del tiro sotto!" Arrivo alla sosta e tiro forte la corda arancio: è il segnale che sono in sicurezza, lo usiamo quando non ci vediamo e non ci sentiamo. Recupero le corde e con stupore mi accorgo che Ale è partito dalla sosta per provare a salire l'ultimo tiro, nonostante le mie parole poco incoraggianti. Tiro le corde con le ultime energie rimaste per aiutarlo. Sono raggiante, quando lo vedo sbucare fuori dal missile verticale di Lipton. "Oggi il regalo lo hai fatto te a me, grazie!" Quattro giorni dopo ci hanno informato che un calo delle temperature di 20 gradi ha provocato una forte contrazione nel ghiaccio a Rjukan e che Lipton è crollata.

Mi lego l'asciugamano e cammino per il corridoio strisciando le ciabatte per terra e stropicciandomi gli occhi. Ripassare con la mente questi dieci giorni del mio lavoro di Guida Alpina in Norvegia è stato fantastico quasi quanto viverli. Un viaggio perfetto sotto ogni punto di vista: abbiamo visitato tre luoghi molto diversi e ognuno a modo suo particolare, abbiamo salito tutte le cascate in condizioni ideali, con un crescendo di difficoltà, emozioni ed amicizia incredibile. Mi sento proprio fortunato. Entro in camera, Ale mi guarda con un sorriso enorme: "Non poteva andare meglio di così."

di Giovanni Zaccaria

Giovanni ringrazia: Scarpa Spa, Salewa, Climbing Technology, Elbec




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