Nanga Parbat - il film sulla storia di Reinhold e Gunther Messner e sulle scelte
C'è un punto oltrepassato il quale nulla potrà essere come prima. Nanga Parbat - il film di Joseph Vilsmaier che mette in scena (in fiction) una delle più stupefacenti imprese di Reinhold Messner e insieme quella che gli causò in assoluto il dolore più grande: la perdita del fratello Gunther - parla proprio di questo. Di come l'alpinismo, ma anche la vita, possano essere segnati per sempre da una scelta che, ineluttabilmente, s'intreccia con un destino imperscrutabile. E' una grande storia di montagna e di vita. Anzi è una storia di straordinario alpinismo su una montagna mitica. Appunto quel Nanga Parbat, la grande montagna del Karakorum Himalayano, che per tutti gli alpinisti è uno dei simboli più carichi di significati e di storie. Tanto che per i tedeschi è "la montagna del destino". Mentre per Reinhold Messner è la montagna del "suo destino", quella che lo segnerà per sempre.
Tutto, o meglio quel punto di non ritorno di cui parlavamo, accadde nel 1970. Esattamente il 27 giugno del 1970. Quel giorno Reinhold doveva essere da solo in vetta al Nanga Parbat. Così non fu. Gunther, il fratello, di sua iniziativa lo seguì e lo raggiunse poco sotto la cima. Erano senza corda e senza materiale da bivacco. Una vera "follia", lo sapevano entrambi. Stavano oltrepassando le loro colonne d'Ercole. Raggiunsero la vetta completando per la prima volta la scalata della mastodontica parete Rupal e realizzando la terza salita assoluta del Nanga. Un'autentica impresa che da qui in poi si trasformerà in tragedia.
Quello che successe dopo tutti gli alpinisti lo sanno. Fu un'odissea inenarrabile. Basti dire che ci vollero altri due giorni perché Reinhold ritornasse alla vita, alla base della montagna. Ma era da solo. Lui e Gunther avevano preso una decisione impossibile, l'unica che nelle condizioni in cui si trovavano potevano prendere. Erano scesi per lo sconosciuto versante Diamir. Così avevano compiuto anche la prima traversata di un Ottomila. Un'impresa nell'impresa. Una cosa incredibile. Ma appunto era solo, più morto che vivo, distrutto dalla morte del fratello e nessuno poteva aiutarlo…
Fermiamoci qui. Il film va visto e vissuto. Soprattutto perché nella pellicola il racconto di quei momenti intensi e tragici s'intreccia con il prima e anche il dopo. Ci mostra i fratelli Messner da ragazzini. La personalità - sicuramente non "facile" - che da subito Reinhold, il fratello maggiore, dimostra. Quel suo modo di essere così diverso e contro le regole. La sua innata passione per la montagna. Le prime grandi scalate con Gunther in Dolomiti. Il suo essere visionario e in perenne conflitto con l'autorità paterna. Ma anche, e in maniera diversa, con quell'establishment alpinistico, rappresentato nel film da Karl Maria Herrligkoffer, suo capo spedizione al Nanga Parbat.
E poi i dissidi con con i suoi compagni di spedizione. Le polemiche successive ai fatti. Le accuse anche di aver abbandonato il fratello. E, non per ultima, la figura della madre e... quell'impalpabile "senso di colpa". Tutto per arrivare a quel momento, a quel culmine da cui non si può più tornare indietro e che è sempre impossibile accettare fino in fondo. E' una grande e appassionante storia di alpinismo. Ma è anche una storia "universale" proprio perché il film parla anche delle scelte, che sempre si devono fare, e sulla necessità di essere consapevoli delle conseguenze che portano in sé. Parla della ricerca continua di un equilibrio difficile e a volte quasi impossibile. E' quello stesso equilibrio "impossibile" che Reinhold Messner, con il suo alpinismo, ha sempre esplorato e portato al limite di non ritorno, assumendosene sempre le responsabilità. Anche per questo Nanga Parbat è un film da vedere, perché racconta un alpinismo che, con le sue luci ed ombre, ci aiuta ad andare oltre quel "destino" che ci può schiacciare.
di Vinicio Stefanello
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NANGA PARBAT
Due fratelli, una montagna fatale
regia: Joseph Vilsmaier
protagonista: Reinhold Messner
anno produzione: 2009
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