Sul Monte Duranno e Cima Gea nelle Dolomiti d’Oltrepiave due vie nuove di Luca Vallata & Co
Nel romanzo a fumetti Sirat al Bunduqiyyah - Favola a Venezia – di Hugo Pratt, Corto Maltese, dopo tante ricerche e peripezie scopre che la Clavicola di Salomone, lo smeraldo magico che ha tanto cercato, si trova infine, magicamente, nella sua propria scarsèlla.
In maniera singolarmente analoga, in questi ultimi tempi le limitazioni dovute alla pandemia ed alcune altre questioni, mi hanno portato a guardarmi meglio nelle tasche e ad osservare con uno sguardo diverso le montagne delle immediate vicinanze di casa. Da questa ricerca ne sono uscite due nuove linee sulle Dolomiti D’Oltrepiave, aperte con compagni di avventura nuovi e vecchi, che personalmente mi hanno dato tanto e tantissimo.
La prima linea corre lungo la parete sud del Naso del Duranno, le sue rocce gialle e aggettanti sono ben visibili dal Rifugio Maniago. L’unico itinerario esistente prima del nostro su quella sezione di parete è quello di Sisto Degan, che sale indicativamente la grande spaccatura di destra.
Per salire sono stati necessari tre diversi tentativi, nel corso dei quali si è ben consolidata la cordata inedita composta da me, da Francesco Lorenzi di Cimolais e dal bellunese Giacomo De Menech.
La roccia che abbiamo incontrato è di qualità molto buona nella parte iniziale e poi peggiora decisamente nella sezione superiore; la via presenta difficoltà massime di VIII- obbligatorio cui si somma una sezione di artificiale, un traverso orizzontale verso destra che ci ha permesso fortunosamente di raggiungere il grande diedro finale ed aggirare gli enormi strapiombi che caratterizzano la parte finale del Naso.
La seconda linea invece è stata per me un'avventura dal sapore d'altri tempi. L'amico Mauro Corona mi aveva parlato dell'esistenza di una montagna con una grande parete ovest che si affaccia sul Cadore, accessibile da una laterale della Val Cimoliana; Cima Gea il suo nome. Era già stata sognata e tentata da lui in persona assieme al feltrino Diego Dalla Rosa ma, a detta sua, anche Ignazio Piussi l'aveva corteggiata prima di lui. Sapevamo poi, grazie alla guida Berti delle Dolomiti Orientali, che la cengia che traversa la parete ovest era stata seguita nel 1924 quasi fedelmente da Severino Casara assieme ai fratelli Olivotto.
Tutte le informazioni che avevamo a disposizione consistevano in questo, a ciò si sommerà poi anche una foto, fornitaci da Paolo Colombera, di quella che – forse - era la nostra parete. Non restava altro da fare che andare a vedere; rispondono all'appello i soci Davide Cassol e Giacomo De Menech.
La prima perlustrazione si è svolta senza tante ambizioni di salita, dopo un pernottamento a Casera Cavalet siamo scesi lungo il costone mugoso che contorna la parete sulla sinistra e abbiamo solamente percorso la cengia Casara, seguendola questa volta fedelmente. Un vero e proprio viaz, con passaggi delicati all’inizio.
Pochi giorni dopo, nella mia settimana di ferie, siamo tornati all'attacco e dopo un'altra notte in casera abbiamo sceso il costone con tre doppie finali su mughi fino alla cengia inferiore.
Il primo sopralluogo non ci aveva permesso di intravedere l'esistenza di linee di salita logiche, ed è stata una piacevole sorpresa il rendersi conto, percorrendo la cengia, dell'esistenza di un sistema di fessure e camini. La salita si poteva tentare.
Dopo i due tiri iniziali, un grande canale fradicio ci ha costretti ad una calata di dieci metri alla ricerca di una via alternativa di salita che abbiamo trovato sulla sinistra. Siamo riusciti a salire quindi cercando la linea più semplice tra placche di roccia pessima e risolvendo una difficile fessura in arrampicata artificiale, la quale, ahimè, è stata poi completamente schiodata dai secondi per necessità, dal momento che avevamo portato con noi troppi pochi chiodi.
A questo proposito: l'unico chiodo rimasto sulla lunghezza di artificiale si trova poco prima della citata fessura, su uno spigoletto grigio ed ha una storia particolare. É un lungo korg, un chiodo da “erba gelata” di quelli utilizzati dagli arrampicatori scozzesi e mi era stato regalato tanti anni fa da Ennio, un amico di Bergamo, il quale mi aveva detto profeticamente: "vedrai che mi ringrazierai quando lo utilizzerai". Mi sento di ringraziarlo a questo punto, il chiodo è entrato nella roccia per quasi tutta la sua notevole lunghezza e mi ha permesso di proteggere la sosta e di poter pensare di affrontare la successiva fessura difficile.
La salita è poi continuata con un traverso marcissimo verso destra il quale ci ha fatto raggiungere il camino bagnato finale, che con una, a questo punto piacevole, doccia ci ha fatto raggiungere la cengia Casara. Da lì, siamo scappati dalla parete percorrendo a ritroso la via del 1924 per dormire di nuovo alla Casera Cavalet. Il giorno seguente siamo poi tornati in parete per salire gli ultimi tiri verso la cima, che anche in questo caso si sono rivelati per niente banali ma ci hanno regalato la prima ed unica grande clessidra dell’itinerario.
Così è nata la prima via sulla parete Nord-ovest di cima Gea, una parete di quasi 600 metri, vergine nel 2021 nelle Dolomiti.
Un ringraziamento doveroso va ai gestori del Rifugio Maniago che ci hanno seguito durante la prima salita, a Mauro Corona per averci spinto all’azione su Cima Gea, a Italo Filippin per averci spiegato come arrivarci, a Paolo Colombera per la foto della parete e a Ennio Spinarelli per l’indispensabile korg.
di Luca Vallata
Si ringrazia SCARPA
Info: samatarimountainguide.com
Aggiornamento del 14/08/2021
A seguito della morte del medico italiano Gino Strada, fondatore della ONLUS Emergency, il 13 agosto, gli apritori hanno deciso di dedicare al ricordo di questo importante personaggio la loro nuova via a Cima Gea.