Marco ed Hervé Barmasse, nuova via sulla Sud del Cervino
1220 metri tutti in giornata per percorrere una linea perfetta, quel couloir che divide in due l'immensa sud del Cervino sbucando a 200m dalla cima, e che in molti avevano tentato. Era il sogno di Marco Barmasse quella via - l'aveva tentata per la prima volta giusto 24 anni fa. Ed era uno dei sogni di Giancarlo Grassi, in assoluto uno dei più grandi alpinisti e ghiacciatori. Ma forse era destino che il cerchio si chiudesse per opera di una cordata speciale: quella delle guide alpine e maestri di sci Marco ed Hervé Barmasse. Padre e figlio legati alla stessa corda per una difficile, aleatoria e anche pericolosa meta comune. Per condividere un sogno. Vi sembra possa bastare per dire che questa è una bella storia, non solo per l'alpinismo?
Intervista ad Hervé Barmasse
Hervé, dopo la tua prima solitaria e prima ripetizione nel 2007 della via aperta da tuo padre Marco con Walter Cazzanelli e Vittorio De Tuoni sulla sud del Cervino, ora ecco questa nuova via, sempre sulla sud, questa volta in cordata con tuo padre... Che storia c'è dietro?
Come alpinista sono cresciuto sulla Sud del Cervino: ho iniziato aprendo una via nuova sullo “scudo”, poi la prima solitaria della via Casarotto Grassi, della via Deffeyes, della Direttissima e dello Spigolo dei Fiori ed ora questa nuova esperienza, unica, emozionante, oltre che difficile sia dal punto di vista tecnico che delle condizioni in sé della via: tanta neve farinosa e molto, molto freddo. Ma quello che per me è veramente importante, ciò che rende questa salita unica ed indimenticabile è l’aver vissuto questa avventura con mio padre.
Vi eravate preparati per questa via?
Nessuna preparazione specifica, ma avevamo cuore da vendere e tutto è andato per il meglio.
Che cordata è quella dei Barmasse, padre e figlio? Avete arrampicato insieme molte volte?
La cordata dei Barmasse è una cordata di montanari e guide alpine del Cervino che, cresciuta a distanza di una generazione, ha vissuto la propria passione per la scalata sulla Gran Becca (così viene chiamato da noi il Cervino) e sulle altre montagne del mondo. A differenza di quello che si potrebbe pensare io e mio padre ci siamo legati insieme poche volte, ma in quelle rare occasioni ho imparato molto di più che in tante altre salite. E’ stato lui ad insegnarmi che in montagna, oltre alla preparazione tecnica, si deve sempre usare la testa, la prudenza e la sicurezza, che bisogna saper ascoltare il proprio istinto e la paura. E’ stato lui a farmi capire che senza una forte passione per la montagna, la guida alpina o l’alpinista non sono mestieri da intraprendere.
C'è un capo cordata?
Il capo cordata? Per me rimarrà sempre lui, mio padre, il più forte alpinista e la più brava guida alpina del mondo.
Descrivici questa nuova via, dal punto di vista tecnico...
Questa via segue una linea naturale, quella di un Couloir che solca e divide in due la parete sud del Cervino e che termina a 200 m dalla vetta per una lunghezza complessiva di 1220 m. E' una linea già tentata da mio padre 24 anni fa e da altre cordate negli anni successivi. Giancarlo Grassi sulla rivista Lo Scarpone aveva descritto questa via come una delle ultime grandi salite delle Alpi, il suo sogno nel cassetto. Non mi dilungo sui gradi M, anche perché le valutazioni dipendono spesso dalle condizioni nel quale si affronta una via. Credo che questa sia una salita molto difficile, con protezioni molto distanti - 4 ogni 60 m in alcuni tiri – resa ancor più dura dalla qualità della roccia, che preferisco definire “di difficile interpretazione” per non dire “non buona”, e poi anche se di couloir si tratta, di ghiaccio non ne abbiamo quasi mai trovato.
Qual è lo spirito con cui avete affrontato questa grand course?
Lo spirito è stato quello di sempre. Eravamo emozionati come due alpinisti alle prime armi, felici di vivere la nostra passione più grande sulla montagna più bella del mondo. Vista la tanta neve farinosa sapevamo che saremmo potuti tornare indietro quasi subito ma non ci importava perché dopo tanti anni eravamo di nuovo legati insieme a giocarci le nostre carte per riuscire in qualcosa di nuovo.
Il punto più difficile della salita?
Quando hai una protezione a 15, 20 m di distanza, su roccia “friabile”, stringendo a mani nude prese imbiancate dalla neve, con i ramponi spalmati su placche lisce, non ti chiedi quanto può essere difficile, ma come fare a non cadere.
Essere con tuo padre ti ha aiutato?
Un altro compagno, in quelle condizioni, mi avrebbe obbligato a tornare indietro mentre mio padre, che conosce bene suo figlio ed il Cervino meglio di chiunque altro, sentiva che con calma, avremmo risolto ogni passaggio e saremmo riusciti a raggiungere il nostro obiettivo. La sua tranquillità e la sua esperienza sono stati l’aiuto più grande.
Cosa ti ha detto durante la salita?
Quando si sale una via difficile in cordata con il figlio, sul Cervino, in quota, con condizioni non buone e dunque rischiose, penso non sia bello essere nella situazione in cui si è trovato mio padre; agli incitamenti o ai complimenti, seguivano sempre le raccomandazioni, il richiamo alla prudenza, e a volte anche l’esortazione a lasciar perdere e tornare indietro.
E dopo cosa vi siete detti?
Arrivati alla Capanna Carrel, abbiamo scherzato su tutto quello che c’era successo durante la salita: le indecisioni, i tre guanti caduti nel vuoto, i dubbi, la neve instabile, l’uscita della via così vicina ma che sembrava non arrivare mai, la mia frontale che rotolava giù nel canale e che miracolosamente lui ha preso al volo…
1200 metri di via nuova, tutta in giornata, in una grande e difficile parete che non dà mai certezze. Fatta con questo stile quella di tuo padre ci sembra un'impresa nell'impresa... tu che ne pensi? Che alpinista è Marco Barmasse visto da suo figlio?
Dopo aver realizzato questa “prima” so con certezza che se mio padre avesse portato a termine questa salita nel ‘85 in libera ed in giornata, sarebbe stata una vera e propria rivoluzione nelle vie di misto. Lo dico perché ancora oggi questa resta una salita difficile sia dal punto di vista tecnico che mentale. Senza la possibilità di progredire e proteggersi sul ghiaccio, era vietato cadere. Alla luce di tutto questo non posso che fare i complimenti a mio padre per essere riuscito a portare a termine questa impresa all’età di 61 anni.
Avete passato la notte alla capanna Carrel. Che notte è stata? Viene da pensare che difficilmente la scorderete...
Prima di farci rapire da Morfeo, abbiamo riscaldato due birre, mangiato un pezzo di fontina e parlato del Cervino e dei nostri prossimi progetti comuni. L’atmosfera intorno a noi era di pace, e anche se non ci siamo detti niente di speciale, eravamo coscienti del fatto che questa salita era ed è la più bella fatta fino ad ora; la salita di un padre e di un figlio e tutto il resto è solo contorno.
Padre e figlio con la stessa passione per l'alpinismo e la montagna... Cosa ha significato per te, per le tue scelte di vita?
Ricordo che da piccolo, ascoltavo incuriosito i racconti di mio padre sulle sue avventure in montagna e per me, le sue diapositive, erano migliori di qualsiasi film alla televisione. Ero affascinato da tutto ciò che riguardava la sua vita verticale e quando la sera dal letto lo sentivo preparare lo zaino per un’altra impresa, sarei voluto partire con lui. Ma non ho iniziato subito con la scalata. Ho sciato a livello agonistico fino all’età di 18 anni poi, per colpa di un grave infortunio ad entrambe le ginocchia ho dovuto smettere e abbandonare il mondo delle gare. Dopodichè ho seguito le orme di mio padre e sono diventato maestro di sci e di snowboard e poi all’età di ventidue anni guida alpina ed infine istruttore delle guide; proseguendo così la lunga tradizione di famiglia, rappresento ora la quarta generazione di guide alpine.
Passato, presente e futuro... Cosa unisce gli alpinisti e cosa ti auguri per l'alpinismo del futuro?
L’alpinismo del 2010 segue le tendenze e le mode del momento ma i grandi problemi dell’alpinismo, quelli di 30 anni fa, sono ancora lì che aspettano: Latok 1 e la parete ovest del Makalu, sono solo alcuni esempi. Riuscire in una di queste salite significherebbe portare qualcosa di nuovo e concreto all’alpinismo moderno che spesso con la scusa dello stile alpino e delle salite veloci si dimentica che qualcuno prima di noi ha fatto cose molto più grandi e difficili di quelle che si stanno realizzando oggi.
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