'Luce e Tenebre' alla Pioda di Sciora, il report di Silvan Schüpbach

Dal 6 al 9 marzo, Roger Schäli, Filippo Sala e io abbiamo scalato la parte centrale della parete nord della Punta Pioda, aprendo Luce e Tenebre. Questa sezione della parete, molto ripida e compatta, non era mai stato salita in precedenza e presenta difficoltà estreme. Un altro tassello del mio lungo progetto di esplorare le pareti nord "dimenticate" delle Alpi.
La nord della Punta Pioda (3237 m) domina imponente al centro del gruppo della Sciora in Val Bregaglia. È incredibile che, a parte la via di M. Bellica e J. Obuch (20-21/08/1980) sulla parte destra, nessuno abbia mai toccato questa sezione della parete.
Mi affascina da anni, ma ogni tentativo è stato ostacolato da imprevisti. Anche quest’inverno: a dicembre, con Ines Papert, ho esplorato la parte bassa, ma alla fine del mese mi sono rotto un osso del piede, costringendoci a sospendere il progetto.
Finalmente, il 5 marzo, Roger, Filippo e io saliamo alla Capanna Sciora. Gli zaini sono pesanti, ma la motivazione è alta. In baita c’è molto da fare: sciogliere neve, scavare il camino e riempire la legnaia.
La mattina dopo partiamo presto. A dicembre, nella parte bassa della parete, avevamo già affrontato alcuni tiri su placche, ora invece c’è un semplice nevaio, raggiungiamo velocemente il primo strapiombo. Riusciamo a salire solo 4 tiri: la roccia è friabile e sabbiosa, purtroppo siamo costretti a salire molto in artificiale. Cerco almeno di salire in libera da secondo, cosa che riesce più o meno.
Attrezziamo i primi tiri con corde fisse e torniamo alla capanna. Nonostante la nostra lentezza, siamo euforici: abbiamo raggiunto l’obiettivo iniziale, l’ampio canale di neve.
Il giorno dopo iniziamo la spinta decisiva, da ora in poi restiamo sempre in parete. La partenza è caotica: sistemiamo la capanna alla meno peggio – secondo il libro del rifugio, quest’inverno nessuno è passato, quindi non ci aspettiamo visitatori.
A mezzogiorno raggiungiamo faticosamente la fine delle corde fisse con tutto il materiale per 3 giorni in parete. Filippo e Roger continuano a salire, io preparo il bivacco. Nel pomeriggio, vedo due alpinisti arrivare alla capanna. Proprio adesso, penso, avremmo dovuto pulire meglio! D’altra parte, mi dico, il camino scavato, la legna accumulata e l’acqua sul fuoco dovrebbero compensare un po' per il disordine. Ma mi sbaglio: quando Roger e Filippo tornano al bivacco, scopriamo di essere già condannati sui social media.
Certo, ci sentiamo in colpa e sappiamo di aver sbagliato. Nessuno vuole pulire il disordine altrui. Ma siamo stupiti che le critiche – da parte di un collega che conosciamo bene – non ci siano arrivate direttamente, ma attraverso una gogna pubblica. Proviamo a chiamarlo per scusarci, ma non risponde, così mi tocca mandare un messaggio su WhatsApp.
Passiamo una notte fredda e piena di dubbi. Affrontare le difficoltà della parete è una cosa, essere additati come i "cattivi" un’altra. La mattina dopo ci diciamo: "Ora o mai più!" E infatti, la frustrazione si trasforma in determinazione. Per fortuna, la prima lunghezza del terzo giorno è un caminetto stretto e insidioso, l’ideale per distrarsi...
Più in alto, salgo un diedro ripido che ci porta in diagonale all’ultimo bivacco. Con tutte le buone intenzioni provo a salire in libera (M8), piazzando friend dietro placche instabili mentre sabbia e detriti mi cadono negli occhi. Ma la motivazione svanisce e passo nuovament all’artif, più lento ma più sicuro. Con piacere lascio a Roger l’ultimo tiro, che ci porta alla cengia del bivacco con l’ultima luce. Il povero Filippo, che avrebbe dovuto riposare, ha dovuto invece salire i jumarar e issare gli haulbag sui traversi strapiombanti. Arriva al bivacco esausto come noi.
Il quarto giorno ci libera dal freddo. Sono distrutto, ma Filippo prende l’iniziativa: con una calata e una goulotte, ci porta sulla via normale. In fretta ci porta su terreno misto fino alla vetta, finalmente al sole!
Questa avventura epica, faticosa e selvaggia in una delle pareti più remote delle Alpi, ci resterà a lungo nel cuore. È stata la nostra prima impresa insieme e come team abbiamo funzionato alla perfezione.
Ci auguriamo che in futuro tutti rispettino le regole delle capanne invernali (noi per primi!) e che i conflitti vengano risolti con un dialogo diretto, non attraverso i social.
Buone scalate a tutti!
di Silvan Schüpbach