Kairos aperta in Taghia (Marocco) da Davide Gaeta, Gabriele Gorobey, Guido De Sabbata
Un'altra piccola storia verticale, probabilmente simile a molte altre, ma per noi unica, come ogni momento che abbiamo vissuto in questi giorni intensi. Provo a raccontarvi il processo che ha portato alla nascita di questa nuova linea, i dubbi, la fatica e la lotta contro il tempo...
Fine 2022, io e Davide Gaeta iniziamo a pensare ad un viaggio e fissiamo quasi subito le date, con partenza ai primi di marzo 2023, ma le idee sono ancora molte e ben confuse. Desideriamo un'esperienza un po' diversa questa volta. Io personalmente ho voglia di tornare ad aprire dal basso dopo un lungo periodo in cui, per varie ragioni, non ero riuscito a farlo. Allo stesso tempo, un contorno ambientale, culturale e storico alternativo sta guadagnando per entrambi un'enorme importanza sulla scelta della destinazione. Perciò l'obiettivo del viaggio supera il solo aspetto della scalata in sé, tanto da pensare che negli anni stiamo diventando un po più profondi, o forse solo più vecchi!
All'inizio sono io a proporre, tra le varie mete, Taghia in Marocco. Non ci sono ancora mai stato, e so che merita. Presto però ci ritroviamo abbastanza convinti ad eliminarla dalle opzioni, scoraggiati dal fatto che sia già stata battuta da molti. Nel frattempo, mentre si continua a questionare sulle possibilità, a questo progetto senza meta si unisce anche Guido De Sabbata. Noi tre siamo molto diversi, ma affiatati e grandi amici, abbiamo condiviso svariati viaggi insieme e sicuramente siamo un bel team.
Verso fine gennaio 2023, continuiamo a chattare e inviarci innumerevoli idee, ma incombe la necessità di prendere una decisione una volta per tutte e procedere con l'organizzazione. Io mi trovo in viaggio in Argentina con la mia compagna quando Davide mi scrive che, valutati i costi e i pochi giorni a disposizione, Taghia sembra la scelta migliore. Inizio marzo ci sembra troppo presto per le condizioni, ma pare che finora abbia nevicato pochissimo e decidiamo dunque di osare. Vorremmo aprire una nuova via, cosa che forse non sarebbe la più ovvia da fare, dato che le pareti sembrano abbastanza sature, ma siamo comunque aperti a tutto, anche "solo" a ripetere le famose linee presenti.
Mancano due giorni alla partenza e il meteo sembra un disastro, neve e brutto tempo in arrivo. Da Mohamed, il proprietario della gite dove dovremmo alloggiare, arrivano foto e notizie sconfortanti, è tutto ricoperto da 30 cm di neve. Le temperature sono sotto lo zero e Mohamed scrive "it will be good for climbing from 20th March". Penso subito che dovevamo aspettarcelo e mi sento un po' un idiota. L'indomani mattina dovremmo partire e siamo quasi al punto di cambiare destinazione all'ultimo, siamo indecisi e afflitti. Tuttavia, le previsioni danno tendenza al miglioramento per i giorni successivi, ma resto preoccupato e temo che la neve, sciogliendo, bagnerà le pareti a lungo. Ormai però siamo in ballo, cambiamo i piani per l'attrezzatura e carichiamo nei sacchi maglie termiche, sacchi a pelo e vestiti più caldi.
Dopo un lungo viaggio, raggiungiamo Taghia all'ora di pranzo del 2 marzo. C'è parecchia neve, fa freddo, le pareti sono scure e bagnate, ma in preda alla voglia di scoprire il luogo, ci addentriamo nel canyon in perlustrazione e passiamo estasiati sotto vie mitiche come Axe du Mal, Sul Filo della Notte e La Gran Rouge. La neve a tratti forma accumuli dove si sprofonda alle ginocchia. Le cenge sono piene di neve e le pareti sono sporche. Neanche a dirlo, siamo ovviamente gli unici scalatori in tutta Taghia! Beh ovvio, chi sarebbe così stupido? Camminiamo diverse ore e rientriamo alla gite di Mohamed. Domani andremo alla Paroi de la Cascade, una parete non molto alta sopra al villaggio. Da ancora prima di arrivare in Marocco, avendo studiato con cura relazioni e guida, sapevamo che quella parete potesse essere il nostro piano B in caso di condizioni avverse.
Io e Davide facciamo colazione e saliamo. Arrivati sotto la Cascade penso subito che ho visto piani B ben peggiori! La parete non è imponente come le altre nei dintorni, ma la qualità della roccia ci colpisce. La zona che avevamo studiato prima di partire era bagnata e osservando con attenzione vediamo delle canne che non bagnano mai, sospese più in alto, così intuiamo una linea che potrebbe raggiungerle. Mano a mano che la osserviamo col cannocchiale inizia a piacerci sempre di più. Ci sembra la cosa migliore da fare, sentiamo che questa linea ci sta chiamando, ci guardiamo e sorridiamo. Abbiamo sentito entrambi qualcosa. Riscendiamo al villaggio, prendiamo il trapano e torniamo su con gli zaini carichi. Se ci sbrighiamo abbiamo due ore a disposizione...
Decidiamo di traversare sulla grande cengia e saltare l'apertura del primo tiro, dedicandoci così al secondo. Parte Dave, poi gli do il cambio e raggiungo due grandi buchi su cui decido di fare sosta. Il pezzo scalato non è duro ma molto bello e davanti a me posso finalmente osservare quelle canne che avevo intravisto dal basso. Sembrano fantastiche ma non facili. Si è fatto ormai buio, riscendiamo e raggiungiamo Guido alla gite, raccontandogli subito ogni cosa.
Passo la notte a pensare, non sono ancora convinto di ciò che abbiamo fatto, non riesco a dormire, forse ho agito di impulso e Davide, da tempo ironicamente soprannominato "eccesso di entusiasmo", mi ha forse contagiato con la sua positività senza limiti. Sento che abbiamo poco tempo e non voglio perderne altro. Eppure ho sentito una scintilla e di solito non mi sbaglio. I pensieri che da domani ci sarà il sole mi martellano, forse il canyon si farà più accessibile, rendendo possibile aprire la linea che cercavo, più verticale e più lunga di quella che abbiamo appena attaccato. Alla fine però, mi convinco che con le attuali condizioni resti una scelta saggia rimanere lì, al sole e più vicini al villaggio. Finalmente arriva la luce e anche i miei compagni si svegliano. Non vedevo l'ora di comunicare i miei pensieri e i dubbi anche a loro. Davide mi guarda e sorride, mi conosce e sa che non ho pace. Mi dice: "Tranquillo, torniamo sulla via e poi vedremo!".
Risaliamo la corda fino al punto raggiunto la sera prima e ci assale un dubbio sulla direzione da seguire, alla nostra sinistra si trova una sezione spettacolare e apparentemente più facile ma bagnata, oppure sopra di noi si trova la linea vista il giorno precedente sulle canne marroni. Dopo vari confronti decidiamo il da farsi. Parto sulle canne a destra e, passando su prese incredibili, mi trovo presto su un boulder secco con un allungo abbastanza morfologico. Scalo con difficoltà pulendo le prese, cliffo e metto lo spit, questo tiro sarà fastidioso da liberare, penso. Guido mi dà il cambio ed è pieno di energia, scalpitava là sotto e aspettava il suo momento per sfogare finalmente la sua cavalleria sugli appigli.
Un'altra giornata vola via, siamo saliti, anche se non di molto. La roccia è bellissima, ma la prima volta che stringi gli appigli senti puntine e corallini che si piantano nei polpastrelli e si rompono sotto ai piedi. Tutto ciò rende l'apertura dal basso più complicata e lenta. Ci rendiamo presto conto però, che una volta spazzolate le prese sono davvero incredibili. Ci stiamo muovendo non velocissimi ma è una piccola sinfonia a sei mani e ognuno di noi vuole fare la sua parte.
Dopo aver superato le maggiori difficoltà della via, ci troviamo alle prese con una roccia incredibilmente dura da forare e questo causa alcuni problemi con le punte del trapano. E così solo il giorno successivo riusciamo a terminare la via salendo un pilastro molto estetico qualche decina di metri a destra rispetto all'idea iniziale. Finalmente usciamo dalla parete e corriamo fino in cima per la fatidica foto di vetta, sporchi e stanchi ma al settimo cielo.
Aprire una via è un'attività che mi "stressa" sempre, perché sento di dover fare qualcosa per me ma soprattutto per gli altri, ci tengo a lasciare un lavoro il più possibile impeccabile. Comunque mi fido dei miei compagni che sentono lo stesso dovere, sono ottimi scalatori e sanno interpretare la roccia e prendere le decisioni giuste. Così ripuliamo con cura la via e aggiungiamo qualche spit dove era chiodato troppo lungo. La via sembra così bella che vogliamo lasciare il più possibile le cose fatte bene, affinché venga ripetuta. Manca da chiodare solo il primo tiro ancora rimasto intoccato, quello al di sotto della cengia che abbiamo traversato.
Il tempo è sempre splendido, il sole fa il suo lavoro, la neve sta sparendo e le pareti sono sempre più asciutte. Queste sono condizioni davvero buone. Così i nostri animi saltano dall'idea iniziale di non scalare, presi dallo sconforto, a quella di non riposare mai! Il giorno seguente, che dovrebbe essere quello di "recupero" decidiamo di andare nel canyon, bivaccare lì e aspettare il mattino per ripetere una via spettacolare su roccia davvero incredibile, l'Axe du Mal, anche se poi non arriviamo fino in cima, ma ci addentriamo per ore tra le pareti vertiginose esplorando questo angolo di natura incontaminato.
Siamo così già a giovedì, iniziamo a sentire la fatica, ma non c'è tempo e dobbiamo sfruttare ogni istante, torniamo alla nostra via e decidiamo di chiodare il primo tiro dall'alto. Non lo avevamo mai fatto su una multipitch ma questa volta ci sembra davvero una decisione saggia, perché abbiamo davvero poco tempo. Il tiro è visivamente complesso e dobbiamo ripulire per bene la roccia. Alla cengia sovrastante si arriva comodamente a piedi, più il solito breve traverso che stiamo ormai ripetendo da giorni. Sulla parete della Cascade ci sono altre tre linee, e tra i loro apritori spiccano nomi di rilievo tra cui Petit, Oddo e Hemetzberger. Proprio quest'ultimo, su Tabula Rasa, aveva preso la stessa decisione di chiodare dall'alto il primo tiro.
Ma senza cercare scuse, la cosa ci sembra logica e non abbiamo il tempo materiale per fare diversamente, così chiodiamo e ripuliamo questo primo tiro davvero fantastico, che dapprima si sviluppa su uno strapiombo solcato da una bellissima canna poi su un bello strapiombo fisico su prese discrete. Alla fine ne salta fuori il tiro con più spit, ma la cosa è coerente con la scelta di chiodarlo dall'alto.
Mancano gli ultimi due giorni, la via è pronta e ripulita, non ci resta che tentare la salita in libera. Nel frattempo il clima è decisamente cambiato, siamo costretti ad aspettare le 3:00 del pomeriggio per trovare le condizioni per scalare, altrimenti farebbe troppo caldo e la pelle è già finita. Decidiamo anche di dormire vicino alla parete sperando di scalare già la mattina presto del sabato, ultimo giorno utile del viaggio. All'indomani però fa comunque troppo caldo e non ci resta che aspettare di nuovo il pomeriggio, così che ci troviamo in cima un attimo prima dell'arrivo del buio, ma soddisfatti di aver liberato tutti i singoli tiri.
Arrivati alla conclusione di un viaggio dove tutto poteva andare storto, restiamo felici che, con un po' di fortuna e tanta fatica accumulata, alla fine siamo riusciti ad aprire una bellissima via. Mancherebbe solo la libera integrale, ma per questa volta davvero non c'è stato il tempo e lasciamo Taghia in un caldo intenso senza più neve sulle pareti ma con la certezza di aver fatto un buon lavoro e di cui andare fieri. Non avevamo immaginato una linea così ma alla fine ogni cosa è andata al suo posto, ogni tassello si è incastrato e anche questa volta "in un modo o nell'altro" il puzzle è completo. Determinazione e un pizzico di fortuna sono sempre ingredienti fondamentali. Ci siamo divertiti, abbiamo aumentato l'affinità di squadra e ancor prima del termine di questi giorni già si discuteva di nuovi progetti.
I gradi proposti speriamo siano giusti e sono frutto di un confronto nella frenesia di queste giornate, e ovviamente attendiamo ripetizioni. Per concludere parlo del nome della via. Volevamo dedicare la via agli asini che ci hanno accompagnato in questi giorni e ci hanno tenuto compagnia con i loro inconfondibili ragli, riecheggiando in tutta la valle, ma poi Guido, ragionando sul fatto di quanta attenzione avessimo concentrato intorno al Tempo, se n'è uscito con Kairos. Il termine viene dagli antichi Greci, che con la loro rinomata saggezza coniavano più termini per indicare diversi concetti di tempo. Kairos è, tra tutti, il "momento giusto", quell'attimo non quantificabile nel quale qualcosa di speciale accade. Che sia stato trovato tanto con la perseveranza del trio quanto grazie a un pizzico di fortuna è indubitabile, in ogni caso indica molto bene quello che questi giorni hanno rappresentato per noi.
Sbisighin, Gabriele Gorobey
Un grande ringraziamento va a chi mi supportato in questa occasione: E9, Ferrino, SCARPA