In ricordo di Massimo Giuliberti
Massimo Giuliberti, Accademico del Cai e istruttore della scuola Giusto Gervasutti di Torino è mancato in Tanzania nei pressi del campo base del Kilimanjaro. Un incidente banale per un alpinista di grandissima esperienza con un curriculum smisurato di grandi scalate nelle alpi e su alcune vette extraeuropee. Massimo era nato nel 1958 ed era un riferimento per la Scuola Giusto Gervasutti e per il Club Alpino Accademico dove è stato presidente del Gruppo Occidentale, ma soprattutto è stato un maestro per tantissimi giovani che ne hanno immensa riconoscenza. Lascia due figli Carlo alpinista e scalatore da 8c e Laura più intellettuale entrambi con una forte impronta del papà. Il ricordo di Andrea Giorda
Il 3 settembre alle ore 18 a Torino al Monte dei Cappuccini, Massimo Giuliberti verrà ricordato con tutti quelli che vogliono partecipare.
Massimo, all’apparenza così razionale, era un uomo dalle passioni smisurate. Contenute nei modi sabaudi, mai gridate, ma forti e prorompenti. Recentemente aveva coronato il suo sogno di avere una casa in dolomiti ad Alleghe e non gli pareva vero che dalla finestra principale si vedesse in tutta la sua immensità la “parete delle pareti” la Nord Ovest del Civetta. Una piccola foto nella libreria di quella casa che lo ritraeva con il “Greco” George Livanos, era il suo orgoglio.
Quante volte, partendo in piena notte nel fine settimana dopo il lavoro da Milano o da Torino, divorava vioni di mille metri e più, con l’obbligo di essere al lunedì sul lavoro. Le dolomiti erano sicuramente le sue montagne del cuore, pur essendo torinese aveva un curriculum di scalate nelle alpi orientali difficilmente eguagliabile, ora sognava, nel suo “buen retiro” di Alleghe, di poter vivere quei monti con i ritmi di un uomo ancora prestante ma che si avvicinava ad una età matura, più riflessiva.
Massimo, tuttavia non era tipo da pensione, quante volte l’ho esortato a mollare ogni impegno lavorativo e godersi gli ultimi anni in piena libertà come avevo fatto io. Lo conoscevo dai tempi del liceo, avevamo studiato all’università Agraria e poi entrambi, per un caso strano, eravamo diventati dirigenti nel mondo delle vendite. Io alle Pagine Gialle lui una lunga e brillantissima carriera nel “Food” Agnesi, Danone ….poi direttore del personale in aziende simbolo e di prestigio come la Martini &Rossi e la Unichips, quella delle patatine San Carlo. L’ultima volta che ci siamo visti, pochi mesi fa mi disse che aveva pianificato di smettere di lavorare, non so se l’avrebbe fatto.
L’Alpinismo, quello con la A maiuscola e la sua storia hanno guidato tutta la carriera alpinistica di Massimo, si era fissato di ripetere tutte le vie Giusto Gervasutti, anche le più repulsive come quelle in Delfinato, la nord ovest del Pic d’Olan o la nord ovest dell’Ailefroide occidentale. In questa ricerca mi contattò quando dovette affrontare la parete simbolo di Gervasutti, la Est delle Grand Jorasses. Una via con pochissime ripetizioni che ancora negli anni 70 richiese ai fuoriclasse Peter Boardman e Joe Tasker grande impegno.
La passione per Gervasutti era condivisa e nonostante fosse tempo che non praticavo grande alpinismo accettai. Patrick Berault, sentito dall’amico Fulvio Scotto, consigliava di passare dalla cresta di Tronchey, ma arrivati sulla verticale della cengia della est non si trovava il passaggio e come spesso accade in questi casi ci fu una accesa discussione se scendere o rinunciare. Io ero per andare e forzai la mano dicendo che se nessuno veniva sarei andato da solo, mi feci passare i friend e i chiodi e stavo per calarmi quando Massimo mi disse, aspetta, vengo anche io. Ne ero certo, avevo giocato d’azzardo ma sul sicuro, Massimo non avrebbe mai separato la cordata. Fu un’esperienza indimenticabile, insieme coronammo il sogno di una vita, quante volte avevamo letto da ragazzini il tormentato racconto di Gervasutti su quella parete mitica.
Proprio il saper recitare a memoria le parole di Gervasutti ci salvò da un errore che può costare caro, arrivati a più di metà parete si trova una fessura larga e invitante, bisogna abbandonarla per un ostico traverso a sinistra difficile da proteggere. Gervasutti dice di aver piantato un chiodo e di essersi calato…il chiodo è ancora lì, con il vecchio moschettone in ferro, per me e per Massimo vedere quel chiodo è stato un momento di grande commozione, era come aver incontrato il nostro eroe da ragazzini, un segno che aveva resistito negli anni, su quella parete selvaggia, per arrivare fino a noi.
Massimo era un riferimento, una voce autorevole in tutti gli ambienti che ha frequentato. Insieme, sfruttando le nostre esperienze professionali abbiamo organizzato eventi che hanno lasciato il segno come il Convegno annuale del Club Alpino Accademico di Bard del 2007 in valle d’Aosta con Guido Magnone, primo salitore della ovest del Dru e molti altri protagonisti, ci si confrontò sull’etica di apertura delle vie, con un indimenticabile intervento di Rolando Larcher custode della lealtà in parete.
L’ultimo convegno del CAAI organizzato insieme è stato al Palazzo Ducale di Genova nel 2016 con diversi ospiti tra cui Patrick Gabarrou e Alessandro Gogna sul tema Alpinismo e Avventura. Massimo è stato un maestro per tanti giovani alpinisti, sono in tanti a dovergli qualcosa e sentirne la mancanza, nella vita e in montagna era un generoso, spesso severo davanti a comportamenti o atteggiamenti che non condivideva.
Quando muore qualcuno di caro si tende a farne l’apologia, Massimo aveva il suo carattere, non facile, spesso ci siamo trovati a discutere in parete o nell’organizzazione degli eventi, eravamo complementari, lui più istituzionale io più spudorato e creativo, ma nei momenti che contavano ha sempre prevalso l’immensa fiducia che ognuno aveva nell’altro. Avevamo la stessa età sessanta anni, a sessanta anni non sei vecchio ma come dice Vasco Rossi, “sai che il treno arriva alla stazione” e avrei voluto ancora qualche anno per arrivarci insieme.
Ciao Massimo.
Andrea Giorda - Caai Alpine Club