Il terzo uomo sul Sudario, con Desmaison e Flematty sul Linceul
Con René Desmaison e Robert Flematty durante l'apertura della loro grande via del Linceul sulle Grandes Jorasses. Ivo Ferrari (il terzo uomo sul Linceul) immagina di essere stato con loro in quei giorni, dal 17 al 25 gennaio 1968, in cui si è scritta una pagina di storia dell'alpinismo. In appendice René Desmaison in un ritratto di Alessandro Gogna
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Robert Flematty e René Desmaison di ritorno dal lenzuolo
archivio Ivo Ferrari
Sposto il telo della tenda e quasi timidamente guardo fuori. Il tempo non è bello, ma almeno questa mattina non c’è bufera, il vento e la neve sono cessati, fino a quando non mi è dato saperlo. Guardo René e Robert, loro sono tranquilli, quasi rassegnati, sicuramente più abituati di me. Ho perso il conto dei giorni, René si prepara, Robert e silenzioso ma sereno, si esce, la colazione è stata veloce, anzi velocissima! Il telo, la tenda o quello che è rimasto dopo tre giorni passati a sballottare al suo interno viene immediatamente nascosto nel fondo dello zaino, René parte, inizia il suo lavoro d’artista, inizia a scalinare appigli e appoggi su di una pendenza che fa venire il voltastomaco. Centinaia di colpi in un ghiaccio duro e freddo, un ghiaccio invernale! Robert, Lui lo osserva attento, fermo su di un minuscolo terrazzino, intagliato appositamente per fare sicurezza in sicurezza. Andiamo avanti, pochi chiodi, pochi “cavatappi”, la corda serpeggia su questo infinito “Sudario” bianco.
Sento il vento, sempre più freddo, sempre più forte, è di nuovo bufera, neve, scariche continue dal cielo e dal pendio... Non ne posso più, cosa ci faccio qui, con questi due malati di montagna, malati di freddo! Io, avrei potuto starmene comodamente seduto a casa, davanti al camino, avrei potuto leggere di questa meravigliosa salita, avrei, ma sono qua e sento tanto freddo. La cresta è sempre più vicina, ma non si può correre, la progressione è lenta, lentissima, gradino dopo gradino, migliaia di schegge di ghiaccio che precipitano, dirette prima su Rober e poi giù nel fondo del ghiacciaio. René è fuori, grida, lo sento. René è stato grandioso, tenace, duro... tocca a Robert, tocca a me, questi ramponi mordono male, c’è qualche cosa che non va, il mio piede deve rimanere di traverso, il corpo non sta diritto... chissà se ci sarà un’evoluzione in questi benedetti attrezzi.
Cresta è Cima. Cresta è fine. Finalmente! Ora la bufera è sempre più “Bufera”, la neve entra ovunque, passa sotto il casco, entra nel passamontagna, nel duvet, dovunque!
Robert si incarica di attrezzare la prima doppia, la prima di seicento metri di doppie, un’infinita che trascorre nel tempo, non si vede ad un palmo dal naso, forse un vantaggio per rilassare la vista... Il mio corpo si “smolla”, i polpacci non lavorano più, siamo sul ghiacciaio, siamo alla base, è finita, è tutto finito. Il “Sudario”, il “Lenzuolo”, il “Pendio” è terminato, ora noi siamo sotto e lui è sopra, vinto, sconfitto!
La notte però ci sorprende di nuovo, niente minestrone caldo, niente bagno caldissimo, niente letto comodo. Un'altra notte, l’ultima notte e René diventerà una Leggenda, e Robert diventerà una leggenda e la loro lineare via... da leggenda!
Grande Jorasses “Linceul” René Desmaison e Robert Flematty dal 17 al 25 gennaio 1968.
di Ivo Ferrari
RENÉ DESMAISON di Alessandro Gogna
Alla fine degli anni Cinquanta e per il decennio successivo fu uno dei maggiori esponenti dell'alpinismo mondiale, per alcuni osservatori inferiore solamente a Walter Bonatti. Il suo alpinismo era quello del secondo dopoguerra, quando si ebbe la prepotente affermazione dei chiodi, anche a espansione, delle giacche in piumino e delle corde in nylon. La strategia divenne così quella dell'assedio di tipo himalayano. Desmaison in questo filone vanta l'apertura della via Jean Couzy o 'francese', sulla Cima Ovest di Lavaredo (insieme a Pierre Mazeaud), che costò l'impiego di 350 chiodi, di cui una trentina a espansione. Negli anni Sessanta, partecipò alla grandiosa spedizione francese per la conquista dello Jannu (7710 m, massiccio del Kangchenjunga). Nella sfida al freddo e al ghiaccio, nuova frontiera del momento, collezionò una serie di prime eccezionali in solitario e in invernale: a partire dal 1960, la parete Nordovest dell'Olan, la Ovest del Petit Dru, il Pilone Centrale del Frêney con Robert Flematty (scalata simbolo per lunghezza, quota e isolamento), infine nel 1968 la 'via del Linceul' sulle Grandes Jorasses, affrontata prima dell'evoluzione dei materiali da scalata sul ghiaccio. Nel 1966 con Mick Burke, Gary Hemming e altri trasse in salvo due alpinisti tedeschi bloccati sulla Ovest del Petit Dru, affrontando grosse difficoltà dovute anche al maltempo, ma di fatto umiliando i soccorritori ufficiali, la cui strategia fu meno efficace; l'insubordinazione costò a Desmaison l'espulsione dalla Compagnie des guides di Chamonix, con un seguito di polemiche e di accuse. Nel febbraio del 1971 si verificò un episodio chiave della sua carriera: partito per aprire una nuova via sullo Sperone Walker delle Grandes Jorasses insieme al giovane Serge Gousseault, Desmaison incontrò grandi difficoltà che ritardarono e complicarono la salita; completamente sfinito, il suo compagno di cordata morì dopo 11 giorni in parete; una serie di incomprensioni rallentò la macchina dei soccorsi e Desmaison, che non aveva osato abbandonare Gousseault, fu salvato quando era ormai allo stremo delle forze e sopravvisse per miracolo; anche in questo caso seguì una lunga serie di polemiche. L'anno successivo Desmaison, completamente ristabilito, realizzò in solitario l'integrale della Cresta di Peuterey, la via più lunga delle Alpi. Nel gennaio del 1973 onorò la memoria di Gousseault portando a termine, questa volta in compagnia di Michel Claret e Giorgio Bertone, l'impresa che nel 1971 aveva mancato per soli 80 metri.
>> articoli di Ivo Ferrari
Sento il vento, sempre più freddo, sempre più forte, è di nuovo bufera, neve, scariche continue dal cielo e dal pendio... Non ne posso più, cosa ci faccio qui, con questi due malati di montagna, malati di freddo! Io, avrei potuto starmene comodamente seduto a casa, davanti al camino, avrei potuto leggere di questa meravigliosa salita, avrei, ma sono qua e sento tanto freddo. La cresta è sempre più vicina, ma non si può correre, la progressione è lenta, lentissima, gradino dopo gradino, migliaia di schegge di ghiaccio che precipitano, dirette prima su Rober e poi giù nel fondo del ghiacciaio. René è fuori, grida, lo sento. René è stato grandioso, tenace, duro... tocca a Robert, tocca a me, questi ramponi mordono male, c’è qualche cosa che non va, il mio piede deve rimanere di traverso, il corpo non sta diritto... chissà se ci sarà un’evoluzione in questi benedetti attrezzi.
Cresta è Cima. Cresta è fine. Finalmente! Ora la bufera è sempre più “Bufera”, la neve entra ovunque, passa sotto il casco, entra nel passamontagna, nel duvet, dovunque!
Robert si incarica di attrezzare la prima doppia, la prima di seicento metri di doppie, un’infinita che trascorre nel tempo, non si vede ad un palmo dal naso, forse un vantaggio per rilassare la vista... Il mio corpo si “smolla”, i polpacci non lavorano più, siamo sul ghiacciaio, siamo alla base, è finita, è tutto finito. Il “Sudario”, il “Lenzuolo”, il “Pendio” è terminato, ora noi siamo sotto e lui è sopra, vinto, sconfitto!
La notte però ci sorprende di nuovo, niente minestrone caldo, niente bagno caldissimo, niente letto comodo. Un'altra notte, l’ultima notte e René diventerà una Leggenda, e Robert diventerà una leggenda e la loro lineare via... da leggenda!
Grande Jorasses “Linceul” René Desmaison e Robert Flematty dal 17 al 25 gennaio 1968.
di Ivo Ferrari
RENÉ DESMAISON di Alessandro Gogna
Alla fine degli anni Cinquanta e per il decennio successivo fu uno dei maggiori esponenti dell'alpinismo mondiale, per alcuni osservatori inferiore solamente a Walter Bonatti. Il suo alpinismo era quello del secondo dopoguerra, quando si ebbe la prepotente affermazione dei chiodi, anche a espansione, delle giacche in piumino e delle corde in nylon. La strategia divenne così quella dell'assedio di tipo himalayano. Desmaison in questo filone vanta l'apertura della via Jean Couzy o 'francese', sulla Cima Ovest di Lavaredo (insieme a Pierre Mazeaud), che costò l'impiego di 350 chiodi, di cui una trentina a espansione. Negli anni Sessanta, partecipò alla grandiosa spedizione francese per la conquista dello Jannu (7710 m, massiccio del Kangchenjunga). Nella sfida al freddo e al ghiaccio, nuova frontiera del momento, collezionò una serie di prime eccezionali in solitario e in invernale: a partire dal 1960, la parete Nordovest dell'Olan, la Ovest del Petit Dru, il Pilone Centrale del Frêney con Robert Flematty (scalata simbolo per lunghezza, quota e isolamento), infine nel 1968 la 'via del Linceul' sulle Grandes Jorasses, affrontata prima dell'evoluzione dei materiali da scalata sul ghiaccio. Nel 1966 con Mick Burke, Gary Hemming e altri trasse in salvo due alpinisti tedeschi bloccati sulla Ovest del Petit Dru, affrontando grosse difficoltà dovute anche al maltempo, ma di fatto umiliando i soccorritori ufficiali, la cui strategia fu meno efficace; l'insubordinazione costò a Desmaison l'espulsione dalla Compagnie des guides di Chamonix, con un seguito di polemiche e di accuse. Nel febbraio del 1971 si verificò un episodio chiave della sua carriera: partito per aprire una nuova via sullo Sperone Walker delle Grandes Jorasses insieme al giovane Serge Gousseault, Desmaison incontrò grandi difficoltà che ritardarono e complicarono la salita; completamente sfinito, il suo compagno di cordata morì dopo 11 giorni in parete; una serie di incomprensioni rallentò la macchina dei soccorsi e Desmaison, che non aveva osato abbandonare Gousseault, fu salvato quando era ormai allo stremo delle forze e sopravvisse per miracolo; anche in questo caso seguì una lunga serie di polemiche. L'anno successivo Desmaison, completamente ristabilito, realizzò in solitario l'integrale della Cresta di Peuterey, la via più lunga delle Alpi. Nel gennaio del 1973 onorò la memoria di Gousseault portando a termine, questa volta in compagnia di Michel Claret e Giorgio Bertone, l'impresa che nel 1971 aveva mancato per soli 80 metri.
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