Hubschhorn, Fletschhorn e le intense giornate passate sui terreni d'avventura. Di Giovanni Pagnoncelli
L’ignoto può produrre due effetti opposti e l’uno o l’altro variano da persona a persona. Uno piacevole, di eccitazione, dettato dalla curiosità, dal desiderio di vedere cosa c’è dietro l’angolo per poter avere qualcosa da raccontare ad amici, parenti ed eredi, dal desiderio di non seguire il gregge ma di essere anticonformista; l’altro di paura, timore, che allontana dallo sconosciuto. Ciò può valere per un piatto gastronomico, soprattutto se straniero o etnico, per un viaggio un po’ fuori dalle righe, per la ricerca di una destinazione per il fine settimana o la semplice riva di un torrente con una spiaggia sconosciuta, ma anche per le persone. Quanti preferiscono evitare di conoscere una persona a priori per la paura di chissà cosa? Eppure è così, meglio vivere nella ‘comfort zone’, come dicono gli esperti di comunicazione, tra quei confini che magari non ci rendono felici ma ci danno la sensazione di essere al sicuro.
La mia filosofia va nella direzione opposta, che sia un ristorante, un viaggio, un piatto, la spiaggia in riva ad un torrente, un po’ meno per le persone a causa della mia timidezza, mi eccita l’idea di scoprire qualcosa di nuovo. E lo ‘scomfort’ è garantito, nella vita come in montagna..
Ottobre 1998 – Fletschhorn, Parete Est. Un gruppo di alpinisti locali capitanati dall’allora super attivo Maurizio Pellizzon si dirige verso la parete ben visibile dal viadotto di Simplon Dorf. La parete non rientra nello specifico nelle valli Ossolani ma lo ritengo un enorme errore topografico in quanto la suddivisione politico – geografica del mondo vede nel 99,9% dei casi l’assegnazione dei confini lungo i fiumi, le valli, colli e creste montuose. In questo caso il confine non dovrebbe essere a Gondo ma al Passo del Sempione, l’orografia parla chiaro e, se così fosse, anche il Fletschhorn, montagna in oggetto, sarebbe per metà Italiana (Ossolana) e per metà Svizzera. Ci piace quindi pensare e considerare il Fletschhorn come parte dell’Ossola, in particolar modo la parete est, su cui si svolge la nostra via. La via era stata aperta ad ottobre, quando i prati in quota sono paglierini e le prime nevi formano le colate di ghiaccio negli invasi in quota tanto ricercati dagli alpinisti di una certa categoria. Il gruppo era formato da alpinisti affiatati ed esperti (Dell’Oro, Garavini, Bionda), tutti trascinati dall’entusiasmo esplorativo di un gruppo che tra il 1990 ed i primi anni 2000 era molto ricco di nomi e, con enorme invidia, attivo. L’avvicinamento alla parte alpinisticamente interessante è molto lungo, può variare tra le 4 e le 6 ore a seconda delle condizioni del terreno che si trovano, non ci sono rifugi o bivacchi e quindi bisogna andarci o in giornata o in autosufficienza. La salita, come da programma, si concluse alla fine delle difficoltà e delle corde doppie riportarono gli alpinisti a camminare in discesa lungo la via di salita.
Febbraio 2013 - Fletschhorn, parete Nord. Maurizio mi parlava da tempo di questa via che sarebbe stato estetico completare fino in vetta, né più né meno che deformazioni/complicazioni mentali da alpinisti incomprensibili ai più. Proseguire fino in vetta, però, significava scalare per altre ore ed affrontare una discesa lunga, complicata e molto più rischiosa, in una stagione fredda e con poche ore di luce. Ma mi attirava l’idea di accettare la sfida. Tommaso accetta l’invito inconsapevole di quello che lo attende e così, dopo una partenza antelucana, un avvicinamento eterno sotto le raffiche di vento, mi ritrovo io ad attaccare il primo tiro alle 11 del mattino sicuro di non andare molto lontano: il ghiaccio che avevo visto col binocolo nella parte alta non era presente in quella bassa che si presentava perfettamente secca. Scalare su roccia e picozze sulla roccia di cattiva qualità e senza fessure è oltre che complicato anche pericoloso. Non so come ma guadagno una ventina di metri senza conseguenze ed attrezzo, non so come, una sosta su due chiodi da roccia che più martello e più allargano la fessura. Da lì non vedo molte possibilità razionali di proseguire anche se, a onor del vero, la razionalità l’abbiamo già accantonata da qualche ora. Faccio finta di sembrare convinto per vedere fin dove l’audace compagno si spinge. Bleffo fino alla morte spronandolo a guardare bene che secondo me si passa. Ho anche girato un breve video che mostra scariche continue di neve (spindrift) insieme a sassi e raffiche di vento violentissime. Nella tragicomicità della situazione mi viene da ridere. Tommaso non si allontana dal punto di sosta di oltre due metri e dopo dieci minuti prendiamo la via di discesa.
Novembre 2014 – Fletschhorn, parete Est. Trovo finalmente un altro compagno inconsapevole del culo che ci aspetta. Per essere certo che sia al 100% inconsapevole lo prendo da più lontano di Tommaso che arriva dal Varesotto, cioè da Chiavari. Prima delle 4 partiamo dall’auto e dopo poco ci siamo già persi in un’oscurità che non ricordo di aver visto nemmeno in grotta. In qualche modo riusciamo a non perdere troppo tempo e con le prime luci arriviamo al limite del ghiacciaio. Attacchiamo ora le difficoltà al sole e più in anticipo rispetto alla volta precedente e il ghiaccio, oltre che le condizioni meteorologiche più favorevoli, ci fanno progredire fino alla fine dei tre tiri più difficili. Troviamo la mia vecchia sosta e quella di uscita dei ragazzi del ’98. E’ mezzogiorno, le ore di scalata sono ancora tante ma siamo motivati a raggiungere la cima. In altre tre ore usciamo dall’ultimo pendio sulla spalla sotto la vetta poco oltre i 3800 metri. La via che si raccorda alla cresta est è completata. Fa molto freddo e quello che scoprirò come un principio di congelamento mi darà in seguito noia per diversi mesi. La lunga discesa ci preoccupa assai così decidiamo di prendere la via di discesa senza passare dalla vetta appunto. Dopo una disarrampicata aleatoria di oltre quattro ore, continuiamo sul tormentato ghiacciaio sotto la nord ed arriviamo a valle alle 10.30 di sera dove ci aspetterà Gianni che con grande spirito di amicizia ci venne incontro risparmiandoci altre ore di cammino in aggiunta alle 18 di attività già fatte.
Maggio 2013 – Hubschorn, parete Nord. Un passo temporale a ritroso mi riporta sulla parete nord dell’Hubschorn. Si tratta di una montagna più bassa e più accessibile che si staglia proprio sopra il Passo del Sempione. Il versante sud ovest, che se il confine passasse sul Passo sarebbe Ossolano, rappresenta una gita di scialpinismo di soddisfazione grazie a pendii sempre molto sostenuti, il lato ovest è ripido ed impervio ma senza particolare interesse alpinistico, il lato nord invece, compreso tra due creste, la ovest e la est entrambe scalate dal sottoscritto, è molto ripido e costituito da rocce scure e poco invitanti. Durante l’inverno la parete viene spazzata dai venti provenienti da nord in un’area tipicamente ventosa. Durante la primavera si accumula un po’ di neve sui tratti meno ripidi. Ma in quella particolare primavera, complici copiose nevicate tardive e correnti umide dell’Atlantico abbinate alle giuste temperature, la parete divenne qualcosa che in tanti anni di frequentazione non avevo mai visto: un pendio bianco quasi uniforme eccetto i torrioni più verticali e gli strapiombi. Scovai la foto da Facebook e me la feci spedire ingrandita. Che mi venga un colpo! Qui c’è da partire subito! In poche telefonate raccimolai due forti alpinisti, Paolo della Valsesia e Davide di Prali, assolutamente inconsapevoli del terreno che li avrebbe attesi. Attaccammo su una linea già tracciata nel 1989 dal solito Maurizio Pellizzon questa volta in compagnia del fortissimo Roberto Pe che poi deviarono sulla cresta ovest e da lì scesero a causa della neve inconsistente e della mancanza di materiale adeguato. La nebbia ci limitava la vista e l’orientamento in parete così, invece di raggiungere il nevaio e proseguire su una linea diretta che ci avrebbe permesso di terminare la via di Pellizzon-Pe, ci portammo a sinistra proprio nel cuore della parete e degli strapiombi. Con tanta fortuna ma altrettanta esperienza, in nove ore aprimmo una via incredibilmente bella ed ardita che compensò il dispiacere di una cena saltata in compagnia di un’attraente signorina.
Maggio 2016 – Hubschhorn, parete Nord. La via Pellizzon-Pe era ancora incompiuta. Da oltre un mese, in seguito alle primaverili nevicate che una dopo l’altra si accumulavano, curavo la parete per cercare di capire quale potesse essere il momento giusto per attaccarla. Quasi accantonata l’idea, la ripresi grazie ad un cambio di tendenza meteorologico che vide di nuovo le temperature abbassarsi a livelli quasi invernali. Marcello di Chiavari e Tommaso di Varese si sono fatti fregare nuovamente ma dovevo trovare un altro perfetto inconsapevole: Luca di Vercelli che non conoscevo se non per essere di fama un buon ghiacciatore e scalatore su misto. Andammo tutti sulla fiducia e componemmo le due cordate. Una volta giunti sotto la parete non solo capii che essa non si trovava nelle condizioni di neve e ghiaccio del 2013 ma che era pure radicalmente ed evidentemente peggiorata rispetto a qualche giorno prima. Da subito fui certo che la via in mente non poteva essere percorribile ma attaccammo ugualmente. In modo naturale la parete ci portò a destra della linea del 1989 fino a sbucare sulla cresta ovest. Con quelle condizioni di neve inconsistente tutto era più difficile ma in quattro ci siamo proprio divertiti come fossimo a giocare in parchetto.
Queste sono solo alcune delle intense giornate passate sui terreni d'avventura a cavallo di Ossola e Canton Vallese ma altrettante e anche di più se ne possono vivere ancora. E' necessaria una buona conoscenza del territorio, esperienza in montagna utile al fine di non farsi male e divertirsi e tanta voglia di vivere l'ignoto e lo sconosciuto. Se questi ingredienti coincidono allora in quest'area c'è pane per i vostri denti.
di Giovanni Pagnoncelli