Ghost Face, nuova via sull' Hubshorn per Zanoli, Pagnoncelli, Gallian
Domodossola è una piccola cittadina del Piemonte sconosciuta ai piemontesi in quanto la più decentrata dal capoluogo, Torino. E’ qui che ho deciso di vivere. A pochi minuti d’auto ci sono falesie valorizzate dal mitico ed infaticabile Maurizio Pellizzon ‘Pelli’, che richiamano oggi climbers di fama mondiale. A qualche decina di minuti in più di strada si raggiungono le partenze per fantastiche vie di roccia multi tiro, sportive e trad, cascate di ghiaccio canadesi e scialpinistiche tra le più belle delle Alpi. Per non parlare di ‘ripido’, l’espressione dello sci tanto in voga negli ultimi tempi. C’è poi il Sempione, una porta verso il nord Europa che causa fenomeni meteorologici tali che si può scalare o sciare col sole al di là di esso quando a sud delle Alpi piove a catinelle o viceversa. Ma è l’alpinismo che si può vivere nel modo più autentico che si possa immaginare. Senza nulla togliere al Monte Bianco, mio primo e grande amore, terreno super inflazionato e mediatizzato, le Valli dell’Ossola offrono ai visionari come me un alpinismo romantico di altri tempi fatto di lunghi avvicinamenti, poche informazione e completa solitudine. La più alta parete delle Alpi si trova in territorio ossolano ed il fatto che gli ossolani non abbiano sfruttato un potenziale unico al mondo come sarebbe logico pensare e come avvenuto in altre località alpine, è uno dei motivi per cui amo questo territorio e l’alpinismo che esso può offrire. Alpinismo di ricerca qui ce ne è ancora molto, basta essere sognatore, avere un pizzico di visione pratica e tanta voglia di mettersi in gioco.
Questa mattina mi sono svegliato con due incredibili sorprese. Pur trovandosi ai piedi di altissime montagne, ‘Domo’ si eleva dal mare solo trecento metri ma al posto dei classici passerotti volteggiavano e strillavano i gracchi di montagna, gli stessi che spesso hanno un sacco di cose da dire quando gli alpinisti invadono il loro territorio durante le scalate a qualsiasi quota, a volte oltre i quattromila metri. Non li avevo mai notati così bassi e mai mi sarei aspettato di vederli in città. Anche loro rimbambiti dalle bizze di stagione? E poi con un SMS scritto dal mitico Mauro Rossi, il Giancarlo Grassi dell’Ossola, che insieme agli altrettanto mitici ed ancora ottimi e super entusiasti scalatori Paleari, Pe, Masciaga, hanno disegnato tra gli anni ’70 e ’80, i più grandi capolavori di roccia della zona. L’SMS cita testualmente: ‘Non so come dirlo... ma mi fa veramente piacere che abbiate fatto questa nuova via. Conferma che chi ha gli occhi per vedere, agisce! Mauro’.
L’Hubshorn stagnava nei pensieri da circa tre anni, da quando durante una scialpinistica di fine stagione, delle condizioni particolari mi fecero notare delle colate di ghiaccio scalabili che però ebbero pochi giorni di vita. Bibliografia alla mano verificai che su di essa solo due vie invernali erano state effettuate. Negli ultimi tre anni sarò passato sotto quella parete decine di volte con gli sci, per piacere o per allenamento, ma la parete si rivelava sempre nel suo aspetto più brutto, scura, placcosa ed infida. A dispetto del nome che in tedesco significa ‘corno carino’, leggende locali classificano oltretutto l’Hubshorn come una pigna di sassi instabili e lichenati quindi le prospettive potevano sembrare non così allettanti. In realtà, dopo la salita della cresta NW Re Alberto scalata in estate, la roccia non mi parse così male. Evidentemente sono di ‘bocca buona’.
Qualche giorno fa scorsi su FB una foto scattata da amici scialpinisti diretti al Monte Leone in cui si vedeva chiaramente la parete vestita di un manto bianco più unico che raro. ‘Cogli l’attimo’, si dice in questi casi. La finestra di tregua dal mal tempo stava giungendo; si trattava solo di fare una ricognizione per vedere di cosa era fatto quel vestito bianco e di assoldare un team sufficientemente motivato ed incazzato e che si fidi del sottoscritto. I più motivati per questo genere di obiettivi che io conosco sono i giovani, gli Aspiranti Guida e gli Aspiranti Aspiranti ma devo quasi sempre cercarli fuori provincia. Quali più motivati di due giovani a cui manca solo il modulo di alta montagna per chiudere il corso? E così sia. Sveglia comoda alle 6.15 (la mia) e armati di doppia serie di micro friends, micro nuts, knife blades, corpi morti e viti corte attacchiamo a colpo sicuro la rampa identificata due giorni prima certi di arrivare in vetta in 4/5 ore.
L’ambiente è incredibilmente invernale ed atipico per il luogo e la stagione. Bassa temperatura, vento da nord ovest teso e nebbia ci fanno sembrare di essere su una parete diversa, sull’Eiger, in Scozia, in Norvegia. A gennaio. In testa avevo la linea da seguire che, tendendo a sinistra, ci avrebbe portato dopo una prima sezione ripida, ad un nevaio e poi al muro superiore che accedeva alla rampa nevosa sotto la vetta. Semplice, intuitiva, logica. Purtroppo le prospettive cambiano quando si è in parete, la visuale è spesso occultata da rocce e crestine che sulle foto frontali sembrano non esistere. Oltre a ciò, la nebbia, che ci ha invece portato più a sinistra dove la parete si fa più ripida. Ciononostante, tiro dopo tiro, ora dopo ora, abbiamo trovato una successione di diedri, rampe, cenge che ci hanno portato a battere traccia con la neve fino alla vita sulla cresta che ci portò alla croce di vetta.
Ci siamo divertiti, non è stata un’esperienza fatta di tensione e nodi allo stomaco, di eroi, tragedie e di difficoltà. Abbiamo sì superato attimi di tensione e difficoltà, passaggi aleatori e delicati, una bolla di ghiaccio strapiombante fatto di croste superficiali, conserve dove ognuno di noi tre non poteva permettersi un passo falso. Ma la cordata da tre, su terreni come questi, permette di vivere col sorriso sotto i baffi ed una battuta sdrammatizzante ogni momento, di vivere l’amicizia forte creata con Paolo durante le salite passate e quella nuova con Davide conosciuto la stessa mattina, incazzato con Paolo perché avrebbe preferito scalare una parete assolata vista mare. Ecco, ad eccezione della mia imbragatura fatta di cordini a causa della mia testa tra le nuvole e della visibilità bassissima in vetta con la paura cadere da una cornice sulla parete da cui siamo giunti, una salita più bella di questa non potevo immaginarla. Amicizia, sincronia di pensieri, controllo della situazione, onestà e lealtà lontani da invidie e gelosie rovina dei valori dell’alpinismo. Con se stessi, con i compagni e con la montagna.
Abbiamo classificato TD+ la salita effettuata in 9 ore in quelle precise condizioni ambientali, ma la difficoltà può variare di molto in funzione della quantità e qualità di ghiaccio e neve. Abbiamo effettuato circa duecento metri di progressione in conserva e 12 lunghezze di corda piazzando 13 soste su roccia, a volte scavando sotto la neve alla ricerca di fessure. Le soste erano quasi sempre buone, le protezioni sui tiri meno qualitative e più distanziate. Il tempo richiesto nella costruzione delle soste è stato comunque elevato. Non abbiamo lasciato segni passaggio, consiglio ai ripetitori di attrezzarsi secondo la propria esperienza ed invito gli Alpinisti a finire la via più logica ed evidente che ancora oggi attende passaggio.
di Giovanni Pagnoncelli
Ghost Face
Hubshorn, 3192 m., Alpi Pennine
Parete Nord Est
prima salita: Paolo Zanoli, Giovanni Pagnoncelli, Davide Gallian - 26 maggio 2013
lunghezza: 850 m. di sviluppo / 550 m. di dislivello
difficoltà: TD+
Expo.Planetmountain | |
Expo Salewa |