Grandes Jorasses parete nord: Federica Mingolla e Leo Gheza ripetono la via Manitua
A nemmeno due settimane dalla ripetizione di Incroyable sul Pilastro Rosso del Brouillard, Federica Mingolla e Leo Gheza fanno nuovamente parlare di sé con un’altra salita importante nel massiccio del Monte Bianco, la ripetizione della via Manitua sulla parete nord delle Grandes Jorasses. Aperta in solitaria dal fortissimo sloveno Slavko Svetičič dal 7 al 9 luglio 1991 in 31 ore effettive, affrontando difficoltà fino a VII+ A3+, 70° nei suoi 1200 metri, la via sale a destra della famosa No Siesta superando l’esposto Sperone Croz. Uno scudo imponente che offre la roccia migliore della montagna. È proprio per questo motivo che Mingolla, dopo la traversata delle Grandes Jorasses per la cresta di Rochefort nel luglio di due anni fa insieme a Lorenzo Pernigotti, ha scelto questa linea come sua prima via sulla mitica nord, unendola con l’ultimo tiro di Le Nez aperta nel 2005 Mauro Bubu Bole e Mario Cortese. Ecco il report della via che conta all'incirca una ventina di ripetizioni.
MANITUA ALLE GRANDES JORASSES di Federica Mingolla
Nord: una sola parola che suscita diverse emozioni. Le prime cose che saltano in mente sono il freddo, la roccia poco sana, le scariche di pietre e naturalmente i racconti misteriosi di personaggi che hanno combattuto tra la vita e la morte sulle sue pareti.
Quando ho pensato per la prima volta di scalare la Nord delle Grandes Jorasses ovviamente avevo un'idea completamente discostata dall'immagine dell'alpinista armato di piccozze e ramponi che affronta couloir di ghiaccio e pendii innevati. Anzi, ero fin da subito convinta di volerla scalare per una via di roccia, possibilmente con difficoltà di arrampicata sostenute. Il mio desiderio si é concretizzato quando ho letto la descrizione della via Manitua.
Una linea logica di diedri e fessure che percorre lo scudo, l'unica porzione di roccia sana nel bel mezzo della parete Nord. 350 metri di arrampicata quasi perfetta (l'ultimo tiro era completamente bagnato a causa del nevaio sovrastante) che collega due porzioni di parete un po' più rotta e con difficoltà più alpinistiche però quasi mai su neve. Infatti, noi siamo riusciti a non mettere praticamente mai i ramponi.
Ed è così che con Leo Gheza, con cui ormai avevo rotto il ghiaccio su Le Incroyable, partiamo per questo nuovo viaggio, senza aspettative ma solo tanta voglia di avventura. Giovedì mattina prendiamo il primo trenino da Chamonix per essere su la Mer de Glace verso le 9:30. Alle 12:30 siamo sotto la parete dopo tre ore di marcia su quel che una volta era un bel ghiacciaio e adesso assomiglia, purtroppo, più a un "Mare di Sassi".
Ci portiamo alti superando lo zoccolo di 450 metri che conduce alla base dello scudo: nonostante le temperature alte non arriva giù niente, questo ci tranquillizza molto e ci permette di procedere con calma e godere dell'arrampicata (anche se non su roccia bella) di questi primi metri di parete.
Alle 5 siamo sulla nostra cengia, esattamente sopra il primo tiro dello scudo, pronti ad allestire il bivacco per la notte. Fin lì tutto era filato fin troppo bene, anche il bivacco era confortevole, io mi sentivo a mio agio e il mio compagno sembrava muoversi con una tale naturalezza in quel luogo che la fiducia nella nostra buona riuscita era alta. Nonché alle 10 di sera si scatena l'inferno e quella che prima era una piccola cengia praticamente priva di neve si trasforma in pochi minuti in una piscina di grandine.
Per fortuna il telo termico che avevamo montato preventivamente sopra le nostre teste è servito a non farci bagnare completamente, ma il sonno che avevamo tanto desiderato lo abbandoniamo tristemente al frastuono dei tuoni che si scagliano nel cielo nero facendoci dimenticare il tepore dei sacchi a pelo che fino a poco tempo prima ospitavano i nostri sogni.
Alle 4:30 suona la sveglia e decidiamo di posticiparla per prender tempo: la parete è bagnatissima dopo il temporale della notte. Alle 7:00 sulle note di Manu Chao iniziamo a scalare sullo scudo, recuperando gli zaini, e così ci muoviamo velocemente e ci godiamo una lunghezza dopo l’altra, nonostante molte di esse fossero ancora molto bagnate.
Alle 13:30 siamo sotto l'ultimo tiro, ovvero il 7c di Le Nez (il tiro originale di Manitua è in artificiale su chiodi vecchi mentre Le Nez ha anche 3 spit e lo si preferisce). È inscalabile purtroppo, i torrenti d'acqua scorrono a fiotti e non ci passa nemmeno per la testa l'idea di provare a non appenderci alle protezioni. Dopo qualche difficoltà nell'arrampicata in artificiale che non rientra molto nel mio bagaglio di esperienze, siamo in cima allo scudo, a soli 350 metri dalla vetta.
L'ultima porzione di parete della Punta Croz è un mix di roccia marcia e roccia meno marcia che ti porta faticosamente a guadagnare terreno con il costante pensiero di essere praticamente in conserva su dei quinti gradi più pericolosi di qualche 8a su chiodi. Perciò se qualcuno mi chiedesse quale secondo me è stata la parte più difficile della via, sicuramente risponderei gli ultimi 200 metri. Nessuna certezza, solo molti dubbi su quale roccia tirare.
Un piccolo sbaglio nella lettura del percorso ci fa perdere 2 ore buone, e perciò alle 18:30 siamo in cima alla Punta Croz; ci guardiamo felici e senza nessuna fretta di scendere scattiamo diverse foto della Cumbre!
La discesa dalla Croz è il peggiore incubo per chi come me non è un amante del terreno franoso e improteggibile, quel tipo di situazioni che non ti lasciano molta scelta; scacciare il pensiero di essere in quel canale detritico orribile e continuare a scendere per arrivare alla neve, scambiando diverse parole con Leo rende tutto più facile. Una volta sul ghiacciaio la discesa procede più rilassata, anche il tratto di rocce da superare in discesa è oro rispetto a quello che abbiamo vissuto prima.
Alle 11 di sera arriviamo barcollanti al Rifugio Boccalatte, assonnati più che affamati riusciamo comunque a mettere in pancia una buona zuppa che Franco Perlotto ci ha riscaldato al volo non appena siamo arrivati. Un rifugista d'altri tempi, che si prende cura dei montanari nelle ore piccole della notte; ringrazio chi come lui svolge il proprio mestiere con passione e dedizione.
Ci corichiamo nei nostri letti che è passata la mezzanotte, io sono felicissima e mi sento ardere dentro come se la stanchezza fisica non mi fosse ancora piombata addosso, faccio quasi fatica ad addormentarmi per l'emozione.
Il giorno dopo, durante la discesa in val Ferret gli argomenti iniziano a ruotare intorno a nuovi progetti e la mia testa ricomincia a sognare. La Nord delle Jorasses ora fa già parte del mio bagaglio di esperienze ed è stata sicuramente uno sblocco mentale non da poco, chissà dove mi porterà il futuro.
Ringrazio come sempre Leo per la bella salita ma soprattutto per esserci divertiti così tanto.
di Federica Mingolla
Federica ringrazia: La Sportiva, Petzl, Sherpa Mountain Shop asporteyewear, goCamera, Firepot outdoor food, Sea to Summit
Manitua - breve cronologia
Prima salita: Slavko Svetičič (Slovenia) in solitaria, 7 - 9 luglio 1991
Prima ripetizione e prima invernale: Jacek Fluder, Janusz Gołąb, Stanisław Piecuch, Bogdan Samborski (Polonia), 7-11 marzo 1993
Seconda invernale e prima femminile: Benoît Drouillat, Pascal Ducroz (Francia), Vanessa François (Belgio), 19-24 febbraio 2008