Effimeri spiragli, nuova via di misto al Monte Terminillo nell’Appennino Centrale
Che quest'inverno in Appennino, per l’alpinismo (e non solo), sia stata una stagione da dimenticare non c’è alcun dubbio, ma al di là del dato e non per fare il piagnisteo, per chi ha sempre vissuto con entusiasmo l’alpinismo invernale non è stato facile adattarsi e soprattutto non cercare di prepararsi a qualcosa che non è mai arrivato.
Per non cercare di subire cocenti delusioni, ho un po’ evitato per tutto questo inverno (mancato), di andare a cercare quello che sapevo non esserci, pensando che se così doveva andare, sarebbe stato meglio rimanere ad arrampicare su roccia e portare a casa almeno una migliore preparazione primaverile. Poi qualcosa nelle ultime settimane di marzo ha acceso delle speranze, un po’ di neve nuova, un po’ di pioggia e poi qualche rigelo e allora così per gioco, parte qualche ragionamento su quale parete poteva aver tratto giovamento da queste condizioni. Vista l’elevata quota neve di questa stagione, sicuramente bisognava indagare alle quote più alte della zona, con esposizioni evidentemente a nord. Torna quindi centrale un’ipotetica linea che avevo riposto, come spesso succede, nella sempre presente cartella "progetti".
Si tratta della parete che ci si lascia sulla destra, salendo il Canale 1° Maggio al Monte Terminillo. Questa parete ha un buon bacino sommitale, il quale riempiendosi di neve, convoglia il rotolamento (e scivolamento) della neve stessa in parete, formando una colata molto interessante. È qualche anno che ho individuato questa possibilità, ma poi ho sempre preferito rivolgere la mia attenzione a salite su pareti più appartate. Ma questa anomala invernata, sembra proprio aver comunque generato le giuste condizioni per salire questa linea.
Come sempre mi succede quando prende piede un progetto in montagna, quel lumicino interno della passione per l’esplorazione, quest’anno tenuto sopito per tutto l’inverno, prende piede e l’idea di provare a salire la linea ipotizzata diventa una chiodo fisso, da cui non riesco a distogliere l’attenzione. Parte in maniera quasi scientifica lo studio delle foto, l’analisi delle meteo, delle temperature minime, delle notti serene, il materiale da portare, la strategia e ancora molto altro, sino a quando finalmente si ha l’opportunità di andare a scoprire quell’inesplorato che ti fa sognare, a unire i punti ipotizzati in foto, a vedere cosa c’è lassù.
Sabato 23 marzo, purtroppo con temperature nuovamente alte e nuvole basse a peggiorare la situazione, con Vlad Almasan andiamo a dare un’occhiata, cercando soprattutto di raggiungere quello che sarà il secondo tiro, che sicuramente appare il più impegnativo. Apro il primo tiro, scalo un po’ sul secondo, ma capisco facilmente che il ghiaccio è troppo scollato e le condizioni sono troppo pericolose, quindi ci caliamo, un po’ sconsolati ma comunque divertiti.
La domenica è ancora con temperature sopra la media e già sto pensando all’ennesimo rinvio di questo bel progetto, quando nello scorrere svogliatamene le previsioni meteo appare una giornata, che da sola può valere un intero inverno (si fa per dire!), lunedì 25 marzo, un’occasione da non perdere!
Prendersi qualche ora dal lavoro per me non è mai cosa semplice, ma visto che le buone condizioni sono certo non potranno restare per molto, oltre questo netto abbassamento termico, c’è la necessità di fare un’eccezione, magari con l’obiettivo di un rientro pomeridiano in ufficio.
Vlad purtroppo non può liberarsi (con grande dispiacere!), ma può unirsi Stefano e allora il tentativo prende corpo. Ci diamo appuntamento a sella di Leonessa, che raggiungiamo in auto, cosa che già di per se è una grande anomalia stagionale, ma di cui sfruttiamo a pieno i benefici in termini di riduzione dell’avvicinamento. Con zaini piuttosto pesanti, dopo essere passati alla base del versante est, scendiamo sotto la nord del Terminillo e risalendo nel Canalone nord prima e nel Canale 1° maggio poi, in breve siamo all’attacco.
Ci prepariamo sul terreno ripido del canale, con il bacino della parete nord sotto di noi. Realizzo velocemente una sosta su neve e parto, piazzando come prima protezione una bella vite da ghiaccio, che già promette molto bene sulle condizioni del resto della via.
Il primo tiro va via velocissimo, recupero Stefano in sosta e in breve ho nuovamente a che fare con il secondo tiro. Il ghiaccio è sicuramente più "incollato" alla roccia, ma purtroppo, come temevo, nei due giorni passati si è ridotto di quantità. La sezione più impegnativa è sicuramente la metà superiore diedro visibile dalla sosta, ove il ghiaccio è ridotto ad un’esile colata non facilmente proteggibile, in cui però riesco a far ricorso alla roccia ai lati, utilizzando friend e chiodi a lama. L’uscita dal diedro mi consegna su un terreno più appoggiato, ma con un ghiaccio durissimo. Davanti a me gli ultimi muretti di uscita del tiro, per niente banali, dove riesco a proteggermi con dei fittoni corti ben martellati nell’alpine ice e con dei piccozzini, su zolle ghiacciate. Ne esce fuori un bellissimo tiro, per nulla banale nella prima parte (diedro) e non scontato nella seconda.
Seguono due tiri non difficili (di cui uno molto lungo) nel bacino sommitale, che ci consentono di godere di panorami stupendi, sino a raggiungere la cresta che sale dalla nord (percorsa dalla via Chiaretti-Pietrostefani e da altre), poco prima dell’uscita del Canale Orsacchiotta. Di lì in breve raggiungiamo la vetta.
Siamo contenti, veramente molto contenti, con Stefano ne abbiamo condivise tante e anche questa volta abbiamo vissuto una bellissima esperienza che ci ha regalato finalmente (in questo inverno) un’unica, bellissima e assolata giornata "invernale". Una giornata stupenda che però non poteva finire così e quindi alle 15.00 si torna in ufficio…
In un’invernata così difficile per l’alpinismo invernale in Appennino, è stato un grande privilegio poter ricevere un simile regalo. Per il mio modo di fare montagna è importante tenere viva, alimentandola, la fiamma dell’alpinismo di esplorazione, perché è vero che gli impegni familiari, il lavoro, l’essere istruttore, non sempre lasciano spazio, ma è importante sentire vivo quello che Andrea Di Bari, in maniera evocativa, ha chiamato "Il Fuoco dell’anima". E se il tempo per rincorrere lontano la bellezza delle avventure alpinistiche è troppo poco, la soluzione è nel vivere a casa propria, negli angoli più remoti dei monti di casa o anche nelle pareti più familiari, perché come diceva Marcel Proust, "l’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi."
Effimeri spiragli... di un inverno mai nato.
di Pino Calandrella
Si ringrazia: Montura, Montura Store Roma