Dito di Dio al Sorapis, salita old school discesa new style. Di Marco Milanese

Alpinismo fusion: il racconto di Marco Milanese della salita dello Spigolo Nordest del Dito di Dio (Sorapis, Dolomiti) insieme a Sergio Canova e Martino Cantadore, e la successiva rapida discesa con paracadute da BASE jump.
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La salita e BASE jump del Dito di Dio al Lago di Sorapis, Dolomiti, di Marco Milanese
Marco Milanese

Conosco da poco Sergio, ci siamo incontrati ad un matrimonio alquanto particolare alla Pietra di Bismantova e, uniti da due profonde passioni, il giorno dopo i festeggiamenti abbiamo subito scalato la parete e saltato con il paracadute per scendere. Cosi quando Sergio mi ha chiesto un'avventura dolomitica io avevo la carta giusta da giocare, aspettavo solo il momento e la persona adatta.

Il Dito di Dio, ai cui piedi si trova il - troppo - famoso lago di Sorapis, è una guglia estetica che si slancia dalla conca turchese, un guardiano del lago che silenzioso sembra aspettare scalatori, ma al contempo respingerli.

C'è una ragione infatti se pochi arrampicatori frequentano questa parete: la roccia è marcia per più della metà della sua lunghezza! Fatte le dovuto considerazioni, abbiamo chiesto in giro informazioni generali - poche - agli amici guide della zona, e abbiamo deciso per lo spigolo nordest: la via è la Del Vecchio/Zadeo aperta nel 1947.

La via si presenta subito per quello che sarà per i successivi 400 metri: quasi interamente roccia instabile, ricca di cengie e colatoi. Ci muoviamo con attenzione e lentamente, i gradi sono facili ma la cristalleria appesa in parete non ci fa rilassare mai. Le corde, durante l'ascensione, faranno cadere decine di sassi. L'impegno è più mentale che fisico.

Nonostante la relazione fosse vecchia (chissà se mai qualcuno ha ripetuto questa via!) riusciamo a seguire il percorso per la maggior parte del tempo, fino ad arrivare ad una strettissima forcella che divide la parete nord dalla sud.

Martino, il terzo avventuriero, ci arriva da primo di cordata, mentre io, durante la salita da secondo, sento lui apostrofare la successiva parte di parete come "impossibile".
Una volta raggiunta la forcella, mi prendo del tempo prima di guardare in alto, per poi scoprire che la via continuava in traverso piuttosto che in verticale, il che è decisamente peggio!

Dopo aver preso coraggio inizio a scalare da primo e parto per uno di quei viaggi mentali dove bisogna dare tutto! Su circa 20 metri di lunghezza non si può cadere per almeno la metà, pena un pendolo enorme che mi farebbe sbattere contro la parete. Il tiro è segnato come VI grado, ma immagino che le cose siano andate così al momento dell'apertura: i primi salitori hanno aperto il tiro in artificiale, per poi schiodarlo (lasciando solo due chiodi) e dare grado il VI, semplicemente perché al tempo non esisteva un grado più elevato. In ogni caso, riesco miracolosamente ad arrivare in fondo senza cadere, pulendo decine di sassi e prese instabili. Come dice Sergio alla sua prima esperienza di scalata dolomitica: "ho capito che qua è meglio non accoppiare mai né le mani né i piedi, meglio avere sempre un backup!"

Risolvo gli ultimi quattro tiri combattendo con la stanchezza e delle fessure dure e a tratti strapiombanti, spesso improteggibili. D'altronde abbiamo trovato solo 3 chiodi in tutti i 600 metri di parete! Con le braccia gonfie e completamente abrase, ma con l'orgoglio di aver salito una via del genere, arriviamo in cima, godendo della rara vista del lago da così in alto.

L'anno scorso in effetti l'avevo ammirato da ancora più in alto, sorvolandolo col parapendio... è stato magico anche allora, ma senza la fatica di questa ascensione!
Il libro di vetta riporta cinque salite alla cima dal 2016 ad oggi, non me ne stupisco troppo!

Oramai sono le 18, ci sbrighiamo a trovare il luogo adatto per saltare e scendere giù al lago velocemente. Mentre io e Sergio salteremo, Martino dovrà scendere a piedi, girovagano per un'infinità di "ravani".

Decidiamo di adottare una configurazione del salto chiamata "statica", la più sicura possibile. Il paracadute infatti sarà attaccato alla parete tramite una fettuccia e l'apertura verrà effettuata immediatamente dopo il salto, senza di fatto fare della caduta libera. La tensione durante i preparativi è sempre palpabile, ma la sicurezza di effettuare quel tipo di salto (evitando una penosa discesa) mi fa comunque rimanere scherzoso e felice.

I due salti vanno lisci come l'olio: non fai in tempo a capire che stai precipitando che il paracadute è già aperto sopra la tua testa, facendo rilassare corpo e mente. Poi non resta che godere di quella meraviglia turchese sotto i piedi ciondolanti.

Sergio atterra gasatissimo a lato del lago, ci dirigiamo verso il rifugio per recuperare un binocolo, vogliamo tenere d'occhio e supportare la discesa di Martino. Ad un certo punto lo sentiamo urlare prima di fare una doppia, per poi scoprire che aveva urlato CORDA! Penso fosse l'unica persona alle 19 in tutto il gruppo del Sorapis!

Ci riuniamo al rifugio Vandelli, che con gentilezza ci offre delle bevande, e poi scendiamo di corsa prima del buio. Purtroppo però, presi dall'entusiasmo, sbagliamo sentiero! Non ci voleva! Ci ritroviamo così a camminare nel buio pesto fino alla strada dove, infine, troviamo un passaggio in macchina... alle 11 di sera non era affatto scontato! Ma, come si dice, la fortuna aiuta gli audaci.

Andate al lago solo se scalate "il Dito", non per farvi i selfie, che la gestrice del rifugio passa a pulire ogni sera l'immondizia che 5000 persone al giorno (si, la gestrice ha messo una persona a contare all'inizio del sentiero) lasciano a terra. Ovviamente scherzo (sulla scalata!), ma la situazione lassù sta diventando insostenibile. Buone gite in montagna a tutti!

di Marco Milanese

Milanese ringrazia per il supporto: The North Face, DF Sport Specialist, Out Of, Atair Canopies

 
 
 
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