Dhaulagiri 2005: rientro alla base per i trekkers
21/04 quinto report: di Manuel Lugli: rientro a Khatmandu per i trekkers.
![]() Quinta puntata e ritorno a Kathamandu per il trekking al seguito della spedizione di Nives Meroi, Romano Benet, Luca Vuerich e compagni al Dhaulagiri. Siamo alla fine dell'avventura (meglio sarebbe dire dell'esperienza) per i trekkers. E' il tempo di mezzo, quello che sta ancora nel viaggio ma è ad un passo dal ritorno al nostro mondo di... occidentali. RIENTRO ALLA BASE cronache d'avvicinamento al Dhaulagiri: il rientro a Kathamandu di Manuel Lugli Dhaulagiri, 14 aprile 2005. Il puzzo assale la gola, i clacson le orecchie. Se il ritorno a Kathmandu dopo una spedizione od un trek è sempre traumatico, quello in volo (quasi) diretto da Jomsom lo è in maniera quasi insopportabile. Immaginate di passare in, diciamo, tre ore, dalla pace assoluta di piccoli villaggi come Marpha, bellissimo con le sue stradine linde e, ahimè, semi-vuote, o Jomsom, con quellaria ventosa di frontiera, alla congestione di una città come Kathmandu. Spaesamento e nostalgia assalgono in simultanea, nonostante il freddo e la fatica patiti durante questo giro magnifico che è la circumambulazione del massiccio del Dhaulagiri. Milarepa scriveva parafraso - che tra le pietraie assolate dalta quota si svolge uno strano mercato: si può barattare il turbinìo inarrestabile della propria vita per una beatitudine senza fine. Come dargli torto. Certo per qualcuno anche in quota la vita rimane un inarrestabile turbinio: per i portatori, ad esempio. Come sempre sorprendenti per la loro capacità di trasportare e sopportare carichi pesantissimi, su sentieri, pietraie e nevai, attraverso passi di oltre cinquemila metri, con ogni tempo. E, come sempre, senza un lamento. Di fronte a questi uomini affaticati da una vita durissima, ci poniamo la fatidica domanda, sempre la stessa, ovvero se sia corretto, o addirittura lecito, servirsene per lavori così duri, a solo beneficio del nostro divertimento. E ancora: è altrettanto lecito, muoversi in valli dove la povertà si tocca con mano, solo per soddisfare il proprio desiderio di movimento esotico ? E in effetti un rovello istintivo ed inevitabile. Abbiamo provato però stavolta a fare alcune riflessioni o meglio semplici conti - che ci hanno un poco confortato sulla nostra, diciamo così, etica di datori di lavoro. ![]() Alla partenza, tra portatori, cuochi e sirdar per trek e spedizione (venti membri in totale), avevamo con noi centoventi uomini, che sono via via diminuiti durante il percorso. Ognuno di questi uomini percepisce uno stipendio giornaliero, viene assicurato e fornito di un kit per il trek e gli viene assicurato vitto e alloggio. Ciascuno di loro ha alle spalle una famiglia media di cinque persone, il che, facendo un calcolo molto brutale, vuol dire che il loro lavoro con noi ha potuto fornire un supporto certo non enorme, ma vi assicuro di questi tempi in Nepal, non disprezzabile a circa seicento persone. Tutti i villaggi attraversati ci hanno visto fare acquisti vari: bevande soprattutto, ma anche carne, verdura e frutta fresca da parte dei nostri cuochi. Cioè un altro piccolo contributo alleconomia debolissima di queste aree. Per voler completare lanalisi, il rientro ad anello ci ha portati in unaltra valle, quella del Khali Gandhaki, dove siamo stati ospiti di lodge e dove abbiamo fatto acquisti di generi vari, alimentari e voluttuari. In buona sostanza, credo che non dovremmo lasciarci troppo fuorviare da visioni, nella migliore delle ipotesi naif, di un mondo himalayano in cui esistono gli alpinisti/trekkers occidentali sfruttatori dei lavoratori locali poveri per i loro scopi. Chi sostiene che non bisognerebbe nemmeno venirci da queste parti, per evitare da una parte lo sfruttamento - ne ho sentiti spesso di questi discorsi - e dallaltra una sorta di contaminazione della popolazione, o è un ipocrita o semplicemente non è mai stato in Nepal, soprattutto in questi ultimi anni di vacche magre. Altri personaggi che continuano a condurre una vita turbinosa in alta quota, seppure con stile e meta ben diversi, sono gli alpinisti, impegnati prima a trasportare carichi ed istallare campi ovviamente non si sta parlando di spedizioni commerciali, dove tornano in ballo gli sherpa dalta quota - e poi a tentare la vetta. Per gli alpinisti la beatitudine assoluta può essere un momento fugace sulla cima, prima che il pensiero torni alla discesa, lunga e rischiosa. O magari larrivo, dopo la stessa, al campo base, dove un bicchiere di succo Tang - quanto di più sintetico un essere umano possa assumere - sembra una coppa di champagne. Ma anche qui la beatitudine è effimera, perché già la mente corre alla prossima montagna. Non cè niente di più proiettato di un alpinista, anche dopo la peggiore delle esperienze, dopo la sofferenza, dopo la più grande delle fatiche. Come per Sisifo, non cè fine alla teoria di salite e discese. Appena giunti alla sommità, tutto di nuovo rotola a valle. E si ricomincia. Manuel Lugli Dall'alto: Porters a 5200m; Sita Chuchura 6650m. (Foto archivio Manuel Lugli). |
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