Coffee Break #17 - La scalata
Daniela Zangrando nel suo Coffee Break #17 traccia un ardito parallelismo tra scalata e (giovane) arte contemporanea italiana: dove sono i giovani artisti? Hanno forse smarrito la via della vita?
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Coffee Break #17 - La scalata
Alberto Tadiello
La scalata. Conosco un mondo che ne sa quanto Alexander Huber. Che ne parla al bar come Chris Sharma. L’arte contemporanea non ha alcun dubbio sulla progressione in parete, sulle ascensioni per raggiungere la cima. Si son visti curatori attaccati eroicamente ad un cliff, artisti destreggiarsi su placche liscissime, altri “smagnesare” puntando lo sguardo alla telecamera, altri ancora impegnati a tirar fuori le staffe. E se wikipedia ricorda che arrampicata può esser definita come salita di un ostacolo – sia esso una parete rocciosa o un sasso, un pannello artificiale o aggiungerei “quantaltro” – l’arte contemporanea si sente perfettamente e con orgoglio iscritta in questo ambito.
Il percorso per la salita? È chiaro. Quasi una relazione. Riporto qualche frase da un corso universitario di qualche anno fa.
Per il giovane artista italiano, questa è la strada. Inizia da ottimi tracciati di tipo formativo, struttura un pensiero basato sul confronto con i futuri colleghi e con esimi artisti che prima di lui hanno compiuto il medesimo cursus honorum. Predispone un corpo di lavori che espone prima all’interno di laboratori didattici, poi in cerchie cittadine e provinciali, incrementando via via livelli di riconoscibilità e apprezzamento. Redige un portfolio delle proprie opere, utile per esporre le linee guida della propria ricerca e strumento indispensabile da allegare a breve statement e dichiarazione d’intenti per concorsi e premi. Vince conseguentemente i suddetti. Presenta sempre più serratamente il proprio lavoro. Una galleria probabilmente si interessa a lui. Aumentano i prezzi delle sue produzioni. Presenta ancor più serratamente il proprio lavoro in fondazioni, musei, collezioni private. Vende quasi tutto. Guadagna. Riesce a trascorrere qualche tempo all’estero, grazie a mecenati e istituzioni che lo invitano in residenza. La sua fama raggiunge i vertici nazionali.
Qui il professore disegna una linea verso l’alto. Una freccia drittissima. Al centro della lavagna traccia la sagoma di una piramide. Segna teatralmente con un dito il vertice e si guarda intorno per accertarsi di aver creato la suspense giusta per continuare. Bene. Il nostro giovane artista è oramai conosciuto sul suolo patrio. Ma questo non è niente se il suo lavoro non riesce a passare oltre i confini nazionali. Deve arrivare all’estero. Trovare una galleria estera, lavorare in fondazioni, musei e collezioni private straniere. Altrimenti? Beh, altrimenti niente vertice. Conseguente regressione. Sempre più profonda, fino ad un sistema locale, da mercatino, d’artigianato, da sagra di paese.
Tutti gli studenti a testa bassa scrivono. In fondo il paradigma non pare mica tanto complesso. Artista italiano, lavoro in Italia, qualche tiro pieno di III+/IV.
Tratto di A1 per superamento del tetto nazionale, 12 metri.
Placche bellissime, 40 metri.
Vetta, firma del libro di vetta, selfie di vetta.
Nessuna indicazione per la discesa. Probabilmente basta seguire i bolli rossi, far due tre corde doppie che si presume siano attrezzate e poi imboccare il sentiero che riporta al rifugio.
Frieze Art Fair, Londra, 14-17 ottobre 2015.
Centosessantaquattro gallerie tra le più quotate e potenti provenienti da ventisette diversi paesi del mondo. Tutto è internazionale. Lo sono gli stand curatissimi. I galleristi e gli assistenti che si leccano i baffi pronti a compiacere e formare i gusti di collezionisti fiduciosi ed entusiasti. Il vocio tra uno spazio e l’altro. E gli artisti italiani? I giovani che dovevano fare l’imprescindibile salto verso l’esterno, uscendo dai confini dello stato per raggiungere il meritato alloro e godere della gloria? Dove sono? Tra le poche presenze nazionali, qualche artista deceduto, e qualche famoso e già plaudito anzianotto. Nessun giovane, tranne uno, che anagraficamente nemmeno può annoverarsi nella categoria. Tra gli italiani dunque Carla Accardi (1924-2014), Ettore Spalletti (1940), Gianni Piacentino (1945). In quanto al più giovane, Roberto Cuoghi, rappresentato dalla galleria francese Chantal Crousel, parliamo comunque di un artista classe 1973.
Ma dove sono finiti tutti gli altri? Si son chiusi nelle palestre artificiali a blaterare di allenamento? Si son lasciati andare alla noia e allo sconforto forse? Hanno cambiato vita? E la scalata? L’hanno abbandonata? O sono i loro mentori a non far più cordata con loro, abbacinati dalla novità di luccicanti compagni dai nomi esotici?
Qualcuno dice di aver visto una manciata di giovani italiani all’attacco della tanto ambita via. Si lamentavano per il troppo caldo o per la stagione piovosa – qualcosa di simile. D’altro canto la via era affollatissima. C’erano troppe cordate per attaccare, meglio bivaccare ai piedi della parete. Quante cazzate! Posso solo confidare che si riorganizzino in fretta. C’è bisogno di pensieri nuovi. O di una sferzante ripresa di quelli vecchi, riadattati, migliorati, interpretati, cresciuti. I materiali li hanno. Il grado non gli manca. Non sarà un problema se la notte si troveranno fuori. Non credo sia il freddo a spaventarli. Spero domattina si alzino prima di tutti. Spintonino pure qualche cafone, accelerino il passo, facciano orecchie da mercante se qualcuno vuole superarli in sosta. Per Dio, è la via della vita! Non si torna indietro.
Daniela Zangrando
>>> Tutti gli articoli Coffee Break di Daniela Zangrando
Il percorso per la salita? È chiaro. Quasi una relazione. Riporto qualche frase da un corso universitario di qualche anno fa.
Per il giovane artista italiano, questa è la strada. Inizia da ottimi tracciati di tipo formativo, struttura un pensiero basato sul confronto con i futuri colleghi e con esimi artisti che prima di lui hanno compiuto il medesimo cursus honorum. Predispone un corpo di lavori che espone prima all’interno di laboratori didattici, poi in cerchie cittadine e provinciali, incrementando via via livelli di riconoscibilità e apprezzamento. Redige un portfolio delle proprie opere, utile per esporre le linee guida della propria ricerca e strumento indispensabile da allegare a breve statement e dichiarazione d’intenti per concorsi e premi. Vince conseguentemente i suddetti. Presenta sempre più serratamente il proprio lavoro. Una galleria probabilmente si interessa a lui. Aumentano i prezzi delle sue produzioni. Presenta ancor più serratamente il proprio lavoro in fondazioni, musei, collezioni private. Vende quasi tutto. Guadagna. Riesce a trascorrere qualche tempo all’estero, grazie a mecenati e istituzioni che lo invitano in residenza. La sua fama raggiunge i vertici nazionali.
Qui il professore disegna una linea verso l’alto. Una freccia drittissima. Al centro della lavagna traccia la sagoma di una piramide. Segna teatralmente con un dito il vertice e si guarda intorno per accertarsi di aver creato la suspense giusta per continuare. Bene. Il nostro giovane artista è oramai conosciuto sul suolo patrio. Ma questo non è niente se il suo lavoro non riesce a passare oltre i confini nazionali. Deve arrivare all’estero. Trovare una galleria estera, lavorare in fondazioni, musei e collezioni private straniere. Altrimenti? Beh, altrimenti niente vertice. Conseguente regressione. Sempre più profonda, fino ad un sistema locale, da mercatino, d’artigianato, da sagra di paese.
Tutti gli studenti a testa bassa scrivono. In fondo il paradigma non pare mica tanto complesso. Artista italiano, lavoro in Italia, qualche tiro pieno di III+/IV.
Tratto di A1 per superamento del tetto nazionale, 12 metri.
Placche bellissime, 40 metri.
Vetta, firma del libro di vetta, selfie di vetta.
Nessuna indicazione per la discesa. Probabilmente basta seguire i bolli rossi, far due tre corde doppie che si presume siano attrezzate e poi imboccare il sentiero che riporta al rifugio.
Frieze Art Fair, Londra, 14-17 ottobre 2015.
Centosessantaquattro gallerie tra le più quotate e potenti provenienti da ventisette diversi paesi del mondo. Tutto è internazionale. Lo sono gli stand curatissimi. I galleristi e gli assistenti che si leccano i baffi pronti a compiacere e formare i gusti di collezionisti fiduciosi ed entusiasti. Il vocio tra uno spazio e l’altro. E gli artisti italiani? I giovani che dovevano fare l’imprescindibile salto verso l’esterno, uscendo dai confini dello stato per raggiungere il meritato alloro e godere della gloria? Dove sono? Tra le poche presenze nazionali, qualche artista deceduto, e qualche famoso e già plaudito anzianotto. Nessun giovane, tranne uno, che anagraficamente nemmeno può annoverarsi nella categoria. Tra gli italiani dunque Carla Accardi (1924-2014), Ettore Spalletti (1940), Gianni Piacentino (1945). In quanto al più giovane, Roberto Cuoghi, rappresentato dalla galleria francese Chantal Crousel, parliamo comunque di un artista classe 1973.
Ma dove sono finiti tutti gli altri? Si son chiusi nelle palestre artificiali a blaterare di allenamento? Si son lasciati andare alla noia e allo sconforto forse? Hanno cambiato vita? E la scalata? L’hanno abbandonata? O sono i loro mentori a non far più cordata con loro, abbacinati dalla novità di luccicanti compagni dai nomi esotici?
Qualcuno dice di aver visto una manciata di giovani italiani all’attacco della tanto ambita via. Si lamentavano per il troppo caldo o per la stagione piovosa – qualcosa di simile. D’altro canto la via era affollatissima. C’erano troppe cordate per attaccare, meglio bivaccare ai piedi della parete. Quante cazzate! Posso solo confidare che si riorganizzino in fretta. C’è bisogno di pensieri nuovi. O di una sferzante ripresa di quelli vecchi, riadattati, migliorati, interpretati, cresciuti. I materiali li hanno. Il grado non gli manca. Non sarà un problema se la notte si troveranno fuori. Non credo sia il freddo a spaventarli. Spero domattina si alzino prima di tutti. Spintonino pure qualche cafone, accelerino il passo, facciano orecchie da mercante se qualcuno vuole superarli in sosta. Per Dio, è la via della vita! Non si torna indietro.
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