Cervino: Prima solitaria e prima ripetizione della direttissima sud per Barmasse
Il 16/4 Hervé Barmasse ha realizzato la prima solitaria e la prima ripetizione della via della parete sud aperta dal padre Marco con Walter Cazzanelli e Vittorio De Tuoni.
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La grande parete sud del Cervino
Patrick Poletto
Lunedì 16 aprile Hervé Barmasse, ventinovenne Guida alpina di Valtournenche, ha compiuto la prima solitaria e la prima ripetizione della direttissima sull’immensa parete sud del Cervino, una via aperta nel novembre del 1983 dal padre Marco insieme a Walter Cazzanelli e Vittorio De Tuoni, e mai più ripetuta da allora.
La direttissima è una gran corsa che parte da 2900 metri e arriva ai 4478 della vetta dopo 1500 metri che hanno il clou, il passaggio chiave, nei 200 metri che percorrono proprio il cuore della paretone lungo la cresta di un pilastro che, oltre a rappresentare la direttrice naturale della salita, è relativamente al riparo da quelle scariche di sassi che sono una caratteristica di questo versante della grande becca. Dopo il pilastro per una serie di diedri si va ad incrociare la via Carrel e quindi si arriva in cima. Una “grand course” appunto, quasi d’altri tempi… che Hervé Barmasse ha interpretato anche sul filo del ricordo e forse del 'déjà vu'.
“Era da un po’ che l’idea mi frullava per la testa… mi sembrava strano che su una via così e su una parete come la sud del Cervino non ci fosse più andato nessuno.” ci ha detto Hervé raccontandoci di questa sua salita che, ricordiamo, fa il bis con la sua solitaria della via aperta da Casarotto e Grassi sempre sulla sud. “D’altra parte per me il Cervino è la montagna di casa, e la sud si può dire che faccia parte dei miei orizzonti da quando sono nato: è sempre lì, presente come una compagna di tutte le mie giornate. Una parete immensa, solitaria e tutta per me…”.
La sud come una storia di una vita, ma anche una storia famigliare… Tuo padre sapeva che volevi ripetere la sua via? “Glielo avevo accennato un po’ di tempo fa, ma non gli ho chiesto informazioni. Lui quella volta si è limitato a dirmi di portare la corda e non fare come il mio solito. Era un buon consiglio… anche se alla fine la corda l’ho usata solo per recuperare lo zaino e soprattutto per andare a sbloccarlo in un punto dove si era incastrato”.
Sì, era assolutamente un buon consiglio quello della corda, anche perché la sud del Cervino ha fama di parete con roccia molto friabile… come ti sei trovato e qual è la difficoltà di questa via? “Devo premettere che le mie impressioni sono del tutto personali perchè per ora mancano di confronti: mi piacerebbe che qualcuno la ripetesse per potermi confrontare sulle difficoltà… Per me l’alpinismo è avventura e sulla sud, slegato su roccia non proprio solida ed immerso in una grande parete, devo dire che l’ho assaporata. E anche se non ho incontrato passaggi estremi (direi che il grado massimo è un buon 5+) l’impegno psicologico è stato totale!”.
Te l’aspettavi così, la sud? “In gran parte sì, anche se avevo preventivato di salirla in 5-6 ore che poi in realtà sono diventate 8… Un paio di volte sono anche tornato indietro per trovare la via più giusta. Non so neanche se ho seguito perfettamente la via dei primi salitori… quando mio padre torna dal Nepal voglio chiederglielo, come ti dicevo non gli ho chiesto informazioni…”. Come mai? Sei andato sulle orme di tuo padre forse per emularlo o per sfidarlo? “No, per sfidarlo assolutamente, no. Ho rispetto per mio padre, ma come tutti i figli voglio fare le mie esperienze, provare da solo per re-interpretare le sue tracce”.
Allora com’è nata la decisione di partire? “Dopo la spedizione con i Ragni di Lecco in Patagonia, al Piergiorgio, che è andata come tutti sanno con un altro tentativo bloccato dal classico maltempo patagonico, sono tornato al lavoro qui in Valle. Si sa come vanno queste cose, l’idea c’era, il tempo si era messo al bello e io avevo bisogno di confrontarmi con me stesso e con la montagna. Avevo bisogno di affrontare un’incognita: e questa via lo era. Così sono partito per la sud”. Così, improvvisamente? “Sì, non ci sono stati grandi preparativi. Anche il passaggio in elicottero che mi ha portato sotto la parete è stato un caso fortuito: alcuni amici stavano facendo in zona dei voli per lavoro, così ne ho approfittato. D’altra parte mi hanno scaricato a soli 200 metri sopra gli impianti di risalita…”
Alla fine cosa ti ha lasciato questa via? “Soprattutto la soddisfazione di aver fatto quello che volevo. Ho aggiunto un altro tassello alla mia esperienza con la montagna e l’alpinismo. Un’esperienza pensando al poi…”.
La direttissima è una gran corsa che parte da 2900 metri e arriva ai 4478 della vetta dopo 1500 metri che hanno il clou, il passaggio chiave, nei 200 metri che percorrono proprio il cuore della paretone lungo la cresta di un pilastro che, oltre a rappresentare la direttrice naturale della salita, è relativamente al riparo da quelle scariche di sassi che sono una caratteristica di questo versante della grande becca. Dopo il pilastro per una serie di diedri si va ad incrociare la via Carrel e quindi si arriva in cima. Una “grand course” appunto, quasi d’altri tempi… che Hervé Barmasse ha interpretato anche sul filo del ricordo e forse del 'déjà vu'.
“Era da un po’ che l’idea mi frullava per la testa… mi sembrava strano che su una via così e su una parete come la sud del Cervino non ci fosse più andato nessuno.” ci ha detto Hervé raccontandoci di questa sua salita che, ricordiamo, fa il bis con la sua solitaria della via aperta da Casarotto e Grassi sempre sulla sud. “D’altra parte per me il Cervino è la montagna di casa, e la sud si può dire che faccia parte dei miei orizzonti da quando sono nato: è sempre lì, presente come una compagna di tutte le mie giornate. Una parete immensa, solitaria e tutta per me…”.
La sud come una storia di una vita, ma anche una storia famigliare… Tuo padre sapeva che volevi ripetere la sua via? “Glielo avevo accennato un po’ di tempo fa, ma non gli ho chiesto informazioni. Lui quella volta si è limitato a dirmi di portare la corda e non fare come il mio solito. Era un buon consiglio… anche se alla fine la corda l’ho usata solo per recuperare lo zaino e soprattutto per andare a sbloccarlo in un punto dove si era incastrato”.
Sì, era assolutamente un buon consiglio quello della corda, anche perché la sud del Cervino ha fama di parete con roccia molto friabile… come ti sei trovato e qual è la difficoltà di questa via? “Devo premettere che le mie impressioni sono del tutto personali perchè per ora mancano di confronti: mi piacerebbe che qualcuno la ripetesse per potermi confrontare sulle difficoltà… Per me l’alpinismo è avventura e sulla sud, slegato su roccia non proprio solida ed immerso in una grande parete, devo dire che l’ho assaporata. E anche se non ho incontrato passaggi estremi (direi che il grado massimo è un buon 5+) l’impegno psicologico è stato totale!”.
Te l’aspettavi così, la sud? “In gran parte sì, anche se avevo preventivato di salirla in 5-6 ore che poi in realtà sono diventate 8… Un paio di volte sono anche tornato indietro per trovare la via più giusta. Non so neanche se ho seguito perfettamente la via dei primi salitori… quando mio padre torna dal Nepal voglio chiederglielo, come ti dicevo non gli ho chiesto informazioni…”. Come mai? Sei andato sulle orme di tuo padre forse per emularlo o per sfidarlo? “No, per sfidarlo assolutamente, no. Ho rispetto per mio padre, ma come tutti i figli voglio fare le mie esperienze, provare da solo per re-interpretare le sue tracce”.
Allora com’è nata la decisione di partire? “Dopo la spedizione con i Ragni di Lecco in Patagonia, al Piergiorgio, che è andata come tutti sanno con un altro tentativo bloccato dal classico maltempo patagonico, sono tornato al lavoro qui in Valle. Si sa come vanno queste cose, l’idea c’era, il tempo si era messo al bello e io avevo bisogno di confrontarmi con me stesso e con la montagna. Avevo bisogno di affrontare un’incognita: e questa via lo era. Così sono partito per la sud”. Così, improvvisamente? “Sì, non ci sono stati grandi preparativi. Anche il passaggio in elicottero che mi ha portato sotto la parete è stato un caso fortuito: alcuni amici stavano facendo in zona dei voli per lavoro, così ne ho approfittato. D’altra parte mi hanno scaricato a soli 200 metri sopra gli impianti di risalita…”
Alla fine cosa ti ha lasciato questa via? “Soprattutto la soddisfazione di aver fatto quello che volevo. Ho aggiunto un altro tassello alla mia esperienza con la montagna e l’alpinismo. Un’esperienza pensando al poi…”.
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