Antonio Marchiorello, 70 anni di alpinismo dal Grappa all'Himalaya

Il ritratto di Antonio Marchiorello, detto Bussola d’Oro, l’alpinista classe 1929 di Bassano del Grappa che vanta 70 straordinari anni d’attività alpinistica. Il profilo di Edoardo Falletta è tratto dal suo primo libro, uscito pochi giorni fa, intitolato Ritratti d'alpinismo vol.1 - L'altro volto della casa editrice Vividolomiti, in cui sono raccolti i ritratti di 20 alpinisti italiani.
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L'alpinista Toni Marchiorello, classe 1929 di Bassano del Grappa, ritratto nella Valle di Santa Felicita
Matteo Mocellin

Se per un assurdo gioco della fantasia si potesse staccare l’Italia dal placido fondo del mare e posizionarla lungo un’immaginaria linea verticale, la nostra penisola valicherebbe con estrema agilità le barriere del cielo fino a giungere in quell’altissimo strato atmosferico dove corrono vorticose le orbite dei satelliti. Antonio Marchiorello, scalando paziente questa illusoria parete, ne avrebbe risalito più di 700 chilometri e se nel corso della sua vita avesse eletto come punto di partenza, ad esempio, Napoli sarebbe giunto fino alla sua città natale: Bassano del Grappa.

Per meglio apprezzare il significato di una così formidabile scalata dobbiamo tenere presente il periodo nel quale le sue avventure prendevano forma. Durante la giovinezza di Antonio, alla difficoltà dell’arrampicata, si sommava la fatica di raggiungere le pareti con i pochi mezzi a disposizione e che spesso avveniva contando esclusivamente sulla forza del proprio fiato e sulla capacità delle gambe di resistere al dolore. Non era inconsueto partire in piena notte e, senza neanche permettersi il lusso di un sonno ristoratore, procedere sotto la tenue luce lunare che rischiarava appena l’asfalto bagnato. Nella vita di Antonio, la passione per la montagna è un sentimento che cresce e si rafforza insieme al progredire delle sue capacità fisiche e psicologiche e nasce dal desiderio di poter gettare lo sguardo oltre le ben note cime di casa. Seguendo un interesse progressivo ed in costante mutamento si spingerà fino sulle montagne himalayane, nell’America del sud e all’esplorazione dell’Africa.

Antonio nasce nel 1929 e gli anni della sua fanciullezza coincidono con uno dei più drammatici periodi della nostra storia. La seconda guerra mondiale con il suo carico di bestiale ferocia lascia un segno profondo nel giovane che assiste alla più triste giornata dell’occupazione di Bassano del Grappa: "Nel 1944 andavo a portare da mangiare ai detenuti politici della caserma Monte Grappa e mi era appena concesso il tempo di posare in terra la marmitta di minestrone per paura che potessi parlare con loro. Il 26 settembre, tornando verso casa, una grande folla mi ha attirato in Viale XX settembre dove, appesi al filo da telefono, dagli alberi pendevano i corpi senza vita di alcuni giovani partigiani. Ricordo che vagavo come fossi stato un sonnambulo, assente a quello che mi stava accadendo attorno".

Durante gli anni adolescenziali, ad Antonio, oltre che al classico "Toni" vengono affibbiati diversi soprannomi. Quello che più fedelmente rimarca una peculiarità del suo carattere, nonché il più caratteristico, è sicuramente quello di "Bussola" che, canzonatorio, allude al pessimo senso dell’orientamento e ad una lunga serie di fuori-programma, vissuti e fatti vivere ai compagni d’avventure, e che l’età non ha affatto migliorato. Tanto che ad "Antonio-Bussola" capita ancora oggi di perdersi lungo i greti dei suoi amati torrenti.

"Gli amici per prendermi in giro mi chiamavano addirittura "Bussola d’Oro" per via della completa e più totale mancanza di senso dell’orientamento. Durante tutta la mia vita di alpinista ho sbagliato più di una volta l’itinerario da seguire, non faceva alcuna differenza che fossi in salita o in discesa, che mi trovassi su un sentiero a camminare, oppure che stessi arrampicando sulle ripide crode delle Dolomiti. Su un quaderno dalla copertina nera scrivevo minuziosamente a matita i percorsi delle mie gite e spesso con calligrafia puntuale si legge: "Andati per sbaglio più a destra della via comune… Si sbaglia a traversare e si tribola in mezzo ai mughi… Sbagliato canalino iniziale… Abbiamo sbagliato discesa e perso molto tempo…". Il fatto più rilevante è avvenuto durante un’escursione con il CAI che come meta finale aveva il Passo Pellagatta nelle Piccole Dolomiti. Io ero capo-gita e, come prevede il regolamento, sarei dovuto andare in avanscoperta. Privo della ben che minima cognizione di dove si trovasse il sentiero, che avrebbe dovuto essere escursionistico, ci siamo trovati a percorrere un itinerario verticale dov’era indispensabile usare le mani nella progressione. Però, durante le mie avventurose disavventure non ho mai avuto incidenti che è la cosa che maggiormente conta quando si è responsabili di un gruppo in montagna".

Gli anni in cui faticosamente si fanno le prove per ristabilire il clima pre-bellico e che precedono il grande boom economico che porterà in tutta la penisola un poco della sperata agiatezza, ai giovani restano pochi spazi dove muoversi liberamente. In questo clima incerto e spesso ancora teso, le istituzioni religiose sono il pilastro sul quale molte famiglie fondano la speranza, per i propri figli, in un avvenire il più possibile lontano dalla strada. E proprio al Patronato di San Giuseppe che in Toni nasce la passione per la montagna.

"Cercavo negli altri alpinisti degli esempi, conoscevo il modo di pensare e le scalate di Paul Preuss anche se apparteneva ad un’epoca lontana, oppure mi affascinavano le più recenti imprese di Herman Buhl".

Ma è ovviamente verso un giovane Walter Bonatti che è rivolto tutto lo spirito di emulazione e l’entusiasmo di una fantasia ancora inesperta e facilmente influenzabile. "A lui guardavo con particolare ammirazione per la sua passione, per le imprese effettuate con lo spirito giusto e per la purezza del suo atteggiamento. In più aveva la mia stessa età".

"Ho cominciato a salire qualche montagna che ritenevo semplice e ho capito subito che non mi sarebbe bastato ma che avrei voluto fare qualcosa di più impegnativo. Nonostante non avessi una grande preparazione fisica ero portato per quel tipo di sforzo. Nel 1952 mi sono iscritto al CAI ma siccome nessuno mi conosceva, per poter partecipare alle gite di un certo impegno, dovevo dimostrare di essere capace ad arrampicare, ho salito da solo cime di una certa importanza come l’Antelao, la Marmolada e la Cima Grande di Lavaredo. In questo modo mi sono guadagnato la possibilità di fare il capo cordata in gite in cui uscivano anche trenta persone insieme".

Per tutti i veneti, ma in modo speciale per i bassanesi, la Valle di Santa Felicita, con la sua storica palestra di roccia, rappresenta un luogo importante, quasi di culto, dove poter andare ad arrampicare. Chi partiva nei fine settimana da Bassano del Grappa si muoveva con la bicicletta lungo la dolce strada che non diventa mai veramente ripida.

"Lasciavamo le biciclette lungo la strada, vicino alla cappella di Santa Felicita al fianco di una casa diroccata dove abitava una signora molto anziana che ci offriva da bere acqua fresca presa con un mestolo da un mastello. In quel periodo si scalava con le corde di canapa che quando si bagnavano sotto la pioggia tendevano a gonfiarsi, impedendoci di sciogliere i nodi. In quell’epoca non esistevano ancora nodi importantissimi per la sicurezza e per la progressione come il barcaiolo o il mezzo-barcaiolo e più di una volta sono tornato a casa legato al mio compagno perché non eravamo stati in grado di slegarci".

In ogni luogo speciale, dove siamo stati particolarmente felici o dove abbiamo passato quegli attimi che sono importanti per noi o per la nostra formazione, è custodito un ricordo del nostro passaggio e delle persone che ci stanno a cuore e dalle quali è forse impossibile separarsi del tutto.

"La "Via dell’alberello" nella palestra di Santa Felicita è un monotiro di quarto grado che deve il suo nome ad un piccolo albero che cresce negli anfratti tra le rocce. Questa via mi ricorda in modo speciale il mio maestro, nonché fondatore della scuola di alpinismo di Bassano: Giovanni Zorzi. Era un grande alpinista, burbero e dittatoriale ma con una carica di vitalità davvero impressionante. Al rigore morale e all’autoritarismo, Zorzi affiancava una sottile ironia. La sua figura asciutta e la fronte spaziosa sono un'immagine inconfondibile e impressa in forma indelebile nella mente e nel cuore di chi ha vissuto con lui la montagna".

L’amore per la montagna è solo un aspetto del poliedrico carattere di Toni che non sarebbe completo se non fosse accostato alla passione per la documentazione fotografica che si manifesta sotto forma di una grande curiosità.

"La custodia della mia Zeiss è in cattivo stato perché ha preso più di qualche botta nel corso degli anni. E’ una macchina fotografica nella quale bisogna programmare il tempo di scatto in base all’intensità della luce. Anche la messa a fuoco è manuale e si basa su una scala di distanza regolata tramite una ghiera sull’obbiettivo". Le fotografie raccolte nei lunghi anni trascorsi da Toni vagando sulle montagne, sono custodite in numerosi album rilegati artigianalmente. Girando le spesse pagine di cartoncino ruvido, compaiono spettacolari composizioni formate da due o tre fotografie scattate in sequenza e assemblate intarsiandole tra loro in modo da ricreare un panorama di 200 gradi, cosa che la macchina non sarebbe stata capace di ritrarre in un unico momento. Non si tratta semplicemente di una raccolta fotografica perché accanto ad alcune foto, Toni ha tracciato con la china bianca l’itinerario delle vie salite sulla montagna raffigurata. Il tutto è completato da una serie di carte geografiche disegnate da lui stesso a matita o con la biro, ricopiate chissà dove o semplicemente redatte a memoria al ritorno delle sue escursioni.

In una persona nella quale il gesto alpinistico è innato e cresce naturale di pari passo con gli anni trascorsi sulle montagne attorno a casa o non lontano dai confini nazionali, nasce spontanea la voglia di viaggiare per capire se si è in grado di confrontarsi con vette lontane, difficili e spesso scomode da raggiungere.

"Quando ho smesso di lavorare e sono andato in pensione è iniziata la grande stagione dei viaggi. Come prima esperienza ho salito una montagna di cinquemila metri nel centro dell’Africa: Il monte Ruwenzori. Non mi sarei mai immaginato potesse essere così impegnativo perché, oltre al fatto di essere una montagna di ghiaccio dove la progressione è obbligata dall’uso di picche e ramponi, è perennemente avvolta dalla nebbia per cui bisogna fare molta attenzione e piantare numerose bandierine per segnalare il passaggio ed essere certi di non cadere in qualche seraccata, soprattutto in fase di discesa. Ho viaggiato in sud America per diverse volte ma le due spedizioni più importanti sono state quella colombiana, dove ho avuto la possibilità di scalare il magnifico Cristobal Colon e l’altra, quando già avevo settant’anni sull’Aconcagua che, anche se non sono riuscito a raggiungere la cima, è stata un’esperienza notevole. In Asia sono andato in Nepal per salire l’Island Peak. Ricordo l’ascensione come molto bella e impegnativa, specialmente la "canaleta" che porta alla cresta finale che abbiamo percorso slegati perché ci sentivamo sicuri".

"Confesso che alla mia veneranda età credo assolutamente nella protezione del mio angelo custode. Se non fosse per lui non sarei ancora qui. Ho rischiato la vita parecchie volte come spesso succede a chi va in montagna, ma in alcune occasioni la situazione si è risolta perché è intervenuto lui. In particolare, durante l’ascensione al Campanile di Val Montanaia, un sasso di notevoli dimensioni mi è caduto in testa che non era protetta dal casco che ai tempi non veniva adoperato. Ricordo ancora la vampata di calore che ha preceduto la perdita dei sensi. Tornato ad Erto con l’aiuto del mio compagno di cordata sono andato a cercare un dottore per farmi medicare il profondo taglio e l’ho trovato talmente ubriaco che faceva fatica a stare in piedi".

Per Toni, che ha svolto il servizio militare nella Brigata Julia, la montagna e gli alpini sono le due facce di una stessa medaglia. La serietà, la coerenza e la testardaggine si fondono con l’allegria e lo spirito di gruppo. "Nella preghiera dell’alpino si parla di "nude rocce e perenni ghiacciai", era destino che svolgessi il servizio militare nell’ottavo reggimento della Julia: ho sempre cercato di arrivare fino in fondo facendo mio il loro motto 'O là o rompi!'".

di Edoardo Falletta

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Con i ritratti di Giuseppe Alippi, Armando Aste, Hervé Barmasse, Erri De Luca, Hanspeter Eisendle, Agostino Gazzera, Luisa Iovane, Tamara Lunger, Ugo Manera, Antonio Marchiorello, Sergio Martini, Andrea Mellano, Nives Meroi, Reinhold Messner, Simone Moro, Bruno Pederiva, Massimo Piras, Enrico Rosso, Ermanno Salvaterra, Maurizio Manolo Zanolla. Vai alla scheda su planetmountain.com





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