Alpamayo Negro e la nuova via di Marco Farina, Marco Majori e Aldo Riveros in Bolivia
Il racconto di Marco Farina e Marco Majori dell’apertura, insieme a Aldo Riveros, di Arista de Cice (IV/5b/M4/250m) nuova via di roccia e misto sull' Alpamayo Negro in Bolivia, avvenuta pochi giorni dopo la prima salita della 'Directa italiana’ sulla parete sud dell'Illimani 6438m.
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Durante l'apertura della via Arista de cice (IV/5b/M4/250m 05/2015) Alpamayo Negro, Bolivia
Marco Farina, Marco Majori
Ne avevamo accennato due settimane fa: a giugno gli alpinisti della Sezione Militare d’Alta Montagna Courmayeur, Marco Farina e Marco Majori , si erano recato in Bolivia per aprire due nuove vie di roccia e misto. Dopo il primo report della 'Directa italiana’ sulla parete sud dell’Illimani, ecco il loro secondo report di Arista de Cice (IV/5b/M4/250m) la nuova via di misto aperta insieme a Aldo Riveros sull' Alpamayo Negro (5428m).
ALPAMAYO NEGRO
Dopo la parete sud dell’Illimani, il nostro principale/unico obbiettivo del viaggio, rientriamo a La Paz e la prima cosa di cui ci rendiamo conto è che abbiamo ancora a disposizione troppi giorni prima del volo di ritorno. "Cosa facciamo adesso?"… Ti siedi, contento di essere ancora intero. Ma ovviamente non lo sei. Parte di te è già tornata lassù, alla ricerca della prossima linea. "Già al nostro arrivo la guida alpina locale Aldo Riveros ci aveva parlato di una montagna di cui non si avevano informazioni e che poteva essere molto probabilmente inviolata…" Ci prendiamo un paio di giorni per pensare. Visitiamo il lago Titicaca e tra barchette di pescatori, paesaggi mistici e leggende Inca, troviamo il giusto spirito.
Dal lago alla montagna "one push", con il cuore leggero ed una lieve smorfia, tipica di quei momenti felici dove si è sollevati dal fardello della decisione e dell’intenzione. Già, perché, in fin dei conti, non abbiamo la minima idea di che cosa ci aspetta! Seguiamo l’onda… Troviamo Aldo al campo base del Condoriri e con lui c’è l’ormai inseparabile Felix e Gustavo, amico di Salta in Argentina.
Il primo problema da risolvere è come arrivare alla base della montagna. Secondo Aldo la soluzione migliore è quella di passare per la cima del Pequeno Alpamayo e poi scendere verso sud-est in direzione della cresta che caratterizza la "nostra becca". "E la discesa?", "Bella domanda…" risponde Aldo: "Chi lo sa?!" ed io: "Ah ok!" Facendo finta di niente… Non sono molto ferrato sulle cose con le quali non riesco a crearmi un quadro preciso, se pur immaginario, in testa… Ad ogni modo ci provo, ci ho sempre provato ed un "Ah ok!" trovo siano le uniche parole adatte.
Partenza alle 03:00 e dopo 3 ore, un’alba mozzafiato ci bacia sopra un letto di nubi e per mano ci accompagna in cima. Poche parole, il meno è fatto, ora inizia la parte esplorativa dell’ascensione. La discesa si rivela tutto sommato "gestibile". Qualche tratto di scalata intorno al IV grado ed un paio di nevai sui 50 gradi d’inclinazione ci permettono di raggiungere la sella, punto di attacco della nostra linea. Quando puntiamo il naso verso l’alto, la visuale cambia sempre. Ora la salita diventa logica, evidente. Il nostro lato timoroso dell’ignoto si fa da parte e ci lascia scalare in preda alla pace dei movimenti ed all’entusiasmo della scoperta.
Seguiamo il filo, qualche tratto di misto e roccia, non banale, tra dorsali di neve belle dritte, una traversata su roccia di scarsa qualità e la vetta! Alpamayo Negro 5428 mt. La nostra prima cima inviolata, siamo euforici, anche Aldo lo è. Ci sediamo per mangiare qualcosa e goderci tutto lo spettacolo della Cordigliera Real. Poi, quanto mai, spostando un sasso, per potermi sedere più comodamente, scorgo una lattina tutt’arrugginita… "Noooooooo!" esclamo, "Fregati!" Sia Farina che Aldo scuotono il capo dispiaciuti, ma la cosa dura molto poco. Tutti sappiamo che la via percorsa è sicuramente nuova, "cool" e divertente e questo ci basta per riprendere a sorridere e godere del bello in cui siamo immersi. Ritorniamo sui nostri passi, attrezziamo la discesa, passiamo per la sella e risaliamo il Pequeno Alpamayo. Dopo una cavalcata di 14 ore siamo finalmente coi piedi sull’erbetta verde del campo base, con Felix e Gustavo che ci vengono incontro, l’uno con il mate de coca e l’altro col thermos, la bombija ed il mate (assolutamente da non confondere).
Seduti tra i lama ed i laghetti pieni di trote a "tomar" mate, sia a me che a Farina sorge spontanea una domanda: "Come chiamiamo la via?" Il diritto della scelta del nome va chiaramente ad Aldo, che già da tempo aveva intuito la possibilità. "Cice, que pasa?" rompe il silenzio Gustavo (l’amico argentino chiama tutti: Cice. È un modo confidenziale, quasi affettuoso, per chiamare le persone. È da giorni che la parola "Cice" fa da padrona ai nostri dialoghi in esperanto). "Arista de Cice" o "Cresta di Cice" se ne esce Aldo dal nulla, senza neanche rispondere alla domanda di Gustavo. Tutti rimaniamo in silenzio per un po’ e poi una risata di approvazione corale rimbomba nell’anfiteatro del gruppo del Condoriri. È perfetto! Personalmente "Cice" mi piace, mi ricorda una bella persona e Farina non obietta, anzi si fa un’altra grassa risata. Così nasce la via "Arista de Cice". L’ultimo grande regalo della Bolivia primo del nostro rientro in Italia. Grazie Bolivia!
ALPAMAYO NEGRO
Dopo la parete sud dell’Illimani, il nostro principale/unico obbiettivo del viaggio, rientriamo a La Paz e la prima cosa di cui ci rendiamo conto è che abbiamo ancora a disposizione troppi giorni prima del volo di ritorno. "Cosa facciamo adesso?"… Ti siedi, contento di essere ancora intero. Ma ovviamente non lo sei. Parte di te è già tornata lassù, alla ricerca della prossima linea. "Già al nostro arrivo la guida alpina locale Aldo Riveros ci aveva parlato di una montagna di cui non si avevano informazioni e che poteva essere molto probabilmente inviolata…" Ci prendiamo un paio di giorni per pensare. Visitiamo il lago Titicaca e tra barchette di pescatori, paesaggi mistici e leggende Inca, troviamo il giusto spirito.
Dal lago alla montagna "one push", con il cuore leggero ed una lieve smorfia, tipica di quei momenti felici dove si è sollevati dal fardello della decisione e dell’intenzione. Già, perché, in fin dei conti, non abbiamo la minima idea di che cosa ci aspetta! Seguiamo l’onda… Troviamo Aldo al campo base del Condoriri e con lui c’è l’ormai inseparabile Felix e Gustavo, amico di Salta in Argentina.
Il primo problema da risolvere è come arrivare alla base della montagna. Secondo Aldo la soluzione migliore è quella di passare per la cima del Pequeno Alpamayo e poi scendere verso sud-est in direzione della cresta che caratterizza la "nostra becca". "E la discesa?", "Bella domanda…" risponde Aldo: "Chi lo sa?!" ed io: "Ah ok!" Facendo finta di niente… Non sono molto ferrato sulle cose con le quali non riesco a crearmi un quadro preciso, se pur immaginario, in testa… Ad ogni modo ci provo, ci ho sempre provato ed un "Ah ok!" trovo siano le uniche parole adatte.
Partenza alle 03:00 e dopo 3 ore, un’alba mozzafiato ci bacia sopra un letto di nubi e per mano ci accompagna in cima. Poche parole, il meno è fatto, ora inizia la parte esplorativa dell’ascensione. La discesa si rivela tutto sommato "gestibile". Qualche tratto di scalata intorno al IV grado ed un paio di nevai sui 50 gradi d’inclinazione ci permettono di raggiungere la sella, punto di attacco della nostra linea. Quando puntiamo il naso verso l’alto, la visuale cambia sempre. Ora la salita diventa logica, evidente. Il nostro lato timoroso dell’ignoto si fa da parte e ci lascia scalare in preda alla pace dei movimenti ed all’entusiasmo della scoperta.
Seguiamo il filo, qualche tratto di misto e roccia, non banale, tra dorsali di neve belle dritte, una traversata su roccia di scarsa qualità e la vetta! Alpamayo Negro 5428 mt. La nostra prima cima inviolata, siamo euforici, anche Aldo lo è. Ci sediamo per mangiare qualcosa e goderci tutto lo spettacolo della Cordigliera Real. Poi, quanto mai, spostando un sasso, per potermi sedere più comodamente, scorgo una lattina tutt’arrugginita… "Noooooooo!" esclamo, "Fregati!" Sia Farina che Aldo scuotono il capo dispiaciuti, ma la cosa dura molto poco. Tutti sappiamo che la via percorsa è sicuramente nuova, "cool" e divertente e questo ci basta per riprendere a sorridere e godere del bello in cui siamo immersi. Ritorniamo sui nostri passi, attrezziamo la discesa, passiamo per la sella e risaliamo il Pequeno Alpamayo. Dopo una cavalcata di 14 ore siamo finalmente coi piedi sull’erbetta verde del campo base, con Felix e Gustavo che ci vengono incontro, l’uno con il mate de coca e l’altro col thermos, la bombija ed il mate (assolutamente da non confondere).
Seduti tra i lama ed i laghetti pieni di trote a "tomar" mate, sia a me che a Farina sorge spontanea una domanda: "Come chiamiamo la via?" Il diritto della scelta del nome va chiaramente ad Aldo, che già da tempo aveva intuito la possibilità. "Cice, que pasa?" rompe il silenzio Gustavo (l’amico argentino chiama tutti: Cice. È un modo confidenziale, quasi affettuoso, per chiamare le persone. È da giorni che la parola "Cice" fa da padrona ai nostri dialoghi in esperanto). "Arista de Cice" o "Cresta di Cice" se ne esce Aldo dal nulla, senza neanche rispondere alla domanda di Gustavo. Tutti rimaniamo in silenzio per un po’ e poi una risata di approvazione corale rimbomba nell’anfiteatro del gruppo del Condoriri. È perfetto! Personalmente "Cice" mi piace, mi ricorda una bella persona e Farina non obietta, anzi si fa un’altra grassa risata. Così nasce la via "Arista de Cice". L’ultimo grande regalo della Bolivia primo del nostro rientro in Italia. Grazie Bolivia!
Marco Majori – Marco Farina Sezione Militare d’Alta Montagna Courmayeur
Note:
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