Samuel Anthamatten e la passione per il freeride
Intervista a Samuel Anthamatten, freerider e alpinista, alla vigilia della serata-evento Evoluzione Verticale, organizzata da New Rock venerdì 9 novembre alle 20.30 al palazzo dei Congressi di Lugano. Di Ellade Ossola.
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Samuel Anthamatten in azione
archivio Samuel Anthamatten
Quando nasci ai piedi del Cervino, hai buone probabilità di avere un legame privilegiato con la natura e con la montagna e così è stato anche per Samuel Anthamatten. Lui è il più giovane dei “fratelli del Cervino” – come li avevano soprannominati Mario Casella e Fulvio Mariani. Martin sulle montagne ci va con gli sci e le pelli di foca e in pochi anni ha vinto tutte le prove più importanti di sci escursionismo, Simon è con Ueli Steck la punta di diamante dell’alpinismo svizzero sulle montagne del mondo. Samuel ha seguito Simon, arrampicando con lui quasi “per forza”, conseguendo il brevetto di guida alpina per poi decidere che le montagne facevano sì parte del suo dna, ma lui le voleva scendere con gli sci ai piedi, seguendo naturalmente le vie meno scontate.
Ed è lui stesso ad aver parlato alla Rsi della sua totalizzante passione, alla vigilia della serata-evento Evoluzione Verticale, organizzata da New Rock venerdì 9 novembre alle 20.30 al palazzo dei Congressi di Lugano (info: newrocksport.ch). Con Samuel saranno ospiti i fortissimi Sean Vilanueva, insieme a Nicolas e Olivier Favresse, protagonisti di Vertical Sailing Greenland, la campagna di salite sulle inviolate big wall della Groenlandia, che è valsa loro il Piolet d’or 2011, uno dei più prestigiosi riconoscimenti in ambito alpinistico.
«Se cresci ai piedi del Cervino – spiega Samuel – hai per forza di cose una relazione forte con la montagna. Se fossi cresciuto al mare, sarei probabilmente diventato uno skipper o un marinaio. Non tutti gli abitanti di Zermatt però diventano guide alpine, ci sono alcuni di loro che non hanno mai salito una montagna di 4'000 metri. È difficile indicare la differenza tra una guida nata in montagna e una cresciuta in città. Secondo me la guida che nasce vicino alla montagna è più formata, con questo non voglio però dire che una guida nata in città, non possa essere una buona guida alpina».
Il Cervino è stato fotografato milioni di volte, sfruttato come veicolo promozionale di Zermatt, qual è il rapporto con questa montagna se la vedi tutti i giorni?
«Per me il Cervino è un grande parco divertimenti, dove posso fare di tutto. Posso praticare l’alpinismo, sciare, salire pareti in freeclimbing. Quando sono a Zermatt non penso al Cervino, o fa parte della mia quotidianità. Poi mi capita di vedere qualche turista che la fotografa e allora mi dico: Che bello!. Abitando a Zermatt, sicuramente si fa l’abitudine a questa montagna, quasi un’assuefazione. Molti turisti non pensano nemmeno che si possa salire il Cervino. Per loro è una montagna stampata sui poster, utilizzata per la pubblicità. Per me è diverso, io ho delle storie che mi legano al Cervino, ho un rapporto diverso e privilegiato».
Sei conosciuto soprattutto per essere uno dei migliori freerider al mondo, hai però iniziato con l’arrampicata, seguendo tuo fratello Simon che ha tre anni più di te. Possiamo dire che all’inizio hai in un certo senso subìto l’arrampicata?
«Un po' sì. Ho iniziato ad arrampicare da bambino a otto anni. A quell’età l’unica cosa che ti interessa è giocare, divertirti, fare delle marachelle. Con il trascorrere degli anni il mio interesse per l’arrampicata, e quello di mio fratello Simon, è cresciuto. Non penso si possa dire che mi ha forzato ad arrampicare, anche se è vero che all’inizio arrampicavo perché vedevo lui. Sono felice che mi abbia spronato ad iniziare questo sport».
Si può dire che tu sei l’artista della famiglia, il fratello meno convenzionale e che forse proprio a causa di questa tua voglia di “essere fuori dalle regole”, di essere un creativo, ad un certo punto hai intrapreso la carriera di freerider?
«Penso che ognuno di noi sia un artista nel suo campo, un creativo. Simon prepara le cose con una meticolosità estrema. Si focalizza su un progetto e lo porta avanti. Nell’arrampicata devi essere creativo quando decidi la sequenza dei movimenti che ti permettono di avanzare in parete. Devi decidere come muoverti disperdendo la minor energia possibile. Io sono invece molto più dispersivo. Nel freeride c’è la ricerca estrema della creatività, mi sono completamente dedicato allo sci fuori pista e forse è vero, sono diventato un creativo nella scelta delle linee».
Quando hai capito che la tua strada era quella del freeride?
«Quando vivi a Zermatt, lo sci è nel tuo dna. Sin da bambino mi è sempre piaciuto sciare fuori dalle pista segnate. Mi divertivo come un matto quando potevo lasciare le piste dove sciavano i turisti. Ad un certo punto della mia vita, ho capito che il freeride aveva preso il sopravvento. C’è stato un periodo durante il quale l’arrampicata e il freeride avevano lo stesso valore nella mia vita, poi – in un modo naturale – lo sci fuori pista è diventato più importante. Non ho abbandonato l’arrampicata, ma penso di essere molto più portato per il freeride e anche le soddisfazioni sono maggiori».
Freeride significa maggiore libertà in quello che fai?
«Non penso. Anche nell’arrampicata hai una grande libertà. Per me è inconcepibile una pratica sportiva senza che tu possa esprimere le tue idee e realizzarle. Significherebbe non essere liberi e vivere lo sport in un modo limitato. La libertà è fondamentale se vuoi progredire in quello che fai».
Quando in una famiglia ci sono tre fratelli che praticano sport di competizione c’è il pericolo che si sviluppi una ricerca estrema della prestazione a tutti i costi?
«Non abbiamo mai cercato il confronto. Quando arrampico con Simon, è chiaro che il migliore è lui. Anche io arrampico, ma lui è quello che ha più talento. Se pratichiamo lo sci escursionismo, il miglior è Martin, noi possiamo solo seguire e ammirare. Non si può e non si devono fare dei paragoni. Ognuno di noi è uno specialista nel suo campo».
Nello sci escursionismo hai un cronometro che ti indica il migliore su un tracciato, nell’arrampicata ci sono le vie catalogate secondo la difficoltà, come si determina invece il miglior freerider?
«Non esiste IL miglior freerider. Ci sono sciatori estremi che hanno uno stile perfetto. Quando vedi li vedi scendere il pendio, quando li vedi confondersi nel terreno, giocare con la conformazione della montagna... beh tutto ciò è bellissimo, anche per lo spettatore. Nel freeride – anche se ci sono competizioni e quindi regole da rispettare – la valutazione dipende dai giudici e non da un cronometro. Mi spiego: nell’atletica leggera quando Usain Bolt stabilisce il record del mondo, hai un cronometro che decide che è stato lui il più veloce, il migliore su una determinata distanza. Nell’arrampicata, nel freeride, nel boulder non puoi farlo perché non c’è nessun riscontro cronometrico».
Prima parlavi di ricerca della libertà, hai però partecipato a gare. Non c’è un paradosso in tutto questo? Ti reputi una persona che ha bisogno della competizione?
«Non penso di essere un agonista estremo. Tuttavia ho partecipato a gare di arrampicata su roccia e su ghiaccio e a competizioni di freeride , quindi è paradossale quello che dico. Anche io ho bisogno di conferme».
L’intero incasso della serata di Lugano andrà a favore dei giovani talenti dell’alpinismo svizzero. Qual è la situazione per un giovane che decide di vivere di alpinismo nel nostro paese?
«Penso che siano molti giovani e talentuosi freeclimber, ma in Svizzera solo cinque o sei atleti riescono a vivere da professionisti con questo sport. Per quel che riguarda il freeride, la situazione è migliore, perché nel mio sport abbiamo una maggiore attenzione dei media e quindi gli sponsor sono più interessati a sostenerci. Siamo comunque molto lontani dagli stipendi dei giocatori di calcio oppure di hockey su ghiaccio. Noi abitiamo un altro pianeta rispetto a loro!».
Ed è lui stesso ad aver parlato alla Rsi della sua totalizzante passione, alla vigilia della serata-evento Evoluzione Verticale, organizzata da New Rock venerdì 9 novembre alle 20.30 al palazzo dei Congressi di Lugano (info: newrocksport.ch). Con Samuel saranno ospiti i fortissimi Sean Vilanueva, insieme a Nicolas e Olivier Favresse, protagonisti di Vertical Sailing Greenland, la campagna di salite sulle inviolate big wall della Groenlandia, che è valsa loro il Piolet d’or 2011, uno dei più prestigiosi riconoscimenti in ambito alpinistico.
«Se cresci ai piedi del Cervino – spiega Samuel – hai per forza di cose una relazione forte con la montagna. Se fossi cresciuto al mare, sarei probabilmente diventato uno skipper o un marinaio. Non tutti gli abitanti di Zermatt però diventano guide alpine, ci sono alcuni di loro che non hanno mai salito una montagna di 4'000 metri. È difficile indicare la differenza tra una guida nata in montagna e una cresciuta in città. Secondo me la guida che nasce vicino alla montagna è più formata, con questo non voglio però dire che una guida nata in città, non possa essere una buona guida alpina».
Il Cervino è stato fotografato milioni di volte, sfruttato come veicolo promozionale di Zermatt, qual è il rapporto con questa montagna se la vedi tutti i giorni?
«Per me il Cervino è un grande parco divertimenti, dove posso fare di tutto. Posso praticare l’alpinismo, sciare, salire pareti in freeclimbing. Quando sono a Zermatt non penso al Cervino, o fa parte della mia quotidianità. Poi mi capita di vedere qualche turista che la fotografa e allora mi dico: Che bello!. Abitando a Zermatt, sicuramente si fa l’abitudine a questa montagna, quasi un’assuefazione. Molti turisti non pensano nemmeno che si possa salire il Cervino. Per loro è una montagna stampata sui poster, utilizzata per la pubblicità. Per me è diverso, io ho delle storie che mi legano al Cervino, ho un rapporto diverso e privilegiato».
Sei conosciuto soprattutto per essere uno dei migliori freerider al mondo, hai però iniziato con l’arrampicata, seguendo tuo fratello Simon che ha tre anni più di te. Possiamo dire che all’inizio hai in un certo senso subìto l’arrampicata?
«Un po' sì. Ho iniziato ad arrampicare da bambino a otto anni. A quell’età l’unica cosa che ti interessa è giocare, divertirti, fare delle marachelle. Con il trascorrere degli anni il mio interesse per l’arrampicata, e quello di mio fratello Simon, è cresciuto. Non penso si possa dire che mi ha forzato ad arrampicare, anche se è vero che all’inizio arrampicavo perché vedevo lui. Sono felice che mi abbia spronato ad iniziare questo sport».
Si può dire che tu sei l’artista della famiglia, il fratello meno convenzionale e che forse proprio a causa di questa tua voglia di “essere fuori dalle regole”, di essere un creativo, ad un certo punto hai intrapreso la carriera di freerider?
«Penso che ognuno di noi sia un artista nel suo campo, un creativo. Simon prepara le cose con una meticolosità estrema. Si focalizza su un progetto e lo porta avanti. Nell’arrampicata devi essere creativo quando decidi la sequenza dei movimenti che ti permettono di avanzare in parete. Devi decidere come muoverti disperdendo la minor energia possibile. Io sono invece molto più dispersivo. Nel freeride c’è la ricerca estrema della creatività, mi sono completamente dedicato allo sci fuori pista e forse è vero, sono diventato un creativo nella scelta delle linee».
Quando hai capito che la tua strada era quella del freeride?
«Quando vivi a Zermatt, lo sci è nel tuo dna. Sin da bambino mi è sempre piaciuto sciare fuori dalle pista segnate. Mi divertivo come un matto quando potevo lasciare le piste dove sciavano i turisti. Ad un certo punto della mia vita, ho capito che il freeride aveva preso il sopravvento. C’è stato un periodo durante il quale l’arrampicata e il freeride avevano lo stesso valore nella mia vita, poi – in un modo naturale – lo sci fuori pista è diventato più importante. Non ho abbandonato l’arrampicata, ma penso di essere molto più portato per il freeride e anche le soddisfazioni sono maggiori».
Freeride significa maggiore libertà in quello che fai?
«Non penso. Anche nell’arrampicata hai una grande libertà. Per me è inconcepibile una pratica sportiva senza che tu possa esprimere le tue idee e realizzarle. Significherebbe non essere liberi e vivere lo sport in un modo limitato. La libertà è fondamentale se vuoi progredire in quello che fai».
Quando in una famiglia ci sono tre fratelli che praticano sport di competizione c’è il pericolo che si sviluppi una ricerca estrema della prestazione a tutti i costi?
«Non abbiamo mai cercato il confronto. Quando arrampico con Simon, è chiaro che il migliore è lui. Anche io arrampico, ma lui è quello che ha più talento. Se pratichiamo lo sci escursionismo, il miglior è Martin, noi possiamo solo seguire e ammirare. Non si può e non si devono fare dei paragoni. Ognuno di noi è uno specialista nel suo campo».
Nello sci escursionismo hai un cronometro che ti indica il migliore su un tracciato, nell’arrampicata ci sono le vie catalogate secondo la difficoltà, come si determina invece il miglior freerider?
«Non esiste IL miglior freerider. Ci sono sciatori estremi che hanno uno stile perfetto. Quando vedi li vedi scendere il pendio, quando li vedi confondersi nel terreno, giocare con la conformazione della montagna... beh tutto ciò è bellissimo, anche per lo spettatore. Nel freeride – anche se ci sono competizioni e quindi regole da rispettare – la valutazione dipende dai giudici e non da un cronometro. Mi spiego: nell’atletica leggera quando Usain Bolt stabilisce il record del mondo, hai un cronometro che decide che è stato lui il più veloce, il migliore su una determinata distanza. Nell’arrampicata, nel freeride, nel boulder non puoi farlo perché non c’è nessun riscontro cronometrico».
Prima parlavi di ricerca della libertà, hai però partecipato a gare. Non c’è un paradosso in tutto questo? Ti reputi una persona che ha bisogno della competizione?
«Non penso di essere un agonista estremo. Tuttavia ho partecipato a gare di arrampicata su roccia e su ghiaccio e a competizioni di freeride , quindi è paradossale quello che dico. Anche io ho bisogno di conferme».
L’intero incasso della serata di Lugano andrà a favore dei giovani talenti dell’alpinismo svizzero. Qual è la situazione per un giovane che decide di vivere di alpinismo nel nostro paese?
«Penso che siano molti giovani e talentuosi freeclimber, ma in Svizzera solo cinque o sei atleti riescono a vivere da professionisti con questo sport. Per quel che riguarda il freeride, la situazione è migliore, perché nel mio sport abbiamo una maggiore attenzione dei media e quindi gli sponsor sono più interessati a sostenerci. Siamo comunque molto lontani dagli stipendi dei giocatori di calcio oppure di hockey su ghiaccio. Noi abitiamo un altro pianeta rispetto a loro!».
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