Pilastro di Coi e Canalino dei Diaulat: la discesa di Paolo Michielini sul Monte Pelmetto

Il racconto di Paolo Michielini della probabile prima discesa degli Scaloni del Pelmetto, Monte Pelmo, dalle cenge mediani sul versante sud effettuata da solo il 4 maggio 2014. Un racconto che dimostra anche "quanto poco basti per trasformare una bellissima gita in qualcosa di meno piacevole nel momento in cui diamo poca importanza alle cose più elementari."
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La discesa di Paolo Michielini effettuata il 04/05/2014 sul Monte Pelmetto, Dolomiti
Paolo Michielini
Nell’agosto 2004 insieme a Ivan Cavasin saliamo questo pilastro sulla parete sud del Pelmetto per una nuova via in sette ore con uno sviluppo di circa 700 metri e difficoltà che variano dal secondo grado al quinto grado superiore, una ventina di metri sopra passano le cenge mediane che contornano tutta la parete sud; per la discesa utilizziamo una doppia che ci deposita in un bel canalino che seguiamo per un centinaio di metri fino ad incontrare la via di Phoyroles che sale proprio alle cenge che portano al ghiaione delle fessura.

Quel canale e tutta la parte bassa della Phoyroles da un po’ di tempo mi fanno pensare che siano possibili essere percorse con gli sci in quanto sono tutta una serie di canali, cenge e rampe coperte di mughi relativamente inclinati; l’importante è trovare il tutto innevato in modo da poterlo discendere integralmente.

Domenica 4 maggio: arrivo a Coi in Val di Zoldo verso le sette e trenta, sci in spalla che poco sopra le casere riesco a calzare, arrivo nella zona dei Cadinat all’imbocco degli scaloni dove parte la Pohoryles. Rimetto gli sci in spalla e salgo tra mughi e canalini innevati che prima verso destra per una rampa e poi con un lungo traverso a sinistra per cenge e canalini ascendenti mi porta sotto al canale dei Diaulat, proprio a ridosso del Pilastro di Coi e alla base del Pilastro dei Dialut salito da Nino Rizzardini, Vanni Rizzardini, Egidio Rizzardini e Remigio Pancera a metà degli anni '60.

Il canalino parte subito con un salto intorno agli 80° per 5/6 metri per poi inclinarsi a 70°/80° per altri 20 metri, li risalgo su neve abbastanza dura con picche e ramponi finché le pendenze ritornano ad essere intorno ai 40°/45° gradi. Dopo un centinaio di metri raggiungo la forcella che separa il Pilastro di Coi dalle pareti che sostengono le cenge mediane cinquanta metri sopra. Per la breve parete esposta a nord dopo 20 metri raggiungo la cima del pilastro che mi fa ammirare in tutta la sua bellezza gli scaloni del Pelmetto verso il basso e la magnificenza dei pilastri e dei "Speci" sopra. Del Pelmo si vede solo - si fa per dire - il pilastro sud ovest in tutta la sua verticalità. Alla mia stessa quota un camoscio solitario "balega" per le cenge innevate al sole alla ricerca di qualche ciuffo d’erba secca visto che i ghiaioni sono ancora tutti innevati e sembra dirmi: "cosa cerchi quassù che da mangiare non c’è niente per tè!" Già…. Cosa ma allora cosa cerchiamo?

Calzati gli sci, la discesa inizia piacevole in quanto il canale, anche se abbastanza ripido. è largo dai 5 agli 8 metri e permette di poter curvare finché non arrivo al salto di 30 metri, largo un paio di metri al massimo. Ho con me un cordino da trenta metri e attrezzo la prima doppia sci ai piedi, raggiungo un punto dove posso fermarmi e attrezzare la seconda doppia creando un fungo sul bordo un pendio di neve, mi accerto che la corda scorra e cerco di compattare il più possibile la neve attorno, non ci do molta importanza perché sotto il pendio si abbatte a 50° ed è lungo circa 30 prima di finire sopra un salto di rocce. Se mai dovesse non tenere l’ancoraggio dovrei fermarmi… Inizio la discesa e dopo 6/7 metri, dove il salto diventa verticale e gli sci non spigolano più, il mio peso grava tutto sulla corda e nel giro di un decimo di secondo mi sento rotolare all’indietro finché sbatto sul pendio sottostante. Una seconda capriola mi proietta proprio sull’unico sasso che spunta dalla neve e dove ci finisce il mio fondoschiena, ancora pochi attimi e inizio a schizzare velocemente verso il basso a testa in giù, a quel punto cerco di girarmi il più velocemente possibile in modo da frenare la discesa che dopo una trentina di metri riesco a fare appena prima del salto di rocce che avevo notato in precedenza; sono attimi di imprecazioni verso la mia superficialità, verso la troppa convinzione che "tanto non capiterà mai a me" ecc…

I minuti successivi sono prevalentemente dedicati a capire quanto male son messo... per prima cosa sento il dolore alla schiena e cerco subito di muovere le gambe per capire se mi son rotto qualcosa, poi sento il braccio intorpidito e anche quello per fortuna è OK, a parte una gran botta così come l’anulare della mano sinistra che si è già gonfiato; guardo in su e vedo i bastoncini e le piccozze appena sotto il salto, intorno a me la corda aggrovigliata, uno sci penzolante sul sasso che mi ha permesso di fermarmi prima del salto, gli occhiali malconci ma recuperabili. Bene, visto che sono tutto intero non mi resta che recuperare il materiale disseminato sul pendio e scendere tutta la parte degli scaloni, tutto sommato sono qua per questo, rischi compresi.

Tolgo gli sci ancora un paio di volte perché la neve non è sufficiente per scendere, soprattutto nella zona ricoperta di mughi dove si capisce che anche a loro il sole piace e fanno di tutto per goderselo. Arrivo all’imbuto finale e così alla fine della discesa, ora non mi resta che pensare al cero che dovrò portare a qualche santo, anche se il canale è dei "Diaulat!"

Nel complesso le difficoltà che ho trovato sono: pendii di neve dai 35° fino a 50°, passaggi su roccia fino al secondo grado e il "famoso" salto con pendenze variabili dai 60° agli 80° per una trentina di metri; è probabile che con un innevamento più consistente alcuni punti cambino in meglio e la sciata sia possibile integralmente per un totale di oltre settecento metri di sviluppo e un dislivello di circa 500 metri fino ai Cadinat.

di Paolo Michielini


Note:
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