Monte Cevedale, scialpinismo DOC nel gruppo Ortles - Cevedale
E’ bello ricordare che la 1° ascensione della punta NE (Zufallspitze) è stata di Edmund von Mojsisovics e Sebastian Janiger il 13 di agosto del 1864 salendo da Solda passando dal Passo del Cevedale e nella parte alta lungo la parete NO e poi lungo la cresta SO; chissà perché non sono andati a destra sulla cima principale che era la più vicina, forse per il maltempo o forse perché ingannati dalla prospettiva che la cima di sinistra fosse la più elevata. Invece la 1° ascensione della vetta culminante è stata il 7 di settembre dell’anno dopo da parte di Julius Payer con Johann Pinggera e Josef Reinstadler seguendo l’itinerario precedente fino alla cresta che collega le due cime, per poi seguire nel tratto finale la cresta nord-est. La 1° salita con gli sci fu di Pietro Crosti e altri nell’inverno del 1901-02 o forse di Georg Lowenbach da solo il 4 di novembre 1901.
Tra le varie ipotesi sulla toponomastica del nome della montagna la più probabile sembra sia nata sul versante della Valfurva dove verso occidente si trova la Val Cédè il cui nome ricorda quello del Cevedale: gli alti pascoli della vallata erano denominati sin dal 1605 “l’Alpe di Ceveda”. In lingua tedesca è conosciuto con il nome di Zufallspitz ma ormai è d’uso che la cima più ad occidente, la più elevata, sia il Monte Cevedale (3769m), mentre quella minore, più a nord-ovest sia la Zufallspitze 3757 m.
Sulla cima ora c’è una bella croce di legno massiccio; quella più antica, il passare del tempo e le intemperie l’avevano indebolita fino a farla cadere. Per diversi decenni la vetta ne è rimasta spoglia, così il 22 settembre del 2012 è stata riposizionata quella nuova. Un affiatato gruppo di giovani della Valfurva si sono posti questo importante obiettivo, legato alle passate tradizioni delle vallate alpine; un legame che porta le cime delle montagne ad essere dei luoghi anche di concentrazione spirituale, dove inevitabilmente ci sembra d’essere più vicini all’essenza del creato.
Si dice che le montagne affraternano, uniscono; sulla cima è ancora ben visibile il rudere di una baracca a testimonianza delle numerose postazioni d’artiglieria durante la 1° guerra mondiale (1915-18) sparse un po’ ovunque su tutte le montagne della zona. La prepotenza e l’assurda capacità dell’uomo di non saper vivere in pace e armonia con i propri simili ha portato in passato a queste drammatiche situazioni, ma l’umanità continua su questa strada sbagliata invece di unirsi per il bene comune come una bella e grande famiglia. La montagna testimonia e ricorda ancora queste follie e dovrebbe farci meditare e capire quanto valga la pena continuare su questa strada. Talvolta quando la cima è affollata, sia in primavera che in estate, sembra di essere in una grande città dove tutti vedono, nessuno guarda o osserva, pochi scambiano qualche parola con altre cordate, ognuno pensa per sé. La fortuna d’incontrare diverse culture sulla cima d’una montagna dovrebbe essere un arricchimento reciproco.
Il panorama dalla cima è uno dei più belli ed estesi del gruppo, uno spettacolo della natura; una meraviglia dove l’immensa profondità del cielo va a toccare gli angoli più nascosti della mente. Nei pochi momenti che ci si ferma sulla cima mi è ancora capitato d’essere solo e allora con la punta del dito sfiorare l’orizzonte seguendo il contorno delle montagne intorno; ne viene fuori un cerchio immaginario, pulsante come un elettrocardiogramma; l’energia delle montagne, la bellezza di ciò che è dato vedere e le emozioni regalate dalla natura portano ad arricchire i ricordi e il bagaglio d’esperienza che rinchiuso nel forziere dell’anima partecipa al senso e alla magia della vita.
di Eraldo Meraldi
SCHEDA: scialpinismo Monte Cevedale
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