Luca Pandolfi e il Gran couloir della Sentinella Rossa sul Monte Bianco

Il racconto della discesa del Gran couloir della Sentinella Rossa, effettuato da Luca Pandolfi, Ben Briggs e Tom Grant il 5 luglio 2013.
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La discesa del Gran couloir della Sentinella Rossa, effettuato da Luca Pandolfi, Ben Briggs e Tom Grant il 5 luglio 2013.
Luca Pandolfi

"Sciare una linea come la Sentinella Rossa non è una gita con gli sci ma un viaggio in un'altra dimensione." Non ha torto Luca Pandolfi quando descrive quello che ha fatto, e soprattutto quello che gli è successo il 5 luglio quando assieme a Ben Briggs e Tom Grant ha disceso con lo snowboard il Gran couloir de la Brenva sul Monte Bianco. Quello che è interessante di questa discesa, oltre al fatto che è la prima dopo quella di Tone Valeruz del 1978, è la descrizione dell'ambiente, grandioso e pericoloso di questo versante del Monte Bianco. Bello, folgorante quanto terribile e pericoloso, giusto come una medusa di ghiaccio come soltanto la Brenva sa d'essere. A Luca è andata bene, molto bene, ed è quasi superfluo - ma d'obbligo - ripetere ancora quanto è difficile e pericolosa una discesa di questo genere.


GRAN COULOIR DELLA SENTINELLA ROSSA
di Luca Pandolfi

Avevo 3 anni e mezzo quando nell'aprile del 1978 Tone Valeruz venne depositato in elicottero in punta al Monte Bianco, sciò per la prima volta il Gran couloir de la Brenva e venne recuperato alla base della parete.
L'anno seguente una cordata di Giapponesi risali il canale e da allora sembra che nessuno abbia più sfidato la fortuna lungo questa linea.

Fin dalla prima volta che vidi il versante sud del Monte Bianco, nonostante fossi ancora inconsapevole del fatto che un giorno sarei stato in grado di affrontare una discesa del genere, la mia attenzione venne catturata dal Gran couloir della Sentinella Rossa, la linea più ovvia ed estetica di questa splendida e terrificante parete, che partendo dalla cima della più alta montagna d'Europa solca l'immenso e selvaggio muro della Brenva. Per tutti gli appassionati di montagna il bacino della Brenva , diventato leggendario grazie alle imprese dei primi pionieri ed ai loro racconti (come ad esempio quelli di Walter Bonatti in "Le mie Montagne") ha sempre suscitato una magica attrazione.

Fin da giovane nomi come "La Major", "La Poire", e la "Sentinelle Rouge" hanno suscitato in me un profondo senso d'avventura.
Sciare una linea come la Sentinella Rossa non è una gita con gli sci ma un viaggio in un'altra dimensione. Bisogna salire fino in cima al Monte Bianco da dove si scendono a vista oltre 1000 m di terreno tecnico, ripido ed esposto alla caduta di seracchi; una linea che piomba nel nulla.
Inoltre, cosa più importante di tutte, dopo aver sciato il canale bisogna uscire con le proprie forze da uno dei posti più selvaggi, aggressivi e terrificanti che mi sia mai capitato di visitare.

Da alcuni anni ormai cullavo questo desiderio in un angolo della mia testa, controllando ripetutamente lo stato dell'enorme seracco dominante l'intero canalone che ultimamente non dava segni d'attività.
Il "momento perfetto" è costituito da differenti componenti che si allineano per un breve periodo di tempo consentendo "alla porta di aprirsi". Il nostro compito è quello di osservare, sentire ed essere pronti ad entrare per quella porta, vivere quell'unica e magica esperienza che ne deriva ed uscire prima che si richiuda.

Io e Ben Briggs passammo un paio di giorni andando a Courmayeur e traversando verso Helbronner con la funivia "panoramica" (che collega d'estate l'Aiguille du Midi sul lato francese con Punta Helbronner sul lato italiano) per controllare le condizioni; giovedì mattina, mentre io lavoravo,Tom Grant e Ben andarono a dare l'ultima occhiata dalla Tour Ronde. Il "momento perfetto" era arrivato, quel momento magico in cui si smette di aspettare, pensare, supporre, sognare ed avere paura e si comincia ad agire; eravamo mentalmente pronti per provare la prima "discesa etica" della Sentinella Rossa…sia lei che noi ce la meritavamo.

Dopo aver passato la serata nella stazione dell'Aiguille du Midi partimmo per una delle più grandi avventure della nostra vita. Salire al Bianco con la splitboard, tutto il suo hardware e le pelli larghe sulla schiena è stata una faticaccia rispetto al peso ridotto degli sci in carbonio dei miei compagni; "light and fast" non è proprio il mio slogan ma ho altre qualità, come testardaggine e motivazione, per cui giocai le mie carte.
Ben e Tom arrivarono in punta una mezz'oretta prima di me; tirava un vento freddo, Ben voleva trovare l'entrata del couloir al più presto per cui cominciarono a sciare quando ero a 100m dalla cima. Sapevo che era troppo presto per cui continuai e li raggiunsi all'entrata una mezzora dopo.

Ben aveva già fatto un tentativo ma la neve era ancora troppo dura ed era risalito. Faceva ancora freddo ma alle 8.30, dopo aver aspettato quasi 2 ore, Ben decise di andare; sparì dietro le rocce del traverso senza lasciare neanche un graffio sulla neve. Io e Tom decidemmo di aspettare un po' perché la neve mollasse e dopo un'altra mezzora d'attesa il mio compagno decise di andare a dare un'occhiata; gli ci vollero 20 minuti per affrontare i 30m di traverso esposto, con l'aiuto della picca, prima di sparire anche lui dal mio campo visivo...rimasi solo.

Dopo esser stato in silenzio per alcuni minuti sulla lamina front, chiedendomi quali fossero le mie priorità nella vita, i polpacci cominciarono a farmi male, realizzai che quello non era il modo in cui volevo crepare e risalii. All'inizio fui soddisfatto della decisione presa ma dopo aver mangiato qualcosa ed essermi preparato per la discesa lungo la normale qualcosa cambiò nella mia testa. Il vento stava mollando, potevo sentire il caldo sulla faccia e una profonda consapevolezza mi assalì di colpo. Improvvisamente sentì che il momento che tanto avevo aspettato era arrivato, una parte profonda di me stava prendendo il controllo…adesso ero pronto…avevo con me una corda, qualche nuts ed un paio di chiodi, non avevo bisogno di nient'altro e nessun'altro, era il momento di provarci.

Stavolta, nonostante la neve fosse ancora dura, riuscivo a far presa con la lamina. Il traverso era super esposto ed ancora un po' gelato, con alcuni passaggi tecnici tra le rocce. Arrivai sotto il seracco e lo salutai, eccitato ed intimidito allo stesso tempo dalla sua paurosa presenza. Improvvisamente le mie emozioni cambiarono, piombai in uno stato robotico, come se fossi in trance, completamente assorbito dalla concentrazione. Questo era il punto di non ritorno, da ora in avanti potevo e dovevo solo scendere; risalire sotto quell'enorme seracco a quest'ora del mattino sarebbe stato un suicidio. La sensazione di mettere la testa nella bocca del leone mi toccò per un'istante.

Dopo il traverso ghiacciato riuscì a fare alcune curve saltate prima del passaggio chiave nella strettoia (l'incognita per pendenza ed innevamento) che fortunatamente era ben innervata. Riuscii a passare sul lato destro derapando i 15m a circa 55° gradi che costituivano il passaggio chiave e più ripido della discesa. Subito dopo le pendenze diminuirono passando a circa 45° costanti e le condizioni della neve migliorarono decisamente permettendomi di pennellare belle curve su una neve primaverile perfetta. Sul lato destro del couloir, nella parte in cui si allarga, riuscii a fare 6 belle curve in neve fredda e compatta dopodiché mi fermai un attimo per bere e per godermi a pieno qualche secondo di quell'esperienza magica, essere solo in mezzo alla Brenva…che sensazione! Mi commossi un attimo per quello che stavo facendo…da solo.

A metà couloir circa tagliai verso sinistra ad un colletto esposto e tecnico (secondo passaggio chiave) che mi condusse ad un canale parallelo che passa di fianco al caratteristico gendarme di granito rosso che dà il nome alle vie del settore, la mitica Sentinella Rossa.

Da quello che avevamo visto da Helbronner e dalle foto, il piano era quello di tagliare verso il Col Moore, traversando i pendii a sinistra, un centinaio di metri sopra la crepaccia terminale. Purtroppo una piccola frana aveva portato via la neve da un canale rendendo impossibile l'attraversamento con la tavola ai piedi. Allo stesso tempo vidi le tracce di Ben e Tom che avevano disescalato verso destra, traversando l'enorme terminale su dei ponti di neve in corrispondenza della parte centrale di un canale. Sfortunatamente quest' opzione non era più praticabile per me in quanto alcune scariche di neve cominciarono a cadere proprio lungo l'asse dell'unico passaggio possibile. Dovetti pensare e decidere velocemente, misi i ramponi e risalii a sinistra verso una crestina di neve sottile.

Il tempo mi giocava contro, nel canalone appena attraversato cominciarono a cadere alcune pietre, decisi di ripararmi sotto alcune rocce in prossimità della crestina nevosa e considerai l'ipotesi di aspettare il tardi pomeriggio per uscire da quella che sembrava ormai una trappola. Allo stesso momento vidi Ben e Tom uscire al Col Moore, gridai e mi videro. Ben che aveva una più ampia visione di dove mi trovavo mi suggerì una via d'uscita e mi gridò che forse era meglio chiamare l'elicottero. Non ci pensai neanche un attimo (nonostante sul Bianco sia sempre più di moda mettersi nei casini e poi uscirne chiamando l'elicottero) nonostante lo stress e la stanchezza, li mi ero infilato da solo e di li ne sarei uscito da solo o avrei provato a farlo finche ne avrei avuto la possibilità.

Mi riposai un po' al sicuro; all'inizio la sensazione era quella di dover attraversare un campo cambogiano ma dopo aver osservato come la montagna purgava lungo i pendii finali da attraversare ripassai all'azione. Derapai con le picche in mano una rampetta esposta ripidissima e cominciai ad affrontare il traverso dove nel frattempo si erano create diverse rigore profonde. Traversai veloce in snowboard fino alla prima rigola, misi i ramponi, disescalai, traversai la rigola, risalii dall'altra parte dove rimisi la tavola e così via per almeno 5 volte, mentre i pendii attorno si sgretolavano progressivamente.

Tom aveva un aereo da prendere la sera di quello stesso giorno quindi lasciò direttamente il Col Moore mentre Ben mi aspettò guardandosi l'evoluzione della situazione. Arrivai finalmente al Col Moore nel primo pomeriggio completamente stremato dove abbracciai Ben sollevato tanto quanto il sottoscritto. Ero mentalmente e fisicamente spossato e sapendo che ancora ci aspettava un lungo ritorno fino ad Helbronner e poi Chamonix, dissi a Ben che l'avrei presa con calma, mi sarei riposato un po' li e poi avrei cominciato ad attraversare il ghiacciaio e risalire al bivacco della Fourche dove avrei preferito passare la notte, lasciandogli l'opzione di andarsene nel caso avesse voluto. Decise di stare con me e gliene fui grato, fino al momento in cui decise di aprire una nuova via di drytooling sulle rocce sotto il bivacco…ne avevo sicuramente bisogno :-)

Il mattino seguente partimmo abbastanza presto, sciando il canale d'accesso sul lato francese su moquette perfetta non rigelata la notte, dopodiché giù per il ghiacciaio fino sotto la nord della Tour Ronde da dove risalimmo a piedi verso Helbronner; qui, dopo aver aspettato un paio d'ore, riuscimmo ad infilarci in un'ovetto vuoto tra i vari presi d'assalto da chiassosi turisti giapponesi.

La chiave per sciare con successo ed in relativa sicurezza una linea del genere, di questa lunghezza e con questa esposizione, nel mese di luglio, è il tempismo e la velocità; bisogna sciare neve dura in alto perché non sia troppo pericoloso in basso.

Ognuno fa la sua scelta in base alle proprie sensazioni ed ai pericoli diversi che si sente in grado di affrontare; anche quando sciamo insieme alla fine sciamo da soli, non c'è corda, non ci sono protezioni, sono equilibrismi senza rete, la cosa importante è esserne consapevoli e responsabili delle proprie decisioni.

Sono completamente soddisfatto delle mie scelte, ho preferito rischiare maggiormente nella parte bassa della parete piuttosto che in alto, sciando pendii esposti su neve durissima; ero consapevole che non avrei potuto in nessun modo affrontare la discesa in snowboard con una lamina sola su quella neve. Alla fine sono sceso nel momento più propizio per l'attrezzo che mi trovavo ai piedi e nonostante abbia corso qualche rischio in basso, dovuto anche al dover affrontare imprevisti di cui ero ignaro in partenza, è stata una delle esperienze più intense e gratificanti della mia vita.

Vorrei ringraziare vivamente i miei compagni di viaggio Tom Grant e Ben Briggs che oltre ad essere grandi sciatori ed alpinisti sono persone umili e genuine, i migliori che avrei potuto desiderare per condividere un'esperienza del genere.


Note:
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