Winter 8000 di Bernadette McDonald
C'è sempre qualcosa che sfugge nelle motivazioni degli alpinisti. Qualcosa che sembra avere a che fare con una magnifica, quanto terribile, ossessione. Soprattutto se si tratta di alpinismo invernale. Se poi l'inverno è quello degli 8000, beh la cosa è così evidente, anzi è così estrema, che sembra non avere alcuna spiegazione razionale.
Cos'è che spinge un essere umano ad affrontare tutti quei rischi e quelle indicibili sofferenze? Perché questi uomini e donne sono letteralmente conquistati da quelle condizioni dove la vita non è nemmeno contemplata? Come sanno bene gli alpinisti, ma anche chi segue l'alpinismo, non esistono risposte vere. E chi crede di averle, spesso non sa di cosa parla. Non sa di quante storie diverse sia fatto quel mondo. E non sospetta nemmeno cosa provino e chi siano quegli uomini e quelle donne che affrontano, e solo a volte superano, quei confini impossibili. I più si limitano ad etichettarli come eroi (quando arrivano in cima) o come dei pazzi scriteriati o ancora peggio (quando falliscono e magari muoiono).
Spesso, se non sempre, le storie di questi uomini e donne paradossalmente restano ai margini. Le loro motivazioni, passioni, grandezze e anche miserie, sembrano non contare, non interessare. Sono proprio queste storie, invece, che ci racconta Bernadette McDonald in Winter 8000. Sono proprio le incredibili storie di questo manipolo di alpinisti, che ha scelto di confrontarsi con le montagne più alte della terra nella stagione più inospitale e difficile, che rendono questo libro non solo importante ma anche assolutamente avvincente. Perché è una vera e propria epopea quella che McDonald ci racconta. Una grande storia, tutta vera, che come un appassionante romanzo prende il via dalla prima salita invernale di un Ottomila, sua maestà l'Everest, per poi attraversare tutti gli altri 13 colossi fino al K2, l'unico che ancora resiste alla prima invernale.
Protagonisti di questo fantastico viaggio sono loro, i “guerrieri del ghiaccio”. Quegli alpinisti che di quel mondo, dove i venti urlano a 150 chilometri all'ora e le temperature vanno oltre i 50° sotto zero, non possono fare a meno. A cominciare dai grandi polacchi che hanno “inventato” l'inverno sugli Ottomila. Come il patriarca Andrzej Zawada, il sempiterno Krzysztof Wielicki, il gigante Jerzy Kukuczka, il suo grande compagno Voytek Kurtyka e la mitica Wanda Rutkiewicz. Per continuare con Maciej Berbeka, Artur Hajzer e Adam Bielecki, solo per citare alcuni altri leggendari componenti del plotone polacco.
A loro si aggiungono i “non polacchi” tra cui la svizzera Marianne Chapuisat prima donna, sul Cho Oyu, a scalare d'inverno un 8000. Il bergamasco Simone Moro, un autentico specialista e riferimento con il suo record di 4 prime invernali su altrettanti Ottomila. Il fuoriclasse Jean-Christoph Lafaille. L'incredibile e inarrivabile Denis Urubko. E poi Daniele Nardi che al sogno del Nanga Parbat d'inverno ha dedicato tutto se stesso. L'inarrestabile Alex Txikon. L'inconfondibile e sfortunato Tomasz Mackiewicz. Tom Ballard, il ragazzo nato per arrampicare. La sempre sorridente e fortissima Tamara Lunger. La piccola e indomita combattente Elisabeth Revol. E tutti gli altri che compongono questa pazza tribù dell'alpinismo.
I loro sogni come le salite e le difficoltà. Le rare vittorie e le tantissime sconfitte, ma anche gli amori e le liti, la gloria e la miseria. Le lotte infinite per sopravvivere, le immense tragedie e il dolore dei loro cari e amici s'incrociano e si rincorrono senza apparente fine. Così le loro storie sembrano la rappresentazione stessa della vita. Un magnifico e tremendo viaggio individuale e collettivo che si spinge alla ricerca di quel limite, e di quelle risposte, che forse non raggiungeremo mai ma che ci rendono vivi.
recensione di Vinicio Stefanello
Bernadette McDonald, canadese, è autrice di svariati libri sul mondo dell’alpinismo e della cultura di montagna, diversi dei quali divenuti dei veri e propri best sellers nel settore; fra essi L’arte di essere libero. Voytek Kurtyka. L’alpinista leggendario, titolo con cui si è aggiudicata il Banff Mountain Book Festival e il Boardman Tasker Award; vincitrice nel 2010 del Cardo d’Argento al Premio ITAS con il titolo Tomaz Humar. Prigioniero del ghiaccio. E’ stata direttrice del Banff Mountain Festival per vent’anni. Quando non scrive, si dedica all’arrampicata, all’escursionismo e allo sci, oltre a coltivare le sue amatissime viti.
Info: www.mulatero.it