Molti friends e alcuni nuts di Gianni Battimelli
C’è una cosa che mi dispiace nel recensire questo libro, averlo letto di fretta, causa tempi editoriali che, ben inteso, imputo solo a me stessa. Un peccato, come vi accorgerete sfogliando le pagine scritte dal “prof. Batimeau”, arrampicatore impenitente che dosa le sue osservazioni con pungente ironia, molta cultura in materia (e diciamolo anche cultura in generale) e un’invidiabile penna nel narrare.
Il libro Molti friends e alcuni nuts (edizioni Gran Sasso) - sottolineo molti friends perché chi conosce l’autore sa quanto il titolo vada inteso in modo letterale - riporta una serie di racconti brevi, spesso irresistibili, sui quali conto di tornare perché sicuramente ho perso qualcosa, che mi farà ridere e mi farà capire, là dove ironia e disincanto esplorano in profondità offrendo un’interpretazione che non è mai banale. Partendo dalla propria esperienza di arrampicatore romano e dagli incontri con una moltitudine variegata di scalatori di tutto il mondo, Gianni Battimelli ha sempre una salita come obiettivo, quella salita. Obiettivo primario anche quando insegnava Storia della Fisica all’università di Roma, facoltà da cui infatti sono usciti una quantità incalcolabile di allievi che via via andavano a iscriversi a via Ripetta (oggi al Testaccio) per frequentare il corso d’arrampicata del CAI, ottenendo spesso buoni risultati; nel senso dell’arrampicata, non so se anche della Fisica.
Intendiamoci, il libro non è l’ennesima biografia di un alpinista invecchiato, è la raccolta degli articoli pubblicati su varie riviste di outdoor, che l’autore si concedeva di scrivere come hobby; molti dei quali riguardano la sua collaborazione alla Rivista della Montagna. Come scrive nella prefazione Roberto Mantovani, allora direttore della testata: "Difficilmente eri in grado di prevedere ciò che ti sarebbe arrivato (...) un saggio serissimo e poi una paginetta che ti faceva ridere a crepapelle, un reportage da Yosemite seguito magari da un commento scritto in punta di penna che suonava come un sublime sberleffo, un’intervista inedita e, a ruota, un contributo che poteva tranquillamente collocarsi ai livelli più alti del dibattito culturale in corso nel mondo alpinistico internazionale."
Battimelli presenta i suoi vecchi articoli - di cui stupisce l’attualità - resistendo alla tentazione di modificarli. Li accompagna solo da un sintetico cappello di poche righe per spiegarne il contesto e l’anno di pubblicazione. La successione delle esperienze narrate in presa diretta, si snoda come storie separate che ci fanno scoprire squarci inediti e molto umani di arrampicatori ai nostri occhi eroici.
"I xè superiori" è una divertente satira sull’incontro di due mondi che si confrontano per la prima volta. Nel 1975 il British Mountaineering Council invitò un gruppo di italiani, tra i quali Sergio Martini e Renato Casarotto, a scalare nel Galles, mentre degli inglesi facevano parte arrampicatori del calibro di Pete Livesey (il più forte britannico dell’epoca). Ecco come descrive l’incontro: "Arrivarono lì, insomma, gli italiani con scarponi, chiodi e caschi, forti della loro esperienza sulle grandi pareti delle Alpi; e incontrarono un mondo di arrampicatori fatto di dadi, di scarpette a suola liscia, di etica rigorosa e di libera spinta all’estremo sui crag alti poche decine di metri. Gli uni non mancarono di impressionare gli altri - e viceversa". Fino alla storica ammissione di Casarotto di fronte alla totale assenza di chiodi in parete: "I xè superiori".
Di questa e altre storie, Battimelli resta un maestro di regia. E solo alla fine, quando arriviamo a pagina 302, ci accorgiamo che le 45 finestre aperte su cinquant’anni d’alpinismo romano compongono un’unica narrazione. L’esperienza di una generazione che cambiò radicalmente il concetto di arrampicata. Una rivoluzione culturale cominciata con i dadi e le Superga ai piedi che è stat la premessa dell’evoluzione tecnologica seguita. L’autore sintetizza la nuova weltanshauung in modo efficace: il passaggio dalla lotta, alla pace con l’alpe! Che a Roma coincise col ’68, come spiega bene in un articolo pubblicato nel 1982 su Il Manifesto.
Bisogna premettere che l’ambiente romano della Sucai non era certo frequentato da montanari, essendo la capitale parecchio lontana dalle Alpi, quanto piuttosto da un’élite di studenti universitari dove politica e alpinismo si mescolavano inevitabilmente. Divertente la pagina che racconta degli scontri all’università, dove un allievo della Sucai, con indosso il casco d’arrampicata per difendersi dalle manganellate, viene emulato il giorno dopo da altre decine di studenti del servizio d’ordine, i quali si dotarono di caschi da pompieri, assai meno costosi dei Schuster. La rivolta del ‘68 servì agli scalatori romani per azzerare le gerarchie del Club Alpino al cui vertice erano gli istruttori e rivendicare il sano diritto di scalare una parete cazzeggiando e divertendosi senza provare alcun senso di colpa.
Da Guido, “il mozzarellaro” di Sperlonga, a Camp 4 in Yosemite, Battimelli racconta quei formidabili anni con uno sguardo inedito, spiazzante, sempre attento a ciò che accade nel resto del mondo. E in un articolo del 1983 spara a zero sui diritti d’autore della parola freeclimber, che i californiani si sono attrribuiti: "Gli arrampicatori britannici? Non si sono fatti un’adeguata pubblicità. Le torri di arenaria intorno a Dresda e in Cecoslovacchia? Roba dei paesi dell’Est, non vende abbastanza. Oliphant Percy-Smith? Niente, non usava le EB. Preuss? O dio mio Preuss. Viennese qual era non poteva certo essere un freeclimber, al più sarà stato un freikletterer..."
Osservazioni che partono come stilettate da una birra bevuta a La Palud con Patrick Edlinger dopo una salita in Verdon, o sorseggiando un ouzo in una locanda di Kalymnos. Benché l’ombelico battimelliano resti Roma e l’istituto di Fisica, di cui l’autore racconta diverse personalità legate in qualche modo alla montagna. Vedi capitolo "Gli alpinisti di Via Panisperna", dove si parla di Enrico Fermi, Edoardo Amaldi, Franco Rasetti e compagnia. Negli anni ‘70 fu la volta di Mike Kosterlitz, futuro premio Nobel per la Fisica e fortissimo alpinista britannico che all’epoca aveva già aperto la Via degli inglesi sulla nord-est del Badile e andava scorrazzando in valle dell’Orco con Gian Piero Motti e Giancarlo Grassi aprendo vie come Pesce d’Aprile e Sole Nascente. Battimelli lo intervisterà alcuni anni dopo: “Era incredibile, semplicemente incredibile (...). C’era più roccia vergine sul solo Caporal che in tutta Snowdonia. Dovevamo solo decidere dove andare". E fu proprio un inglese, Alan Heppenstall, a svezzarlo sull’uso dei nuts durante un’ascensione al Gran Sasso nell’estate del 1969 che l’autore descrive così: "Arriva alla base del Campanile Livia bardato come per la cresta di Peuterey e tira fuori dal sacco un mazzo impressionante di ferraglia che poi erano bong e nuts (...) Comincio a schiaffare questi aggeggi metallici in tutti i buchi che trovo e in cima al diedro mi sono quasi convinto che li so usare davvero e guardo giù e li vedo tutti che penzolano dalla corda, nuts, cordini e moschettoni giù dalle parti di Alain che mi osserva con aria sconsolata".
Cominciano così i "nuovi mattini" romani, gli anni di Spiderman e di Hellzapoppin: "Per noi, è stato il periodo della invenzione di una sorta di alpinismo mediterraneo di bassa quota, giocato soprattutto sulle pareti del Circeo e di Gaeta, mescolando le tradizioni locali e le suggestioni che arrivavano allora da lontano, l’arrampicata libera delle falesie della Gran Bretagna e lo stile irriverente dello Yosemite. Non era ancora l’arrampicata sportiva, ma il passo necessario perché potesse svilupparsi”.
Cresce intanto la generazione degli Andrea di Bari, Stefano Finocchi, Alessandro Lamberti e compagnia. Ma non posso continuare perché altrimenti racconterei tutto il libro. Posso solo suggerire di leggere la novella dedicata al "più grande arrampicatore", metafora dell’autore. E non perdere il sottile godimento della rivincita sull’aplomb anglosassone e la grandeur francese espresso dalla divertentissima (e finta) intervista a Horace Benedict De Saussure, pubblicata sulle pagine della Rivista della Montagna in occasione del bicentenario della prima salita al Monte Bianco. Talmente verosimile da essere ritenuta credibile dal prestigioso Alpine Club londinese, che telefonò alla redazione di Torino creando dall’altra parte della cornetta un esilarante imbarazzo.
Per concludere, il capitolo "A Gaeta con Laura", anche qui lo zampino dell’università romana. Dato che il prof Enrico Rogora, padre della campionessa italiana, è collega dell’autore e nello specifico aveva arruolato Battimelli per accompagnare la figlia su una via d’ambiente di più tiri: "Laura, quindici anni, promessa dell’arrampicata sportiva italiana, cresciuta al gesto verticale delle palestre indoor e stella del circuito delle competizioni, che si dà come traguardo le Olimpiadi; io che qui a Gaeta ho messo il naso per la prima volta cinquanta anni fa, impacciato entusiasta allievo del corso di alpinismo del CAI, che mi do come traguardo quello di continuare ancora per un po’ a muovermi con piacere sulla roccia. Un punto di arrivo e un punto di partenza di una storia lunga mezzo secolo".
Non resta che l’altrove in mezzo al Sahara, sulla cima del Garet el Djenioun, nel più incredibile bivacco che si possa immaginare, insieme a molti friends e alcuni nuts.
di Giulia Castelli Gattinara
Presentazione in streaming del libro Molti friends e alcuni nuts di Gianni Battimelli, con gli ospiti Francesca Colesanti, Giorgio Mallucci, Alberto Sciamplicotti
Giovedi 18 febbraio ore 19:45 da RRTrek Rifugio Roma solo in diretta Facebook e YouTube