Simone Pedeferri, arrampicare e cescere assieme
Simone Pedeferri: l'arrampicata, i compagni, la parete, l'alpinismo e l'arte.
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Simone Pedeferri
Ragni di Lecco
C'è qualcosa di nuovo nel Gruppo Ragni della Grignetta. O meglio c'è qualcosa che ritorna. I giovani arrampicatori sono tornati ad affiancarsi alle firme degli alpinisti che, dal 1946, anno di fondazione, hanno reso famoso i Ragni in tutto il mondo.
Un bel gruppo. Tra loro Simone Pedeferri, e buona parte della Tribù, la spontanea aggregazione di climber, e soprattutto di amici, nata al Sasso Pelo.
Proprio con Simone abbiamo parlato di questo nuova vitalità (una verve in realtà mai del tutto sopita). Ma anche del particolare significato del condividere con i compagni la parete, l'alpinismo e l'arte. E ancora, di alcuni (dei tanti) progetti che vedranno protagonisti i Ragni di ogni stagione.
Simone e l’arrampicata, cominciamo dall’inizio...
Ho sempre frequentato il mondo della montagna. E ho cominciato a scalare intorno ai primi anni ’90, a 14 anni, nelle nostre zone, sopra Erba e in Grigna. Ho iniziato soprattutto in montagna, con l’alpinismo. Dolomiti e vie classiche, forse perché avevo vicino delle persone che parlavano tanto di montagna. La falesia come attività a sé stante, invece, l’ho scoperta più tardi; anche perché ho capito che oltre a servire come preparazione era proprio un bel gioco, divertente anche preso a sé. Poi ho cominciato a mischiare le cose...
Sono giochi differenti?
Ma no, alla fine non cambia molto. Per me blocchi, montagna, falesia fanno parte di un tutt’uno. Dipende, quando ti alzi al mattino, cosa hai voglia di fare. Magari hai in mente una via e vai a provarla. Dipende più che altro da cosa vuoi vivere.
Un modo di vivere speciale
Non è speciale, ma è vero che l’arrampicata ti dà modo di riflettere, di conoscere e crescere... Ho cominciato soprattutto con le libere su vie storiche. Nel ’96 ho fatto il Naufragio perchè era collegato ad un certo tipo di mentalità storica. Quando ero piccolo ho letto cose come la libera della Salathè sul Cap e volevo vivere delle sensazioni simili. La mia era ed è, insomma, più la ricerca di una sensazione che la prestazione in sé.
Un esempio
Di una ‘libera’ mi ricordo sì dei tiri, dell’impegno ma soprattutto delle tante sensazioni che ho vissuto con il mio socio, con il compagno di cordata di quel momento. Si creano dei legami molto strani, molto particolari. Mi ricordo che, con Stefano Pizzagalli, per provare la via andavamo su anche se pioveva. Era assurdo: partivi che già sapevi che avrebbe piovuto ma andavi lo stesso. Perché si vivevano dei momenti particolari a star lì sotto un masso ad aspettare, magari per 2 giorni, che venisse il bello. Secondo me queste cose ti formano e ti lasciano qualcosa che sicuramente non si può cancellare.
Ma tu hai fatto anche delle solitarie
Si, ne ho fatte. Però, scalare slegato, da solo, rimane solo un appagamento del tuo bisogno. Sono e rimangono solo delle parentisi. Non so quanto valga e abbia senso vivere da solo queste esperienze. Me ne sono accorto anche in spedizione. E forse la voglia di fare le cose con il mio gruppo di amici deriva anche da questo.
Le tue vie e le pareti per questi momenti speciali
Troppe, non si può norminarne solo una, ci sono tanti momenti vissuti in diverse vie. Ma se dovessi dire una parete direi il Qualido, perchè è come andare a casa mia. Poi la Valmasino. Come falesie, forse perché mi hanno dato tanto e si adattano al mio tipo di arrampicata, il Remenno e il Sasso Pelo, dove è nata la Tribù, quel gruppo di amici che adesso ha rinfoltito le file dei Ragni
Nei tuoi discorsi ritorna sempre il ‘gruppo’, parlaci della Tribù e dei Ragni
La Tribù esiste ancora, è un gruppo informale, nato spontaneamente, perchè certe cose non riesci a manovrarle. Come i Ragni che sono nati come un gruppo di amici. Quelle cose lì non riesci a programmarle neanche se vuoi, nascono da sole o non nascono. Il problema è farle durare, e ripetere questa spontaneità, questo ‘fuoco’, negli anni. Adesso i ragazzi si riconoscono nei Ragni, ed è sicuramente un momento da sfruttare in modo che diventi sempre più grande questa voglia di fare le cose insieme.
I Ragni della Grignetta, come hai vissuto la proposta di farne parte
La mia scelta è stata motivata appunto perchè si tratta di un gruppo di amici. E’ stata questa la molla. Poi, la cosa che mi ha sorpreso nei Ragni è scoprire che ci sono persone, come Mario Conti per esempio, che hanno fatto delle cose in montagna che nessuno conosce. Forse recuperare queste cose sarebbe importante.
E proprio con Mario Conti, con Marco Vago e Max Bosetti sei sul piede di partenza per il Sahara
Si, continua il discorso iniziato con la spedizione in Pakistan, andiamo nell’Hoggar e poi sulle pareti del Gareth El Djenoun. L’obbiettivo è quello di aprire un nuovo itinerario di alta difficoltà in arrampicata libera.
Pakistan, Sahara e poi?
Mi piacerebbe girare il mondo con questo gruppo di amici, naturalmente per arrampicare. L'idea è di visitare tutti i 5 continenti, in pratica 5 salite sulle montagne di tutto il mondo. Abbiamo cominciato con il Pakistan ora tocca al deserto e poi, a gennaio, dovrebbere essere la volta della Patagonia con la parete ovest del Cerro Piergiorgio.
Riparliamo dei vecchi Ragni
Se parliamo dei Ragni di una volta, degli alpinisti di un tempo, bisogna dire che era un altro tipo di alpinismo. Il nostro, quello di adesso intendo, è più “solare”, nel senso che se fa meno 5 c’è paura di uscire. Noi, in confronto a loro, siamo diventati dei fighetti. Penso ad esempio a Giuseppe Lafranconi che a 18 anni ha ripetuto in invernale la Couzy alla Ovest di Lavaredo. 3 notti passate a dormire con le gambe dentro le staffe. Noi, per fare un invernale, se fuori non c’è il sole non attacchiamo nemmeno.
Spedizioni, un flash...
E’ stata la Scoperta. E’ allucinante pensare che a 13 ore di volo dal tuo paese possa cambiare tutto. Forse l’avventura è questa. Viaggiare per il mondo, e le spedizioni fanno crescere. Sono partito per il Pakistan per fare una montagna e poi alla fine la montagna è diventata un contorno. Te la ricordi è ovvio. Però il complesso delle cose che ho vissuto è stato molto più importante. Una cosa che mi ha colpito è quanto rimane lontana la montagna che sei andato a fare. Sai che esiste, l’hai vista su una foto, eppure continua a rimane lontana e non la vedi per giorni. E’ una cosa diversa, da capire e assaporare. Si prendono dei ritmi totalmente diversi. E’ una cosa bella...
Si dice che l’arrampicata sia un arte
Può essere un arte, perché scoprire delle linee, scoprire delle cose ti porta ad avere una sensibilità particolare. Tante persone che scalano fanno cose molte creative. L’alpinismo e l’arrampicata ti portano a realizzare qualcosa. Forse è la grande passione per la montagna che ti aiuta a riflettere e ti porta a creare qualcosa. Queste emozioni e sensazioni devono pur canalizzarsi in un qualche posto, in qualcosa.
Tu dipingi, come si sposano queste due arti della pittura e dell’arrampicata
Si sposano e si bilanciano. Tutti vivono delle sensazioni e dei momenti che hanno bisogno di ricreare e fissare su qualcosa. Io cerco di farlo con la pittura. La mia è una pittura in cui ha molto valore il segno che utilizza diversi campi, spazi e prospettive. E che risente della mia esperienza in montagna. Quando sei a 500 metri da terra vedi il paesaggio in una maniera diversa, hai delle prospettive non usuali. Così un canale e una valle può esprimersi sulla tela come un segno di quelle sensazioni e visioni che hai vissuto in parete.
Sulla tela crei. Ti senti così anche nella roccia
Sì, in qualche modo scopri dei passaggi delle cose che sono frutto della tua fantasia. Come davanti ad un blocco che conosci come le tue tasche. Un bel giorno lo guardi e lo vedi in una maniera diversa: scopri un passaggio che non avevi mai visto. Magari un passaggio stupendo... ed era sempre stato lì.
Il tuo stile e/o la tua ‘etica’
E’ uno stile eclettico che comprende tutto. E la mia è un’etica che se c’è una fessura grossa così e ci puoi mettere un friend non pianti uno spit. Se invece sei su una placca dove rischi la vita, ed è il caso di mettere uno spit, è giusto metterlo. Domenica, per esempio, ho fatto una via a spit veramente bellissima, senza lì non passavi. Anche se devo dire che non sono completamente per gli spit. O meglio credo ci siano degli spit giusti e degli spit sbagliati. Con tanti problemi che ci sono al mondo uno spit in meno o in più è un problema che fa ridere, però sono convinto che è bene pensare quando si fanno le cose, e nel caso degli spit usarli in maniera intelligente. Il problema è trasmettere quello che significa fare alpinismo e andare in montagna, e perché è bello andarci.
Uno sguardo al futuro
Adesso vivo un momento bellissimo, anche se non so come sarà il futuro. E' sempre difficile dare una risposta sul quel che sarà. Alla fine ti rispondi che sei come sei grazie a quello che stai vivendo. E io mi sento fortunato ad essere libero di alzarmi al mattino, guardare che tempo fa, e decidere dove andare a scalare.
Un bel gruppo. Tra loro Simone Pedeferri, e buona parte della Tribù, la spontanea aggregazione di climber, e soprattutto di amici, nata al Sasso Pelo.
Proprio con Simone abbiamo parlato di questo nuova vitalità (una verve in realtà mai del tutto sopita). Ma anche del particolare significato del condividere con i compagni la parete, l'alpinismo e l'arte. E ancora, di alcuni (dei tanti) progetti che vedranno protagonisti i Ragni di ogni stagione.
Simone e l’arrampicata, cominciamo dall’inizio...
Ho sempre frequentato il mondo della montagna. E ho cominciato a scalare intorno ai primi anni ’90, a 14 anni, nelle nostre zone, sopra Erba e in Grigna. Ho iniziato soprattutto in montagna, con l’alpinismo. Dolomiti e vie classiche, forse perché avevo vicino delle persone che parlavano tanto di montagna. La falesia come attività a sé stante, invece, l’ho scoperta più tardi; anche perché ho capito che oltre a servire come preparazione era proprio un bel gioco, divertente anche preso a sé. Poi ho cominciato a mischiare le cose...
Sono giochi differenti?
Ma no, alla fine non cambia molto. Per me blocchi, montagna, falesia fanno parte di un tutt’uno. Dipende, quando ti alzi al mattino, cosa hai voglia di fare. Magari hai in mente una via e vai a provarla. Dipende più che altro da cosa vuoi vivere.
Un modo di vivere speciale
Non è speciale, ma è vero che l’arrampicata ti dà modo di riflettere, di conoscere e crescere... Ho cominciato soprattutto con le libere su vie storiche. Nel ’96 ho fatto il Naufragio perchè era collegato ad un certo tipo di mentalità storica. Quando ero piccolo ho letto cose come la libera della Salathè sul Cap e volevo vivere delle sensazioni simili. La mia era ed è, insomma, più la ricerca di una sensazione che la prestazione in sé.
Un esempio
Di una ‘libera’ mi ricordo sì dei tiri, dell’impegno ma soprattutto delle tante sensazioni che ho vissuto con il mio socio, con il compagno di cordata di quel momento. Si creano dei legami molto strani, molto particolari. Mi ricordo che, con Stefano Pizzagalli, per provare la via andavamo su anche se pioveva. Era assurdo: partivi che già sapevi che avrebbe piovuto ma andavi lo stesso. Perché si vivevano dei momenti particolari a star lì sotto un masso ad aspettare, magari per 2 giorni, che venisse il bello. Secondo me queste cose ti formano e ti lasciano qualcosa che sicuramente non si può cancellare.
Ma tu hai fatto anche delle solitarie
Si, ne ho fatte. Però, scalare slegato, da solo, rimane solo un appagamento del tuo bisogno. Sono e rimangono solo delle parentisi. Non so quanto valga e abbia senso vivere da solo queste esperienze. Me ne sono accorto anche in spedizione. E forse la voglia di fare le cose con il mio gruppo di amici deriva anche da questo.
Le tue vie e le pareti per questi momenti speciali
Troppe, non si può norminarne solo una, ci sono tanti momenti vissuti in diverse vie. Ma se dovessi dire una parete direi il Qualido, perchè è come andare a casa mia. Poi la Valmasino. Come falesie, forse perché mi hanno dato tanto e si adattano al mio tipo di arrampicata, il Remenno e il Sasso Pelo, dove è nata la Tribù, quel gruppo di amici che adesso ha rinfoltito le file dei Ragni
Nei tuoi discorsi ritorna sempre il ‘gruppo’, parlaci della Tribù e dei Ragni
La Tribù esiste ancora, è un gruppo informale, nato spontaneamente, perchè certe cose non riesci a manovrarle. Come i Ragni che sono nati come un gruppo di amici. Quelle cose lì non riesci a programmarle neanche se vuoi, nascono da sole o non nascono. Il problema è farle durare, e ripetere questa spontaneità, questo ‘fuoco’, negli anni. Adesso i ragazzi si riconoscono nei Ragni, ed è sicuramente un momento da sfruttare in modo che diventi sempre più grande questa voglia di fare le cose insieme.
I Ragni della Grignetta, come hai vissuto la proposta di farne parte
La mia scelta è stata motivata appunto perchè si tratta di un gruppo di amici. E’ stata questa la molla. Poi, la cosa che mi ha sorpreso nei Ragni è scoprire che ci sono persone, come Mario Conti per esempio, che hanno fatto delle cose in montagna che nessuno conosce. Forse recuperare queste cose sarebbe importante.
E proprio con Mario Conti, con Marco Vago e Max Bosetti sei sul piede di partenza per il Sahara
Si, continua il discorso iniziato con la spedizione in Pakistan, andiamo nell’Hoggar e poi sulle pareti del Gareth El Djenoun. L’obbiettivo è quello di aprire un nuovo itinerario di alta difficoltà in arrampicata libera.
Pakistan, Sahara e poi?
Mi piacerebbe girare il mondo con questo gruppo di amici, naturalmente per arrampicare. L'idea è di visitare tutti i 5 continenti, in pratica 5 salite sulle montagne di tutto il mondo. Abbiamo cominciato con il Pakistan ora tocca al deserto e poi, a gennaio, dovrebbere essere la volta della Patagonia con la parete ovest del Cerro Piergiorgio.
Riparliamo dei vecchi Ragni
Se parliamo dei Ragni di una volta, degli alpinisti di un tempo, bisogna dire che era un altro tipo di alpinismo. Il nostro, quello di adesso intendo, è più “solare”, nel senso che se fa meno 5 c’è paura di uscire. Noi, in confronto a loro, siamo diventati dei fighetti. Penso ad esempio a Giuseppe Lafranconi che a 18 anni ha ripetuto in invernale la Couzy alla Ovest di Lavaredo. 3 notti passate a dormire con le gambe dentro le staffe. Noi, per fare un invernale, se fuori non c’è il sole non attacchiamo nemmeno.
Spedizioni, un flash...
E’ stata la Scoperta. E’ allucinante pensare che a 13 ore di volo dal tuo paese possa cambiare tutto. Forse l’avventura è questa. Viaggiare per il mondo, e le spedizioni fanno crescere. Sono partito per il Pakistan per fare una montagna e poi alla fine la montagna è diventata un contorno. Te la ricordi è ovvio. Però il complesso delle cose che ho vissuto è stato molto più importante. Una cosa che mi ha colpito è quanto rimane lontana la montagna che sei andato a fare. Sai che esiste, l’hai vista su una foto, eppure continua a rimane lontana e non la vedi per giorni. E’ una cosa diversa, da capire e assaporare. Si prendono dei ritmi totalmente diversi. E’ una cosa bella...
Si dice che l’arrampicata sia un arte
Può essere un arte, perché scoprire delle linee, scoprire delle cose ti porta ad avere una sensibilità particolare. Tante persone che scalano fanno cose molte creative. L’alpinismo e l’arrampicata ti portano a realizzare qualcosa. Forse è la grande passione per la montagna che ti aiuta a riflettere e ti porta a creare qualcosa. Queste emozioni e sensazioni devono pur canalizzarsi in un qualche posto, in qualcosa.
Tu dipingi, come si sposano queste due arti della pittura e dell’arrampicata
Si sposano e si bilanciano. Tutti vivono delle sensazioni e dei momenti che hanno bisogno di ricreare e fissare su qualcosa. Io cerco di farlo con la pittura. La mia è una pittura in cui ha molto valore il segno che utilizza diversi campi, spazi e prospettive. E che risente della mia esperienza in montagna. Quando sei a 500 metri da terra vedi il paesaggio in una maniera diversa, hai delle prospettive non usuali. Così un canale e una valle può esprimersi sulla tela come un segno di quelle sensazioni e visioni che hai vissuto in parete.
Sulla tela crei. Ti senti così anche nella roccia
Sì, in qualche modo scopri dei passaggi delle cose che sono frutto della tua fantasia. Come davanti ad un blocco che conosci come le tue tasche. Un bel giorno lo guardi e lo vedi in una maniera diversa: scopri un passaggio che non avevi mai visto. Magari un passaggio stupendo... ed era sempre stato lì.
Il tuo stile e/o la tua ‘etica’
E’ uno stile eclettico che comprende tutto. E la mia è un’etica che se c’è una fessura grossa così e ci puoi mettere un friend non pianti uno spit. Se invece sei su una placca dove rischi la vita, ed è il caso di mettere uno spit, è giusto metterlo. Domenica, per esempio, ho fatto una via a spit veramente bellissima, senza lì non passavi. Anche se devo dire che non sono completamente per gli spit. O meglio credo ci siano degli spit giusti e degli spit sbagliati. Con tanti problemi che ci sono al mondo uno spit in meno o in più è un problema che fa ridere, però sono convinto che è bene pensare quando si fanno le cose, e nel caso degli spit usarli in maniera intelligente. Il problema è trasmettere quello che significa fare alpinismo e andare in montagna, e perché è bello andarci.
Uno sguardo al futuro
Adesso vivo un momento bellissimo, anche se non so come sarà il futuro. E' sempre difficile dare una risposta sul quel che sarà. Alla fine ti rispondi che sei come sei grazie a quello che stai vivendo. E io mi sento fortunato ad essere libero di alzarmi al mattino, guardare che tempo fa, e decidere dove andare a scalare.
Note: Simone Pedeferri
nato a Cantù il 31/12/1973
arrampica da 12 anni
falesia: 8a 'a vista'; 8c lavorato
boulder: 8a+ (8b traversata)
montagna: 8b
nato a Cantù il 31/12/1973
arrampica da 12 anni
falesia: 8a 'a vista'; 8c lavorato
boulder: 8a+ (8b traversata)
montagna: 8b
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